Lombrello è stata la mia scoperta del 2020 e, fatelo sapere al correttore automatico, si scrive rigorosamente senza apostrofo. Andrea Forapani ha 33 anni, è un architetto milanese, nonché founder e designer del brand.
Questo che avete appena letto è l’incipit di una storia di successo e qualità. Lombrello è una giovane realtà italiana che autoproduce sedute taylor-made dal gusto ispirato tanto all’eleganza dei coniugi Eames quanto all’ironia della produzione Gufram. Niente copertine patinate o foto in bianco e nero, ogni modello è pura sperimentazione cromatica ed estetica comunicativa. Lombrello è una storia di autenticità. In soli tre anni, l’esperienza del brand ha già saputo dimostrare che la costruzione di network creativi amplifica il valore di un prodotto e che dove c’è intuito, curiosità e un pizzico di spirito imprenditoriale non c’è possibilità di fallimento, neanche in un periodo extra-ordinario come quello che stiamo vivendo. Di questo e anche di tanto altro ci racconta Andrea Forapani in questa intervista.
Innanzitutto: come nasce Lombrello?
Ho studiato architettura e lavorato come architetto all’estero per poi tornare in Italia, cinque anni fa, iniziando a disegnare spazi temporanei per eventi, soprattutto per fiere in ambito gastronomico. Ho poi fatto un’esperienza per l’e-commerce di Ferragamo e, un po’ influenzato dal periodo (stavano uscendo Artemest e simili), mi ero messo in testa che volevo lanciare il mio e-commerce multibrand: selezionavo designer coetanei (under 40), facevo gli shooting e li mettevo online. Dopo pochi mesi, nonostante tutti gli sforzi, ho capito che non avrebbe funzionato, non c’era budget sufficiente per fare marketing. Nella frustrazione del momento si è presentata una opportunità: avevo trovato fornitori che lavoravano legno e metallo con cui ho deciso di produrre una sedia, il cui concept principale era la personalizzazione. Lavorando con il mondo della ristorazione, infatti, sapevo che un problema ricorrente era quello di trovare delle sedie che avessero carattere, diverse da quelle del locale accanto e ad un prezzo congruo; avevo intuito che l’identità era un tema caldo. Il primo design che abbiamo lanciato quindi è una sedia da tavolo, la nostra CHAIR. Disegnata nel dicembre 2017, ad aprile 2018 eravamo già in via Solferino a Milano, in mezzo alla gente, con le prime 50 prodotte, tutte di colori diversi.
Inutile dirlo: la sedia con l’ombrello integrato è già un’icona. Ma è nato prima il brand o l’accessorio?
Nasce prima il nome dell’accessorio. L’ombrello è un oggetto apparentemente banale, ma dal design decisamente complesso e riconoscibile. Il mio amico e collega Emanuele Martera stava lavorando su questo nome ed avevamo deciso di creare una collezione di reference per l’interior design. Lombrello per me è sempre stato un simbolo di aggregazione, di intimità. Per assurdo ed in modo rocambolesco, nel tempo, è diventato un tema: non solo nel caso della sedia con l’accessorio ad ombrello – che è stato un prodotto molto pubblicato – ma anche tutti i modelli da outdoor le cui imbottiture sono rivestite con il tessuto degli ombrelli, impermeabile per natura. Tutta la storia de Lombrello è un susseguirsi di situazioni parzialmente fortuite che si trasformano in opportunità.
Si dice che tutti i designer di prodotto debbano almeno una volta nella vita disegnare una sedia, per misurarsi con l’autentica difficoltà dell’innovazione tipologica: come hai affrontato questa prova?
Inventare una sedia è un proposito folle. Nessuno inventa una sedia, è difficile immaginare una vera innovazione tipologica, ma la materia si modifica integrando sempre nuove idee. Io sono partito da Hans Wegner, il designer della Wishbone chair. Durante l’università, nonostante studiassi architettura, lui era diventato la mia monomania. E incredibilmente, proprio in quel periodo, ho trovato una tre gambe di Wegner, la Hjertestolen, in un mercatino a Berlino. Così è diventata un paradigma per le mie sedie, mi è servita come modello per disegnare il mio prodotto. Non è necessario inventare come si sta comodi, basta avere dei buoni maestri. Il mio disegno è stato il risultato di tutti questi vincoli di comfort: le altezze, le inclinazioni, i punti di appoggio, il minimo delle saldature, le attrezzature a disposizione dai miei fornitori. Per seduta e schienale invece avevo cominciato a fare prove sul polistirolo, da bravo architetto, alla ricerca di una ergonomia soddisfacente. Sono bastati alcuni tentativi ed il risultato è una sedia bella e comoda di brutto!
Questo vuol dire che so disegnare solo sedie? Spero di no, ma ho investito molto ed ora sogno che un’azienda mi chieda di collaborare per disegnare altro.
Tra tutte qual è la tua composizione preferita? E la preferita dei tuoi clienti?
La mia preferita è la sedia da tavolo a tre gambe – che facciamo soltanto in edizione limitata – perché mi affascina il tema della struttura con il minimo degli appoggi, ma anche lo sgabello, modestamente, è una bomba. In termini di numeri, la “preferita” dei clienti è la sedia da tavolo a quattro gambe, il sogno è la Mackintosh.
