Flora Maclean spazia dal ritratto, al reportage, allo still life, raccontando storie, rimanendo sempre coerente con la sua estetica
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Flora Maclean ha studiato menswear design all’università di Brighton, in Inghilterra, ma è sempre stata interessata alla fotografia, di recente ha lasciato il suo lavoro da designer per trasferirsi a Londra e dedicarsi totalmente all’attività di fotografa freelance
I suoi lavori spaziano tra la ritrattistica, il reportage e lo still life, ma la cosa che accomuna il suo modo di sguardare è l’intenzione del racconto. Lo scopo di Flora Maclean è sempre quello di testimoniare una situazione, per farlo non ha scelto un genere preciso al quale sente di appartenere in maniera costante, piuttosto preferisce muoversi tra questi lasciando che il file rouge dei suoi lavori sia un’estetica ben riconoscibile. Un modo di lavorare che viene anche dall’approccio alle proprie influenze, che non sono strettamente fotografiche, ma si estendono tra pittura, scultura e cinema, dalle quali la fotografa si lascia ispirare ragionando su ciò che le hanno trasmesso a livello emotivo, per metabolizzare il tutto e rielaborarlo nel suo stile personale.
Una attenzione importante nel lavoro di Flora Maclean viene data alle donne, le quali non vengono mai sessualizzate e il loro corpo non viene mai trattato come oggetto del desidero, piuttosto, la fotografa inglese, focalizza lo sguardo sui dettagli per dare un senso di intimità, giocando con soggetti spesso anonimi, volti nascosti o esclusi dalla cornice, dentro la quale rientrano principalmente parti del corpo, arti, seni scoperti, spalle che vengono ordinati attraverso composizioni caratterizzate da linee pulite, sottolineati da accostamenti di colori netti e sapienti, il tutto inserito all’interno di un’inquadratura-soglia che ha il ruolo fondamentale di decidere cosa va escluso dall’immagine.
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Lo sguardo di Flora Maclean non è uno sguardo inclusivo, bensì esclusivo, come se più che decidere cosa tenere dentro l’inquadratura, che assume appunto il ruolo di soglia, sia più interessante, o quantomeno di pari importanza, decidere cosa escludere, cosa nascondere e cosa velare, per riuscire, paradossalmente, a restituire un interesse verso ciò che è nascosto, e quindi uno sguardo più totalizzante, che ci fa pensare maggiormente a quello che non c’è, piuttosto che a quello che vediamo.