Alla veglia dell’arte nel 2021 – Ogni volta che mia madre mi telefona e chiede come sto, io rispondo che non va così male.
Ah, sì? E che è successo nel frattempo? Mi chiede lei.
Le dico che ho un sacco di nuovi film da vedere. Del libro che sto leggendo, o del disco che non smetto più di ascoltare.
Mia madre rimane interdetta, come se le avessi fatto una pernacchia dall’altra parte del telefono: ah, non c’è nient’altro? Vabbè, vabbè. Buona visione, buona lettura.
Mia madre non ha mai davvero capito quell’entusiasmo.
Per lei guardare un film è un’ora di svago, una passeggiata per far ripartire la circolazione dopo pranzo.
Per me sono ore di ricongiunzione.
Quell’entusiasmo definisce le mie giornate, le struttura, regge in piedi l’impalcatura dei miei pensieri.
È quanto di più vicino al momento della preghiera: metto in ordine la stanza, mi isolo da chiunque, e accertandomi che non ci siano distrazioni, mi immergo in un’altra realtà.
L’arte dello spettacolo è l’unica lente che possiedo per osservare quello che mi circonda, per relazionarmi con l’altro.
Mi offre uno sguardo critico sul mondo: quali persone mi piacciono, quali preferisco evitare, perché cerco persone che dovrei evitare, perché le persone che mi piacciono compiono errori.
Non esiste quel film senza uscire di casa dopo i titoli di coda.
Non esiste quel libro senza rileggere i passaggi preferiti con le mie amiche.
Non esiste quella canzone se non l’ascolto in metropolitana incrociando gli occhi degli sconosciuti in carrozza, tra il verso e il ritornello.
Da più di un anno i miei luoghi di culto sono gli ultimi ad essere considerati nella stesura di un decreto, abbandonati a fantomatiche proposte di legge che continuano a lasciarli in balia del tempo.
L’arte dello spettacolo è fondamentale ma se ne può fare a meno.
Si recupera in un modo o nell’altro, finanziandola con affetto e buone intenzioni.
È svago, dopotutto, e può sempre aspettare.
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Ma prima che ce ne rendessimo conto lo svago diventa un bene di prima importanza, ai pari della farina e l’ora d’aria.
Lo svago offre evasione e parvenza di libertà.
Liste di romanzi da recuperare, serie tv da non perdere, dirette, spettacoli virtuali, piattaforme che offrono nuovi titoli a iosa: l’arte che mi ha sempre nutrito da una vita, all’improvviso diventa pane quotidiano, anche per mia madre che l’ha sempre presa all’acqua di rose.
Ho fermamente creduto di potermi barcamenare ancora per molto se questi sono gli accordi.
Poi un giorno ho iniziato a perdere attenzione.
È cominciato lo scorso autunno, poco prima della chiusura natalizia: ho premuto più volte pausa durante la visione, i personaggi sono diventati persone in carne e ossa davanti a me che parlano tra di loro e scomodano nuovi pensieri nella mia testa, che a loro volta ne scomodano altri ancora, e io finisco per seguire questi pensieri, perdendo il filo della storia.
Leggo un libro e mi formicolano le gambe.
Le parole sulla pagina mi riaccendono le sinapsi, ma non posso restare fermo.
Fatico a rimanere sdraiato, fermo immobile a nutrirmi di tutte quelle parole in silenzio.
La musica si salva in calcio d’angolo: puoi muoverti mentre riproduci quella canzone. Ma anche quella rimane confinata nelle mie orecchie.
Non c’è un’esperienza di comunione per celebrare suono e voce collettivamente, alzando le braccia in alto e pestandoci i piedi a ritmo.
Continuo a nutrirmi d’arte ma non ho fame.
Ne ho mangiata troppa, non so come digerirla. Si posiziona sullo stomaco e mi appesantisce ovunque vado.
Io mi abbuffo, ne prendo a palate, e non capisco più quando sono davvero affamato o la sto mandando giù per inerzia.
L’arte mi accende un fuoco cerca un gruppo intorno al quale riunirsi, comprendere come muoversi insieme a me in queste ore di smarrimento.
Prendo tutti questi film, tutti i libri e le canzoni, li metto in borsa, e trasportandoli per la città intontita, mi chiedo: mentre continuo a nutrirmi di lei, di cosa si nutre l’arte?
Della mia immaginazione? Dei sogni che dimentico appena sveglio? Dell’entusiasmo che provo entrando dentro una stanza piena di persone, e spogliandole di ogni orpello, sembra risvegliarle da un lungo sonno dove hanno dimenticato di essere sole e vive in un mondo dalle infinite possibilità?
Non so cosa farmene di tutto questo entusiasmo.
Non so dove metterlo, mentre si accumula dentro di me e rimane confinato tra quattro pareti.
Eppure continuo a mangiare.
Continuo a mangiare immagini, suoni, voci, parole, anche quando non ho la forza di mandare giù un altro boccone.
Non ricongiungo più le ore, le mie giornate hanno perso struttura.
Ma anche una volta caduta l’impalcatura dei miei pensieri, l’arte mi ricorda che sono ancora tutti lì.
Sparsi per la stanza, in attesa di risvegliarmi dal lungo sonno.
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