Cinema a Roma – Nel 2020 a Roma erano circa 50 le sale cinematografiche chiuse a partire dal 1970 (con una media di cinque all’anno negli ultimi dieci anni) e 15 quelle demolite. I numeri drammatici dei cinema romani sono stati raccolti dall’esperta Viola Brancatella per il suo web-doc “Buio in sala”, realizzato assieme al collettivo Cinescope.

La chiusura dei cinema a Roma, oltre ad essere una ferita profonda e insanabile per la capitale, rappresenta una perdita non solo sotto il punto di vista occupazionale, ma anche e soprattutto sociale e culturale. Da luogo di aggregazione, socialità e intrattenimento, la sala cinematografica si è lentamente spopolata e ha perso il suo potere attrattivo, di fronte all’ascesa delle piattaforme streaming che hanno di fatto mangiato un’enorme fetta di pubblico ai cinema tradizionali e offerto la possibilità di guardare film e serie tv h24, senza limiti di tempo e a costi molto vantaggiosi.

Le più colpite dalla crisi sono le mono-sala, a causa della programmazione ridotta e di nicchia, che non riesce ad intercettare il grande pubblico, e i canoni d’affitto troppo elevati e quindi insostenibili. Seguono le piccole multisala di quartiere che riescono a sopravvivere grazie proprio al fertile rapporto che instaurano con il territorio e con un pubblico di affezionati. Anche se questo, spesso, non basta a garantirne la sopravvivenza. In questi casi la mancanza più grave è da ricercare nell’indifferenza delle Istituzioni e delle associazioni politiche, che non studiano provvedimenti ad hoc ed agevolazioni per tutelare e aiutare concretamente questi spazi dall’enorme importanza culturale e sociale. L’ultima vittima, in ordine cronologico, di questo sistema, è stata il Maestoso di via Appia Nuova, primo multisala della Capitale, costretto, come tanti altri, a chiudere i battenti.

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Sul sito web Macine.net è possibile visionare una mappa molto accurata e sempre aggiornata sulla dismissione dei cinema a Roma. “MACINE” è un progetto d’arte che nasce a Roma nel 2011 da un gruppo di ricercatori che si propone come osservatorio della situazione degli spazi culturali in dismissione, con particolare attenzione sulle sale cinematografiche romane. MACINE ha dato vita, inoltre, al Festival del cinema chiuso, inaugurato nel 2011, che prevede l’affissione di manifesti (con un rimando nostalgico alle classiche locandine degli spettacoli) nelle bacheche, insegne, spazi esterni inutilizzati dei tanti cinema romani abbandonati. Ogni manifesto è realizzato da un artista diverso, che, attraverso la propria opera, tenta di sensibilizzare l’opinione pubblica, sull’abbandono e la crisi delle sale cinematografiche coinvolte.

Anche noi di TWM Factory un anno fa ci siamo già occupati della mappatura dei luoghi abbandonati e rigenerati di Roma, con la mostra “Riscatti di città”, ospitata da Palazzo Merulana, contribuendo a sviluppare un’ampia riflessione sulla rigenerazione urbana della Capitale.
Sono ben 97 i luoghi disseminati per la città che un tempo erano dei cinema ma che oggi hanno cambiato destinazione d’uso trasformandosi in altre attività: fra questi 16 attività commerciali, 12
teatri, 10 bingo, 9 supermercati, 6 banche, 3 hotel. Tre esempi su tutti: l’ex cinema Quirinale in via Nazionale che oggi è la sede della Banca d’ Italia; lo storico Etoile di Piazza san Lorenzo Lucina, che ha prima ospitato mercatini d’artigianato, in seguito una discoteca e oggi è la sede di una buotique di lusso di Louis Vuitton; l’ex Ausonia, nei pressi di Piazza delle Province, che è addirittura stato trasformato in una sinagoga.

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Il cambio di destinazione d’uso dei cinema ha interessato, nel corso degli anni, praticamente tutti i quartieri della città, nonostante l’esistenza di leggi specifiche che tutelano la continuità d’uso dei luoghi di interesse culturale come le deroghe al Piano regolatore. Questo prevede, in particolare, che nel recupero delle sale cinematografiche, almeno il 50% dello spazio resti adibito a scopo culturale e, nei casi di locali e attività di interesse artistico e culturale contenuti nella Carta della Qualità del Piano Regolatore Generale del Comune di Roma (PRG), siano consentiti solo interventi di manutenzione o di restauro, senza cambio di destinazione d’uso. Nella pratica, però, i vincoli sulla destinazione d’uso molto spesso decadono, facendo spazio ad ambigui accordi tra il Comune e i privati, che, come abbiamo visto, trasformano questi luoghi in attività di tutt’altra natura, come bingo, alberghi o supermercati.

