Dal 28 gennaio al 14 febbraio il Teatro Arvalia ha ospitato La Città di Ferro, interpretata dagli attori di Eleusis Teatro e diretta da Emanuele Faina. Lo spettacolo è una rivisitazione de La ballata del carcere di Reading, composta da Oscar Wilde a seguito della propria esperienza in carcere per omosessualità.
L’incarcerazione di Charles Thomas Wooldridge, ufficiale britannico condotto all’omicidio dalla gelosia, e la sua condanna a morte sono gli espedienti da cui si diparte una riflessione che analizza le dinamiche e il ruolo della galera. La Città di Ferro abbandona gli sterili toni polemici spesso assunti al di qua e al di là della barricata, e attraverso un’equilibrata autoevidenza propone allo spettatore una personale prospettiva per osservare una questione rispetto a cui prendere una posizione è quantomai rischioso.
La vita del carcere perviene a un’alienante atemporalità in cui passato, presente e futuro si fluidificano in un continuum amorfo e grottesco.È scandita dalla sistematica ripetizione di rituali ossequiosamente onorati e tuttavia inutili, in cui i carcerati compiono ossessivamente le stesse azioni oscillando tra stagnazione asfissiante e rapidi spostamenti che si rivelano soltanto dei giri a vuoto.
All’interno di una scenografia opprimente si muovono personaggi senza connotati, ombre in omologanti divise carcerarie con l’inconsistenza di rami morti. Sono i rami tagliati fuori da una società teleologicamente modernista, che traduce il progresso in vacua opulenza assurta a meccanismo autonomo che mira soltanto all’autoconservazione e prescinde dai suoi attori sociali. La struttura carceraria è il tentativo maldestro di risanamento attraverso un’improduttiva segregazione che concretizza la tendenza a ricondurre la realtà a dicotomie insostenibili che polarizzano semplicisticamente i concetti di giusto e sbagliato.
Attraverso uno squallido patchwork di considerazioni, ricordi, accessi di rabbia, scoramenti in progressione non integrata, La Città di Ferro assume una posizione delocalizzata -e forse l’unica funzionale- che trascende le opposizioni binarie e l’assoluto di giustizia, e lascia che lo spettatore tragga le proprie conclusioni senza automatismo e leggerezza.