Secondo Armin Linke, possiamo capire il mondo in cui viviamo solo dotandoci di strumenti di lettura sociale e tecnica del modo in cui lo progettiamo.
Armin Linke, nato a Milano nel 1966, vive tra la Germania e l’Italia e, lungo tutta la sua carriera, ha esplorato, con le sue immagini, le relazioni tra l’uomo e le graduali trasformazioni che l’avanzare della tecnologia porta negli ambienti che questo popola, studia il modo in cui la tecnologia ha saturato il pianeta in cui viviamo e come questo processo renda sempre più labile il confine tra natura e artificio.
Per fare questo spazia dalla fotografia di paesaggio, a scatti che immortalano gli strumenti del controllo tecnologico, fino ai luoghi del potere. Da un documentario sulle Alpi, alle foto di archivi e quartieri generali di grandi aziende , fino al Senato e alle conference room dell’Onu.
Nel 2016, al PAC – Padiglione dell’Arte Contemporanea di Milano, Armin Linke presenta la sua ultima mostra: L’apparenza di ciò che non si vede.
La fase di selezione delle opere però non viene fatta dal fotografo italo – tedesco, che invece sceglie di affidarla a dei teorici appartenenti a diversi ambiti. Scienziati, sociologi, filosofi, hanno scelto 170 tra le oltre ventimila immagini che sono state messe a disposizione dall’archivio di Linke.
Quello che ne viene fuori è un percorso fotografico che sembra avere più livelli di narrazione.
Armin Linke fotografa spesso una tecnologia disordinata all’interno dei laboratori in cui entra, come a proporre un percorso ciclico in cui la tecnologia influenza la natura, ma la tecnologia è comunque figlia di un’evoluzione naturale e imperfetta. La composizione delle inquadrature, poi, è spesso statica, mai di grande impatto visivo, e sembra simboleggiare l’avanzare silenzioso dei mutamenti tecnologici che proseguono lenti nella loro manipolazione del rapporto tra l’uomo e ciò che lo circonda, senza mai una svolta brusca, ma con un incedere lento e costante che sembra indolore quando probabilmente non lo è.
Lo scopo della ricerca di Linke non sembra quello di incitare ad una ribellione nei confronti della tecnologia, ma, riprendendo l’approccio silenzioso delle sue fotografie, invita ad una riflessione e a una presa di coscienza critica rispetto all’evoluzione del mondo che ci circonda.