Gregory Crewdson racconta l’America suburbana con immagini nitide fino al più piccolo dei dettagli, colori vividi e luci studiate con estrema cura.

Le “any town” americane rappresentano da anni un terreno fertile per la ricerca di Gregory Crewdson che, già dai primi lavori di fine anni ’80, si relaziona con l’anonimato di quegli spazi che compongono la provincia americana. Nel 2002 è la volta di Dream house, 12 fotografie in grande formato commissionate dal The New York Times Magazine, ambientate in una cittadina del Vermont, una anonima provincia come tante altre, per l’appunto.

Crewdson
(c) Gregory Crewdson. Courtesy Gagosian Gallery

Parlare di Gregory Crewdson presuppone un approccio diverso da quello che si riserva normalmente ad altri fotografi, è agli opposti della fotografia come la si pensa normalmente, la preparazione della scena diventa una fase rilevante del lavoro nella sua totalità.
Crewdson arriva in questa città con la sua numerosa squadra, composta da aiutanti vari, persino un direttore della fotografia, attori come Philip Seymour Hoffman e Gwyneth Paltrow.
Non è insolita la presenza di attori hollywoodiani per questo progetto, se si pensa a Crewdson più come a un regista che a un fotografo e al suo lavoro più come a dei frames cinematografici che a delle fotografie.
Infatti, sulle orme di Jeff Wall e della Staged photography, la fotografia creata su un set, dedica alle sue opere una cura maniacale, dalle luci, ai costumi, alla scenografia, anche l’approccio degli attori, tutto è pensato.

Crewdson
(c) Gregory Crewdson. Courtesy Gagosian Gallery

Grazie a questo lavoro meticoloso ci si ritrova davanti a delle fotografie che esteticamente si presentano come delle opere incredibilmente nitide, tutto è a fuoco, a vista, dagli attori al più piccolo complemento d’arredo, tutto è al suo posto.
Ma nonostante visivamente sia tutto palese, si rintraccia una narrazione che è tutto tranne che chiara, si ha la netta sensazione che l’immagine racconti dei momenti vicini ad un evento sconvolgente.

Crewdson
(c) Gregory Crewdson. Courtesy Gagosian Gallery

Per questo Dream House sembra la trasposizione visiva dell’Unheimlich Freudiano, quel concetto secondo cui, quando una situazione viene avvertita come familiare ed estranea allo stesso tempo, si genera una sensazione di confusione ed estraneità, perturbante.
Gregory Crewdson gioca con questa dinamica, propone delle immagini familiari, riconoscibili, che allo stesso tempo introducono una narrazione tanto forte quanto misteriosa, e non lasciano mai lo spettatore impassibile.