Giulio Alvigini – A tu per tu con Giulio Alvigini, l’ideatore di Make Italian Art Great Again.
Giulio Alvigini riesce a dar vita a momenti di ironia, sarcasmo e isteria dove poter giocare, smontare e rimontare le dinamiche e le contraddizioni del sistema dell’arte italiano.
Giulio, chi c’è dietro quel cappellino rosso che contraddistingue la tua immagine? Parlaci di te, di come ti piace definirti.
Dietro al cappellino rosso? Un Genio-Miliardario-Playboy-Filantropo. Così direbbe Tony Stark. In realtà, io tifo DC e mi sento molto più Ciarlatano-Idiota-Ossessionato-Buffone di corte. Ma ho anche dei difetti.
Come hai ideato Make Italian Art Great Again? Qual è la tua ambizione comunicativa?
Make Italian Art Great Again nasce un po’ per scherzo e un po’ per i solfiti di troppo della sera prima. La cosa che contraddistingue questo progetto dai precedenti è che non c’è stata una pianificazione a monte. L’identità e la credibilità della pagina si sono strutturate nel tempo senza particolari previsioni o aspettative. Ho solo creato una pagina in cui decostruire le mie ossessioni. Un momento di ironia, sarcasmo e isteria dove poter giocare, smontare e rimontare le dinamiche e le contraddizioni del sistema dell’arte italiano, senza cadere nella critica. Alla critica preferisco i giochi di parole. Volevo creare una sorta di “Manuale delle battute da opening”, una raccolta digitale di freddure, scherzi autoreferenziali e motti di spirito per pochi da sfoggiare all’interno della cerchia degli addetti ai lavori.
Perché hai scelto i meme e da dove nasce il tuo stile espressivo così ironico e dissacrante?
Ci avviamo verso la conclusione di quello che possiamo identificare come il decennio della “normalizzazione” del meme. Mi sembra quindi necessario sfatare il mito della novità e dell’uso con parvenze di originalità del meme oggi. La storia è già stata scritta su 4chan, l’acropoli di Atene dei memer. Ora stiamo vivendo una sorta di ellenismo memetico o memico, un momento manierista e virtuoso incarnato dalla figura del memer come “normie”. Premesse a parte, è impossibile non considerare il meme come uno dei principali medium della contemporaneità, l’immagine del disagio del nostro tempo, lo scherzo infinito. La scelta di questo strumento mi sembrava la più naturale e la più appiattita sul presente. Era anche l’occasione per sperimentare una progettualità sul social più visivo (Instagram) e traghettare a nuove modalità la mia inclinazione all’ironia, alla satira e anche a quella cosa che chiamiamo provocazione ma che provocazione non è più.
Usi il sarcasmo per dire la tua verità o non ami prenderti sul serio?
Nel medioevo il giullare di corte era l’unica persona di cui il re si fidava. Ridendo e scherzando, raccontava verità travestite da barzellette. Make Italian Art Great Again è stata l’occasione per evidenziare certe mie fisse per quella “linea ironica” dell’arte italiana che probabilmente trova tra le sue origini proprio la figura del buffone medioevale, scrollandomi di dosso quell’essere concettuale e pseudo-serio che in genere impacchettano il lavoro di un artista, anche nei momenti più dissacranti e leggeri.
Ad essere sincero, non mi sento portatore di una verità, mi interessa di più l’uso del sarcasmo per raccontare la mia post-verità. Cerco di essere assolutamente serio nel non prendermi sul serio.
Qual è il tuo concetto d’arte e di opera d’arte?
A costo di sembrare reazionario, nonostante la “teoria istituzionale” sia stata più volte criticata e messa in discussione dallo stesso George Dickie, è probabilmente il tipo di approccio e definizione intorno all’opera d’arte che più si avvicina a descrivere quel tipo di fascinazione cinico-sistemica che provo di fronte alla sfera dell’arte. Nonostante le fake news, Donald Trump e Tinder credo che le definizioni di opera d’arte, artista e mondo dell’arte (o mondi dell’arte) siano sempre e in qualche modo sottomesse a quelle serie di “cornici” sociali determinate dal linguaggio, dalle convenzioni e dal tempo. È come la filastrocca “Ci vuole un fiore” ma in una versione infinita e senza possibilità di evasione. Dall’opera all’artista, fino al sistema dell’arte per tornare all’opera, all’artista e così all’infinito.
Cosa pensi sul futuro dell’arte degli artisti in Italia? Immagini qualcosa per il tuo futuro?
La madre degli artisti è sempre incinta, ma anche quella dei curatori non scherza. La percezione di crisi dell’arte italiana è un po’ il leitmotiv che accompagna da diversi anni qualunque tentativo di interpretazione della produzione nostrana. Il giovane artista italiano (semplice, per i più accaniti fan della pagina) è un interessantissimo caso antropologico. Vive contemporaneamente due complessi diametralmente opposti. Da un lato è stoico, fiero e un po’ permaloso, portatore della grande tradizione dell’arte italiana. Dall’altro vive nell’ombra di un’illusione di inferiorità rispetto ai colleghi stranieri. Loro hanno chi investe su di loro, finanziamenti, politiche di valorizzazione. Forse ci siamo talmente immolati in questa storia della positività della globalizzazione che ci siamo dimenticati che la storia della creatività dice che gli italiani sono più bravi quando fanno gli italiani. Senza correre agli armamenti di pizza, spaghetti e mandolino forse è necessario un momento revisionista. Un chi siamo e da dove veniamo per riconfigurare un dove andiamo? che non sia influenzato dalla poco redditizia sbirciatina del cosa fanno a livello internazionale?
Il mio futuro? Alla ricerca di oceani blu. Alla ricerca di Nemo. E di Dory.
The WalkMan ha come obiettivo quello di scovare e mettere in luce talenti ed artisti che credono nelle proprie idee. Cosa consigli a chi, come te, ha deciso di investire la propria vita nella creatività?
Tutta la filmografia di Buster Keaton. Ma i consigli sono fatti per non essere ascoltati.