Castellinaria è il nuovo festival teatrale ideato dalla Compagnia Habitas, abbiamo intervistato Niccolò, Livia e Chiara per saperne di più.
La Compagnia Habitas è una giovane realtà che anima, dall’inizio del 2016, il circuito off del teatro romano, da un’idea di Niccolò Matcovich, autore e regista, e Livia Antonelli, attrice; a loro si aggiunge, circa un anno dopo, Chiara Aquaro, attrice anche lei.
Castellinaria – Festival di teatro pop è il loro nuovo ambizioso progetto, un festival teatrale che raccolga i lavori di giovani compagnie e laboratori di formazione e li porti in Ciociaria, precisamente ad Alvito, nella Valle di Comino, dal 21 al 27 Luglio 2018.
Siete una compagnia, quindi lavorate in prima battuta alla creazione artistica, come mai avete scelto di organizzare un festival?
Come lavoratori e artisti non possiamo sottrarci dall’attivare una riflessione rispetto al contesto in cui operiamo. Siamo in un momento storico carico di angoscia, gli spazi dove si fa cultura vengono chiusi, sgomberati.
Non si investe, men che meno nel teatro – basti pensare agli ennesimi tagli al FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo). Per noi organizzare un festival è un modo per re-agire, per dare un segnale forte rispetto al fatto che se vengono spesi anima e corpo in un progetto, per quanto ambizioso, quel progetto può vedere la luce. La speranza è che il nostro festival, “Castellinaria”, possa essere un esempio virtuoso per incoraggiare le istituzioni a invertire la rotta, a convincersi che cultura vuol dire anche economia, a prendersi la responsabilità di non abbandonare la provincia, a cogliere quindi i frutti che essa ha e a incentivarne la nascita di nuovi.
“Castellinaria” è un titolo suggestivo: è legato al fatto che il festival si svolge interamente nella location mozzafiato del Castello Cantelmo di Alvito o c’è dell’altro?
Da una parte c’è l’evidenza dell’architettura storica: il castello medievale di Alvito che sembra galleggiare sopra la Valle di Comino proprio come se fosse di per sé in aria; dall’altra c’è la sfida personale di rendere solide le fondamenta di un progetto impegnativo. Siamo convinti che bisogna essere all’altezza dei propri sogni: fuori da ogni retorica questo significa che, pur essendo giovani e alla prima edizione, non ci sono scuse per non fare. Bisogna osare, lavorare duramente giorno dopo giorno – come facciamo ormai da settembre – e avere l’umiltà di chiedere aiuto quando si inciampa nei propri limiti o nella propria inesperienza.
Quanto è decisivo che il festival si svolga proprio in uno dei comuni della Valle di Comino, in provincia di Frosinone? Che tipo di sinergie con il territorio si sono attivate?
Totalmente. “Delocalizzare i processi creativi e culturali dai grandi centri è un’azione necessaria nel nostro presente, un atto che sentiamo urgente, una piccola sfida per cercare di creare spazi vitali al di fuori dei centri sovraffollati di proposte.” Così abbiamo dichiarato nel comunicato stampa proprio per sottolineare quanto sia importante per noi l’aspetto del territorio. L’obiettivo del festival è quello di tracciare un ponte tra le energie teatrali contemporanee e le realtà locali, creare una nuova comunità in cui esse siano in dialogo. La Valle di Comino è un territorio pieno di risorse – e di posti mozzafiato! – a partire dalle aziende enogastronomiche di qualità per finire alle realtà che si occupano di arte, cultura e aggregazione. Questo per quanto riguarda l’offerta, per quanto concerne invece l’organizzazione abbiamo dialogato sin dall’inizio con le istituzioni del territorio per cercare appunto di non essere invasori ma collaboratori.
Siete giovanissimi sia singolarmente che come attività di compagnia, ha influito questo aspetto nella scelta della direzione artistica?
Il criterio principe di selezione per quanto riguarda la programmazione è stato quello di dare un’opportunità alle realtà (compagnie o artisti singoli) che condividessero con la nostra sia il fatto di essere giovani sia una particolare attenzione alla drammaturgia contemporanea. Quindi la volontà di dare spazio ai giovani c’è ma coniugata alla ricerca di spettacoli che fossero adatti alla conformazione della piazza d’armi del castello e che andassero a potenziare l’identità di quel luogo anziché alterarla. Abbiamo scelto per questa edizione di selezionare dei lavori che presentassero tematiche vicine al territorio, uno su tutti “Questa è casa mia” di Alessandro Blasioli che racconta del terremoto aquilano del 2009, sentito anche in Valle di Comino.
Qual è la peculiarità di Castellinaria che rende questo festival alla prima edizione un’esclusività?
La peculiarità per noi è l’aspetto “pop”, termine che ci preme sempre chiarire. Con “pop” non intendiamo semplicemente qualcosa che sia fruibile da tutti, di immediata comprensione, a costi accessibili. Intendiamo qualcosa che va molto più in profondità: “pop” perché è popolare, ovvero sia appartiene alla comunità. Di fondo c’è quindi la volontà di spezzare il meccanismo che vede il teatro chiuso in un cerchio elitario per generare un altro tipo di proposta, quella che prevede il momento teatrale inscritto all’interno di quelle attività che sono parte dell’espressione sociale dell’uomo. “Rifondare la piazza. Rifondare il concetto di piazza”.