Antonio Finelli – Vissuto, solcato, scorrere del tempo. Una ricerca artistica fondata sulla pelle umana, mappatura geografica dell’anima e del tempo. Un iperrealismo umano vitale, in grado di instaurare un forte dialogo emotivo tra osservatore ed opera. Un sentimento di inquietudine esistenziale.
Giovane artista molisano, Antonio Finelli, di elevato talento ed umiltà creativa, quella che accomuna i veri artisti. Ha mosso i primi passi all’interno del liceo artistico G. Manzù di Campobasso, per poi approdare all’Accademia di Belle Arti di Roma, tempio di perfezionamento artistico. Costantemente arricchisce il suo bagaglio di soddisfazioni personali ed ammirazioni da parte della critica nostrana, in particolare quella autoritaria di Vittorio Sgarbi. Un esempio positivo per il mondo dell’arte e per una piccola regione come il Molise.
Membro attivo della corrente artistica contemporanea dell’iperrealismo pittorico, nata negli Stati Uniti alla fine degli anni sessanta. Un ragazzo sensibile, in grado di produrre arte emotiva che nobilita la pelle umana ad oggetto d’arte. Un lavoro di analisi, un’indagine spinta nei cavilli dell’estetica fisica dell’uomo, con l’obiettivo di scrutare il vissuto, la vita, di mettere in dubbio l’estetica contemporanea ed il senso di sicurezza. Non un’arte che indaga la fisionomia, la persona, ma un’arte elevata, che mette in dubbio le nostre certezze.
L’estetica del bello viene messa in discussione, giudicata, ribaltata. Un lavoro apparentemente atemporale, privo di emozioni, si rivela potente mezzo di riflessione della fragilità dell’esistenza. Una cute che schiaffeggia l’anima, quella dell’osservatore. La grafite prende vita, sentimenti. La grafite è il mezzo che instaura l’arringa tra la realtà che ci circonda e le opere dell’artista. Genitrice di una continua dialettica tra certezze ed incertezze, tra sicurezza estetica ed innovazione della visione.
Un’arte del “non finito”, della lacuna, delle pause bianche. Antonio Finelli elabora un linguaggio contemporaneo arricchito e connotato dalla presenza di spazi vuoti, di distacchi formali. Un lavoro la cui assenza genera presenza ed essenza. Un doppio lavoro fatto di pieni e vuoti, luci ed ombre. Vuoti dialetticamente drammatici, emotivamente instabili, carichi di pathos. Una rinuncia che carica, arricchisce, impreziosisce.
La fisicità passa in secondo piano, non impone la propria esistenza, veste i panni di comparsa, di labile sfondo. La pelle, tanto cara ad Antonio Finelli, lavora verso la smaterializzazione di se stessa. Nata da una spiccata iperrealtà, tocca l’apparente irrealtà fisica per approdare al mondo della filosofia, dell’incertezza, dell’inquietudine esistenziale dell’osservatore. L’estrema perfezione stilistica e formale lascia spazio all’opulenza espressiva.
Tematiche affrontante con grande maestria e sapienza formale nel suo ultimo lavoro: “FerroCarta – Di segni 2017”, strutturato e realizzato presso box art Cosenza. Una produzione d’arte che ha conquistato la critica ed il pubblico attraverso un’importante mostra tenutasi, lo scorso agosto, presso l’eloquente Castello di Capua nel comune molisano di Gambatesa. Un lavoro catartico e struggente allo stesso tempo, capace di imporsi protagonista in una location così prestigiosa e riccamente ornata. Arricchito da una forte dialettica tra lacune positive del Finelli e lacune negative degli affreschi contenuti nelle sale espositive. Un filo conduttore che parte dalla contemporaneità per approdare all’apparato decorativo del Donato da Copertino. Un lavoro che sarà presto visibile presso il polo museale del comune calabrese.