Non tutti i cinema a Roma chiusi o abbandonati, però, sono stati oggetto di modifiche o trasformazioni, alcuni, purtroppo, sono rimasti così e non hanno mai rialzato le serrande. Parliamo spesso di cinema storici con una grande valenza culturale per la città, la cui chiusura rappresenta per la città una ferita che non si è mai del tutto rimarginata: è il caso del Metropolitan, del Paris, e ancora del Puccini o dell’Apollo. Spazi una volta pieni di vita e di idee e oggi abbandonati a loro stessi, senza prospettive di rigenerazione futura o con progetti già pronti e approvati, rimasti chiusi però in cassetti polverosi.

Di fronte a questa situazione drammatica e a tratti desolante, alcuni giovani appassionati e studenti di cinema romani, hanno deciso di ideare e produrre un breve corto dal titolo “Luce in sala”, con la partecipazione speciale dell’attore Guglielmo Poggi, che vuole far riflettere proprio sulla crisi, aggravata dalla pandemia di Covid-19, delle sale cinematografiche romane. Un grido d’allarme, quello del settore culturale e dell’intrattenimento, che da tempo resta inascoltato dalle Istituzioni e dalla politica nazionale e territoriale.

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Abbiamo avuto il piacere di intervistare Matteo Memè e Bernadette D’Ambrosio, i due ideatori e rispettivamente regista e produttrice del corto “Luce in sala”, che ci hanno raccontato com’è nato il progetto, qual è il suo scopo e quali saranno i suoi possibili sviluppi futuri.

Com’è nata l’idea di questo corto?

L’idea di questo è nata dal bisogno di raccontare quanto i cinema manchino a tutti noi. Sono mesi ormai che vediamo film sdraiati sul letto o seduti su una scomoda sedia, e la sala sta diventando solo un vago ricordo. Vogliamo che non lo sia più, che ritorni a essere un luogo di ritrovo culturalmente vivo.

Come avete raccolto le informazioni sui cinema chiusi di Roma e sulle varie trasformazioni che hanno subito nel corso del tempo?

Ci siamo mossi principalmente su internet. Esiste ben poco sull’argomento. Non ci sono libri a riguardo, e pochissime fonti audiovisive. Nonostante questo, ci sono varie documentazioni, di pochi appassionati, che come noi hanno avvertito il bisogno di dare voce a un fenomeno che negli ultimi anni sta prendendo il sopravvento: la chiusura dei cinema. È stato utile sentire anche gli esercenti stessi, che con massima disponibilità hanno risposto alle nostre domande regalandoci anche il loro punto di vista sulla questione.

Secondo voi qual è può essere una soluzione alla drammatica crisi che interessa la realtà delle sale cinematografiche?

I cinema chiudono perché in Italia non ci sono leggi sufficienti per ostacolare il cambio di destinazione d’uso e/o la loro chiusura. Molte delle sale che vediamo a Roma sono gestite tramite affitto dell’intero locale, affitti spesso (per non dire sempre) troppo alti e poco adatti a un’attività che non è solo commerciale. Crediamo quindi che un aiuto dallo Stato possa essere molto utile.

“Luce in sala” per ora è un corto che punta a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla chiusura dei cinema romani durante la pandemia ma apre anche a molti altri spunti di riflessione. Avete qualche idea in cantiere? Luce in sala può e vuole diventare qualcosa di più?

Luce in sala nasce dall’esigenza di ricordare a tutti che le sale cinematografiche ci mancano. Lo spot ha già circolato molto, e stiamo capendo come muoverci per distribuirlo ulteriormente e magari fisicamente per le strade delle nostre città. Non ci interessano le views, ci interessa veicolare il messaggio: se i cinema – e i luoghi -della cultura – chiudono, Roma – e l’Italia – non avrà alternative a un impoverimento culturale generale.

Le foto nell’articolo sono state scattate da Giacomo Gianfelici per la mostra Riscatti di Città.