Chi compra Lombrello? (Speriamo tutti!)
Il primo anno per scelta abbiamo venduto solo ad architetti e designer: la necessità era di fare quantità, di avere ordini importanti, in modo da poter tenere degli ottimi prezzi. Al secondo Salone invece, avendo molte richieste di privati, abbiamo cavalcato l’onda e aperto uno studio con una vetrina sulla strada, e proposto ai privati una scelta in funzione dei pezzi che avevamo a disposizione dalle produzioni in corso. Oggi le sedie sono pensate ancora per architetti, designer ed in generale per il mondo del contract, ma in realtà, per come sono studiate, è sempre più facile realizzarle su misura anche per l’acquisto di un privato, pur mantenendo un prezzo competitivo.
Parlando di allargare il bacino di utenti privati, chiedo a te che vieni dal mondo dell’e-commerce: quanto è importante la dimensione del negozio fisico nel 2021?
Credo che per alcune realtà stia diventando inutile, ad esempio vedo che i gioielli funzionano tantissimo online. Per il mondo prodotto legato alla casa, con una dimensione umana, è ancora davvero troppo importante, soprattutto per chi fa qualità. Nella mia esperienza, le persone che hanno comprato sedie da me sono venute qui fisicamente a vederle o ne hanno comprata una per provarla e poi comprarne delle altre. Nonostante questo l’e-commerce Lombrello c’è e finalmente siamo pronti per lanciare il nuovo configuratore – unico nel suo genere – che permette di personalizzare e visualizzare il prodotto direttamente online in tempo reale prima di procedere all’acquisto.
Non mi sorprende scoprire che una delle keywords legate a Lombrello è sostenibilità: ma che importanza ricopre all’interno della produzione?
Non mi interessa la sostenibilità finta, quella delle multinazionali e del marketing color beige. Noi abbiamo cercato di sviluppare un’autentica anima sostenibile. Il primo aspetto che mi interessa è di non avere scarto, 0 waste: le sedie con il laminato di Abet sono indistruttibili e se il cliente vuole, può cambiare una delle componenti. Può restituire ad esempio lo schienale e sostituirlo con un altro, ad un costo minimo. I pezzi usati e restituiti sono sanificati e riutilizzabili per una nuova sedia. Sono fatti con la massima qualità dei materiali e non si buttano.
A proposito di sostenibilità, una delle novità più green è la collaborazione con Alpi: ci racconti com’è nata?
La nuova edizione con Alpi Wood è la prima nostra sedia completamente riciclabile perché in metallo e legno. La collaborazione è nata perché nel tempo sono diventato bravissimo a rompere le scatole 🙂 Un anno fa ho contattato il loro showroom di Milano ed ho trovato un team super disponibile. Hanno accettato di mandarmi dei campioni, credo perché trovano interessante il nostro prodotto e magari, per una volta, di lavorare con una piccola realtà giovane. Dopo i primi test ci siamo messi in testa di lanciare un prodotto incredibile per artigianalità, tireremo a cera tutte le versioni Alpi, come si fa negli antiquari. Nella nostra selezione ci sono anche i legni firmati da grandi nomi del passato tipo Sottsass e del presente come lo studio Campana: un risultato che due anni fa non avremmo potuto nemmeno sognare.
Approfitta di questo spazio per raccontarci qualcosa (in più) del brand che potremmo ancora non sapere:
Sto introducendo un nuovo accessorio: un servomuto, che va a sostituire lo schienale, trasformando la sedia da tavolo in una sedia da capotavola o un accessorio da camera o da camerino.
Approfitta di questo spazio per fare un appello ad un designer che vorresti collaborasse con il brand:
E’ un po’ che sto pensando di fare una sedia che si illumina o qualcosa che mi avvicini al mondo della lampada. Se dovessi scegliere una collaborazione per realizzarne l’accessorio? Olafur Eliasson tutta la vita.
Arrivare a lavorare e ad affermarsi come product designer: quali sono le scelte che contano?
Io che di natura vorrei sperimentare sempre in ogni ambito ho avuto qualche risultato concentrandomi su un solo prodotto, ma fatto da dio. L’attenzione e la specializzazione nel singolo prodotto funziona in ogni campo, soprattutto se vi dovete finanziare da soli.
Domanda di rito per The Walkman: cosa consiglieresti ai designer del futuro?
Per me conta in particolare avere una curiosità a 360°, per la natura, per i materiali, per la psicologia, per tutto quello che ci appassiona. Come secondo aspetto fondamentale un designer deve imparare a rompere le palle per ottenere quello che vuole, arrivano cento no, ma si aprono grandi opportunità. Essere convinti di quello che si sta facendo è un presupposto: ad un certo punto qualcuno ti ascolta. Funziona come l’indice di conversione di un e-commerce: dopo cento no arrivano…due si! In ultimo noi designer italiani non dimentichiamo di trovarci in un tessuto pazzesco dal punto di vista della produzione. I miei coetanei in Francia, in Svizzera, in Uk, non hanno la stessa concentrazione di attività produttive. Invece di pensare troppo ai concetti, dovremmo andare dagli artigiani a vedere come si fanno realmente le cose.
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