Antonio Maria Catalani è un artista che non cerca il compromesso, non cerca risposte. Ha tanta rabbia e non ha intenzione di proporcela come qualcosa di positivo, come chissà quale formula segreta per la sua arte.

Diretto, senza filtri, come le sue opere. Catalani è arrivato a Roma Smistamento con la sua cafe racer e abbiamo scambiato due chiacchere in vista della sua prima mostra il 23 maggio alla Galleria Tibaldi, Holaf.

Volevamo capire cosa aspettarci da questa prima, ma forse l’unica cosa sicura è che Antonio Maria Catalani non va capito, né inquadrato. I suoi demoni vanno presi così come sono.

Quanta rabbia c’è nelle tue opere? Ti definisci una persona aggressiva?

Sono aggressivo di indole, ma una aggressività controllata, incentrata su me stesso. Molti nelle mie opere vedono la rabbia, quindi evidentemente c’è.

Questa rabbia è energia?

No, è proprio incazzatura.

E con chi sei incazzato?

Con me stesso.

Pensi i tuoi quadri ti possano fornire la  giusta risposta, ti facciano sciogliere la rabbia?

Non cerco risposte nei quadri.

Cosa possiamo sapere di te oltre che sei arrabbiato? Che rapporto hai con l’arte?

L’arte mi è sempre appartenuta, ho sempre amato l’arte, è nel mio DNA.

Mio nonno è pittore, e mia madre nonostante sia un medico dipinge: potrebbe realizzare dei falsi d’autore, è  bravissima, ha una mano pazzesca. Sono cresciuto tra i quadri di mio nonno, che ha fatto dell’arte il suo lavoro e ora vive in Canada.

Oltre alla pittura come eredità di famiglia, sin da piccolo sono sempre stato appassionato di fotografia e teatro, ho frequentato due Accademie teatrali. Si puô trovare il famoso miscuglio artistico in me, mi piace il cinema e la regia, ho studiato anche in questo campo.

La pittura però è sempre stata una valvola di sfogo, come lo è stato il teatro, e questo l’ho scoperto recitando. Essere sul palco è come fare una terapia di gruppo, ora sto facendo terapia con me stesso, con la pittura. Penso che proprio l’abbinamento teatro-pittura abbia fatto nascere la mia produzione. Questo a livello di imprinting, di matrice culturale e formativa. Poi da ragazzino ero anche appassionato di graffiti

Questo si rintraccia nelle tue opere, realizzate con tecnica mista.

A me piace la pittura ad olio. Ma non sono paziente.

Realizzo sempre una base di acrilico o bomboletta, ma i soggetti più importanti li realizzo ad olio per primi, l’olio vuole la sua attesa.

A proposito di attesa e di fasi, come nasce una tua opera?

Non parto mai con l’idea chiara in mente. Spesso cerco di disegnare esseri umani, poi diventa altro, si trasformano in animali, in colori.

E la scelta di rappresentare su grandi tele?

Se potessero passare dalla porta dello studio le farei ancora più grandi.

Grandi e tutte diverse, a vedere le tue opere si individuano tanti momenti differenti.

Non sono il pittore affermato che si alza la mattina e produce le opere-manifesto della sua visione, del suo movimento, di un suo progetto coerente e conosciuto che funziona e lo identifica. Ancora non posso permettermi di etichettarmi.

Vorrei vivere di arte, dipingerei sempre e anche se non dovessi riuscire ad essere quel tipo di artista, continuerei a dipingere comunque.

A trent’anni mi sto facendo conoscere con la mia prima mostra, ma ho sempre dipinto e anche senza mostre lo farei.


Com’è la tua vita da artista?

Ho la fortuna di avere una famiglia che mi supporta e posso vivere l’arte ogni giorno. Quindi, una vera vita da artista.

L’arte purtroppo non è per tutti, parliamoci chiaro: l’arte costa. Realizzare un’opera ha un costo significativo e magari per un ragazzo questa aspirazione non è nemmeno accessibile. Sono grato alla mia famiglia che non mi ha mai stressato affinché mi inquadrassi, mi ha sempre lasciato libero di esprimermi, dandomene la possibilità.

Ho deciso di intraprendere il percorso delle mostre e diventare “professionale” proprio per dare valore a tutto questo, a questa straordinaria possibilità che ho.

Capisco ci sta un mercato, un sistema in cui entrare e lavorare e devo provarci. La scommessa è provarci con la mia produzione, forse un po’ ribelle alle regole di questo mercato.

So che le mie opere siano particolari e magari non starebbero bene a casa di chiunque, anche perché chi le acquista si prende tutti i miei demoni.

Quali sono stati i primi riscontri sul tuo operato? Cosa ne pensa il mercato dei tuoi demoni?

All’estero i miei quadri sono molto apprezzati, in Italia questo 23 maggio terrò la mia prima mostra alla Galleria Tibaldi di Roma. Il primo passo è stato realizzare il catalogo ed iniziare ad andare di galleria in galleria come un venditore di Folletto. In Italia mi hanno detto non ci sia il giusto mercato per le mie opere, due galleristi mi hanno addirittura detto che non posso permettermi di disegnare così.

Così come?

Dicono debba mettere dei filtri alla mia rabbia, ma io non voglio essere un venditore, non voglio vendere a questi compromessi, questa è la mia arte.

Dove pensi di indirizzare la tua produzione?

Vedo nell’America un terreno fertile, il mio colore è molto apprezzato lì, mentre in Italia e in Europa si è molto legati al chiaroscuro. Eppure, in Italia terrò la mia prima mostra: il proprietario della Galleria Tibaldi, dove esporrò, è prima artista che gallerista ed ha creduto in me. Mi ha chiesto continuità per altre collaborazioni future, ma non sento di poter garantire continuità di stile e produzione.

Magari non dipingo per un mese, poi un giorno mi sveglio e realizzo trenta opere. Se invece parto con l’idea di realizzare una precisa opera, sbaglio tutto.

Partirò dalla mia città, Roma, poi Parigi e Berlino. Dopodiché sarà la volta degli USA, vorrei andare a San Francisco dove ho una base. Mi piace quel versante americano, sono positivo, partirò con il mio catalogo alla mano e vedemo cosa succederà.

Sei fiducioso?

Si deve sempre tentare. Proviamo, presentiamoci porta a porta, mandiamo mail, proponiamoci per quello in cui crediamo, qualcosa torna sempre indietro. Poi sì, devi fare i conti con tutta la parte organizzativa se sei solo, allora non sei solo artista, sei anche imprenditore. Ma per iniziare devi farti in quattro, no?


Non so se chiederti cosa dipingerai domani. Non so nemmeno più se sia il caso.

Mi sono sempre chiesto cosa e come avrebbero dipinto un Raffaello, un Michelangelo o un Leonardo se non avessero avuto la committenza della Chiesa.

Ho deciso di dedicare per un anno la mia produzione alle opere sacre, con il mio modo di fare pittura: l’Ultima Cena, la Crocifissione, la Pietà… Impegnativo, forse profano ma non nel modo irrispettoso.

Un contrasto interessante. Perché questa scelta?

Amo la mia arte e Basquiat è il mio riferimento. Ma ritengo che il Rinascimento sia la massima espressione della pittura e sento la necessitaà di sperimentare questo percorso.

Mia madre saprebbe ri-disegnare le opere rinascimentali, io no. Eppure lei mi dice sempre: tu hai la fortuna di essere libero, io no. Io invidio lei per la tecnica, e lei invidia me per la libertà.

E cosa è meglio?

La libertà tutta la vita.