Quello del gioco è un tema atavico. L’intrattenimento si è sempre evoluto nel corso dei secoli, cambiando di recente anche forma con l’introduzione del casinò virtuale o degli esports, che hanno portato l’esperienza di gioco a livelli molto più elevati anche dal punto di vista della competitività. Non stupisce, quindi, che negli anni anche il mondo dell’arte e della cultura si sia interessato a questo settore. Non solo libri o film, ma anche vere opere come quadri e dipinti hanno preso storicamente ispirazione dalle dinamiche che contornano da sempre il tavolo verde. Probabilmente il lavoro più evocativo in tal senso è rappresentato da “I bari” di Michelangelo, datato 1594, che ritrae un giovane scapestrato impegnato a giocare a carte con due truffatori, come si evince dalle carte che uno di loro nasconde dietro alla schiena.
Anche “Giocatori di carte” di Paul Cézanne descrive a dovere le atmosfere che permeavano i raduni di una volta. Verso la fine del XIX secolo l’artista volle rappresentare i contadini nella loro quotidianità, mostrando diverse scene di routine. Da nessuna di loro, però, riesce a trasparire l’entusiasmo dei personaggi nei confronti del gioco, visto come un mero passatempo e non come autentica fonte di divertimento. Allo stesso periodo appartiene “Al tavolo della roulette a Montecarlo” di Edvard Munch. Il celebre autore de “L’urlo” scoprì il famoso gioco della ruota nel corso di un soggiorno in Francia e decise di trasmettere attraverso una raffigurazione tutte quelle emozioni contrastanti che possono attraversare la mente dei giocatori che possono vincere da un momento all’altro, vivendo la partita quasi come un dramma.
Ben 18 teli costituiscono invece la serie “Poker Dogs” di Cassius Marcell Coolidge, che in realtà era stata pensata per pubblicizzare i sigari e non i giochi di carte. Le sembianze dei personaggi sono indubbiamente curiose: dei cani antropomorfi colti durante una partita a poker. Coolidge era un cinofilo e secondo lui le capacità espressive degli animali potevano risultare più convincenti e comunicative di quelle dell’uomo.
Un concetto diametralmente opposto a quello che si ritrova in “Soldati che giocano a carte” di Fernand Leger: anche in questo caso non ci troviamo di fronte a degli uomini in carne ed ossa, in quanto i soldati sono rappresentati come un insieme di figure simboliche, quasi meccanizzate, per sottolineare lo smodato uso delle nuove tecnologie scoperte a ridosso della prima guerra mondiale.
Un’opera molto più recente, datata 2011, è “La regina delle slot machine” di Shelley Wilkerson, che complice la presenza già consolidata di Internet è diventata molto conosciuta anche grazie alla rete, dove per l’appunto migliaia di giocatori si ritrovano a giocare tra loro a distanza. Una signora in là con gli anni, ma indubbiamente curata e ben vestita, rivolge lo sguardo all’osservatore lasciandosi alle spalle una slot, probabilmente al termine di una vincita, come tendono a indicare il suo pugno trionfante e la presenza di un calice di vino nella mano destra. Anche per gli artisti del passato il gioco ha sempre rappresentato un tema divisivo. Tra i pittori c’era chi preferiva non dedicarsi a un argomento considerato troppo spinoso, ma in molti ritenevano invece che si trattasse di uno spaccato della società che meritava di essere raccontato su tela. Così continua ad essere ancora oggi.