“C’è un limite di ore per le chiamate whatsapp? Perchè altrimenti possiamo stare in videovita”
Mettiamo che abbia aspettato per otto anni di trasferirmi nella città dei miei sogni. Mettiamo che cambiare città non è facile, mai, ma mettiamo che, dopo tre mesi, Milano iniziavo a sentirla un po’ mia. Miei gli spazi, mia la gente, mie le abitudini.
Adesso mettiamo che la città in questione diventi il centro di diffusione di un’epidemia, di un virus “nuovo” che si propaga rapidamente. Allora mettiamo che il governo emani una serie di ordinanze imponendo ai cittadini di barricarsi in casa e di uscire solo quando strettamente necessario e con le dovute precauzioni.
Eccomi dunque, per (almeno) un mese da solo, lontano da tutti, in una casa in cui vivo da poco tempo. Senza la mia chitarra, il pianoforte, senza la mia pila di riviste e senza bulbi di tulipano da veder crescere. Fortuna Netflix. Fortuna.
Ma che si fa dentro casa da soli per un mese?
Si cucina, torta di mele. Si pulisce: si aprono tutti i mobili, si svuotano del loro contenuto, si spolverano per bene, sia fuori, le ante, sia dentro, gli angoli – mi raccomando gli angoli – e si rimette tutto dentro, in ordine. Si canta. Si guardano film, si ri-guardano film, si guardano serie tv, si legge, si scrive. Si fa un bagno caldo e si fa con un po’ di latte, per sentirsi come Cleopatra. Si pulisce (finalmente) il desktop sovraccarico di file. Si ricevono e si effettuano chiamate, ma non come sempre.
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Ladies and gentleman, ecco la storia di come sono entrato nel tunnel letale delle videochiamate.
Ricominciamo da capo. Quando tutto è iniziato, intendo l’epidemia coi primi allarmismi, ho smesso di andare a lavoro e dopo una settimana, quando la situazione si è aggravata, ho iniziato a riflettere sul da farsi. Una sera in particolare, chattavo con le amiche con cui si chatta almeno una volta al giorno:
“Raga mi sa che torno, qui la situazione non migliora, non sto andando a lavoro, sono solo e non ho niente di particolare da fare”
Ok. Decisione praticamente presa. Comunichiamolo ai piani alti. “Mamma mi sa che torno a stare un pò da voi”. Okay. Finito di parlare con mia madre, mi rimetto a girare la minestra. Il telefono squilla di nuovo. È ancora lei che mi chiama per dirmi che su La7 hanno appena parlato di una nuova ordinanza: la Lombardia è zona rossa. Tutti si chiudano in casa per non farsi contagiare e per non contagiare gli altri. Vietato uscire.
Inizia ufficialmente la quarantena. Comunicare prontamente alle amiche con cui si chatta almeno una volta al giorno. Valeria chiede:
“C’è un limite di ore per le chiamate whatsapp? Perchè altrimenti possiamo stare in videovita”
Videovita. Il neologismo si rivela ben presto un termine di largo consumo tra i membri del mio gruppo di amici, una parola essenziale e insostituibile per descrivere questo periodo, questa situazione. Cerchiamo di capirne meglio il senso.
Ho consultato il registro delle mie videochiamate Whatsapp per fare due conti.
Finora quelle fatte a partire dall’otto, fino al diciotto marzo, sono centoquarantatré, quindi in media, tredici al giorno, per un totale di oltre trentaquattro ore, quindi, in media, più di tre ore al giorno. Senza contare le chiamate vocali e le videochiamate su altre piattaforme come Skype, Houseparty e FaceTime.
Ho capito che questa cosa delle videochiamate mi stava sfuggendo di mano quando, organizzandomi con Giorgia per fare quattro video-chiacchiere da schermo a schermo, le ho scritto “Dovrei avere un buco verso le 19:30”.
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Si, perchè quando il fenomeno si è espanso, l’appuntamento virtuale non era più solo una conversazione tranquilla con mamma o con Marta, Valeria e Madalina. L’aperitivo con quelli dell’università, il compleanno di zia, i primi passi del figlio dei vicini, il partitone a Nomi Cose Città. Me le sono fatte tutte.
Al di là degli eventi unici e straordinari come quelli citati, questo mezzo mi ha reso partecipe, banalmente, della quotidianità di amici e parenti. Dalla preparazione dei pasti, alla beauty routine, alle pulizie, al gioco. Tutto insomma. Per dirla con una parola, videovita.
Eppure le videochiamate esistono da un bel po’ e io abito lontano dai miei cari da più di tre anni. Indubbiamente avere a che fare per la prima volta con una condizione di isolamento quasi totale e la consapevolezza che tutto ciò debba durare ancora un pò ci ha spinti a rifugiarci in questa che forse è la cosa più simile al contatto fisico che abbiamo. Chissà se col finire della quarantena finirà anche questo. Chissà se ormai siamo già abituati e quanto sarà spontaneo riprendere tutto da capo.
Comunque per me questa storia bizzarra delle videochiamate ha rappresentato la cosa migliore sperimentata durante la quarantena; tra la solitudine e i programmi saltati, ho passato parecchio tempo con i miei amici e li ho rivisti, pure se pixelati. E questo è bello.
Ora scusate ma squilla.