Yorgos Lanthimos ha effettuato il salto all’interno dell’industria del cinema statunitense ma questo non sembra averlo snaturato
Yorgos Lanthimos è un regista greco, nato ad Atene nel 1973, che riesce a dividersi tra le ricche produzioni dell’industria statunitense e i riconoscimenti al Festival di Cannes. È interessante analizzare il suo percorso, ancora breve essendo un regista in carriera da poco più di dieci anni, che parte dallo sperimentale Kinetta del 2005 e arriva, nel 2017, a Il sacrificio del cervo sacro con attori come Colin Farrell e Nicole Kidman nel cast; per fare questo bisogna partire da un assunto: le produzioni statunitensi non sono il luogo più ospitale per la sperimentazione cinematografica.
Considerando che questo assunto somiglia sempre di più a un’assioma, era facile nutrire un po’ di preoccupazione alla notizia che Lanthimos avrebbe fatto il grande salto in termini di produzione con The lobster, nel 2015, venendo da Alps, il suo ultimo film greco girato 4 anni prima insieme al suo fidato collaboratore Ethymis Filippou col quale divide la sceneggiatura dei suoi film da Kynodontas, ovvero dal 2009.
Il Lanthimos di The lobster è distopico e disturbante abbastanza per rasserenarci riguardo il suo approdo in terra americana, Colin Farrell è costretto in una società dove i single vengono rinchiusi in un albergo apposito e hanno un tempo prestabilito per costruire una nuova relazione, pena la trasformazione in un animale a propria scelta, nel caso del protagonista un’aragosta (lobster) per l’appunto. Questo potere esercitato tramite la reclusione ricorda il potere paterno di Kynodontas (distribuito all’estero come Dogtooth), dove un industriale agiato, padre e padrone, rinchiude dentro casa, con la complicità della madre, i suoi tre figli adolescenti raccontando loro che una persona è libera di uscire di casa soltanto nel momento in cui perde naturalmente un canino, come segno di avvenuta maturità, preservandoli da interferenze esterne andando ad agire sul linguaggio, spiegando ad esempio che “mare” è il nome di un tipo di poltrona in cuoio e che i gatti che si intrufolano dall’esterno sono le creature più pericolose per l’uomo.
Questa analisi del potere e delle dinamiche familiari ricorda Haneke, cosa che succede anche nell’ultimo Il sacrificio del cervo sacro – vincitore del Prix du scénario al Festival di Cannes 2017 – tanto che tra le tante recensioni positive ce ne sono alcune negative che accusano Lanthimos di citare eccessivamente il grande regista austriaco e Kubrick. C’è sicuramente molto di questi due autori nel suo ultimo film, ma va detto che, nella sua ultima fatica, il regista greco dimostra di saper mettere a completa disposizione delle esigenze narrative tutti gli elementi a disposizione per comporre il film. Magistrale l’inizio – il film varrebbe il prezzo del biglietto anche solo per questa scena – una lenta carrellata ad uscire su di un’operazione a cuore aperto, effettuata probabilmente dal protagonista, di cui si vedono solo le mani, accompagnata dalla Stabat Mater di Schubert, e che è già esplicativo dello stato d’animo in cui ci troveremo durante l’intera durata del film. Carrellate molto lente, ad entrare e ad uscire dalla scena, grandangoli molto spinti a sottolineare le prospettive, una fotografia che si alterna tra la luminosità asettica dell’ospedale dove il protagonista lavora e le luci diegetiche e più calde della casa dove questo abita, sono gli elementi maneggiati sapientemente da Lanthimos per mettere lo spettatore in uno stato di continua ansia, una sensazione disturbante che dura dall’inizio alla fine del film, come se si trattasse di un film horror ma senza i colpi di scena tipici di questo genere, anzi proprio l’assenza dell’azione e la permanenza di una situazione di stallo fino ai minuti finali della pellicola la rende capace di tenerci incollati allo schermo, anche la recitazione degli attori ci suggerisce un rapporto all’interno della famiglia dei protagonisti inusuale e straniante.
Con questo film Lanthimos continua a definire la sua cifra stilistica e scongiura, almeno per il momento, di diventare un regista da blockbuster più attento alle dinamiche industriali che al linguaggio cinematografico, la sua mano è sempre presente ed è sempre riconoscibile. Certo si nota un’evoluzione dai film del periodo greco, ma si tratta di un’evoluzione coerente con il suo lavoro pregresso che permette allo spettatore di riconoscere un suo film già dalle prime inquadrature.
Il 24 Gennaio 2019 uscirà in Italia il suo ultimo lavoro, La favorita – presentato all’ultimo Festival di Venezia e dove ha vinto il Leone d’argento – Gran premio della giuria – che può diventare un altro tassello per arrivare a considerare il regista greco come uno dei punti di riferimento del cinema contemporaneo.