Il cinema, in Italia, è una delle eccellenze in assoluto. E non solo per l’ultimo vincitore dell’Oscar, ma per i decenni di attori e registi che hanno segnato in maniera indelebile la cultura, non solo nostrana. Il mondo cinema, altresì, è uno di quei campi nei quali tantissimi talenti si inoltrano per dar vita ai propri sogni: Carlo Sironi è uno di questi. Da anni lavora sui set, prima come assistente alla fotografia, poi come aiuto regista, ed oggi come regista e sceneggiatore. Tanti successi, tante buone idee, tanta voglia di andare avanti e mostrare i propri lavori. Carlo ci ha raccontato come è nata la sua passione e come, passo dopo passo, sta portando alla luce la propria creatività.
Carlo, fin da giovanissimo hai esordito come aiuto regista. Hai sempre immaginato di voler fare questo da grande?
Una volta finita il liceo ho iniziato ad appassionarmi di fotografia, a scattare e a padroneggiare sviluppo e stampa. Dopo l’esperienza su alcuni set come assistente fotografo di scena ho deciso che volevo lavorare nel cinema nel reparto fotografia, ma dopo un paio di anni sono passato a fare l’assistente alla regia. E’ stato un percorso graduale di avvicinamento al mestiere di regista che secondo me non richiede una preparazione specifica, ma in qualche maniera è la summa di tutto ciò che ammiri e dal quale sei attratto. Senza dubbio il lato estetico e la ricerca formale fatta con la fotografia per me sono stati importantissimi.
Facciamo un po’ il punto: nel 2008 esce il tuo primo cortometraggio, Sofia, due anni dopo First Timer e ancora nel 2012 Il filo di Arianna e Cargo. E’ cambiato qualcosa nel corso degli anni nel tuo modo di scrivere e di dirigere?
Penso che sopratutto all’inizio del proprio percorso un regista abbia il privilegio di non pensare troppo e di agire secondo il proprio istinto. Ovviamente l’approccio deve sposare il soggetto a cui hai deciso di lavorare. Mi piace affrontare progetti molto diversi fra di loro ma che abbiano dei fili, anche appena visibili, che li legano. Cerco di spaziare in ambienti, mondi e temi differenti. Ovviamente tutti i miei lavori mantengono un simile approccio formale e di messa in scena, ma questo non è una scelta, è semplicemente il modo un cui credo che vadano raccontate quelle storie. Sicuramente nel tempo sono cambiate molte cose, ho acquisito una maggiore chiarezza sul perché si effettua una scelta e non un’altra, insomma una maggiore padronanza delle possibilità che ti si pongono davanti. Quando penso all’esperienza per me significa sopratutto questo, un conoscersi sempre meglio, piuttosto che la mera abilità di gestire situazioni sempre più complesse.
Cargo è stato selezionato per la sezione Orizzonti della 69° Mostra del Cinema di Venezia, oltre ad aver vinto numerosi riconoscimenti in giro per l’Europa. Com’è stata questa esperienza?
E’ stata un’esperienza elettrizzante e difficile. Sopratutto in fase iniziale, quando ho deciso che volevo raccontare la storia di una prostituta, è stato difficile trovare una chiave. Il bisogno di raccontare questa storia partiva dalla voglia di approfondire qualcosa che nella nostra quotidianità’ ci sfiora appena. La prostituzione in strada e’ qualcosa sotto i nostri occhi tutti i giorni ma che ci sfila via velocemente dal finestrino. Avevo voglia di fermarmi con loro, restituire i tempi delle attese in strada, di una vita regolata dai tempi degli “altri”. Quindi ho iniziato a documentarmi con l’aiuto di Be Free, un’associazione che lavora contro la violenze sulle donne e la loro tratta. Ho letto parecchio materiale tra cui alcune testimonianze dirette di ragazze che avevano iniziato il percorso per uscirne. Tra queste mi colpì la storia di una ragazza che raccontava il tentativo fallito di un ragazzino di farla scappare. Chiaramente era l’unica storia con un barlume di umanità in un universo di sottomissione. Siamo partiti da lì cercando di raccontare una condizione fuori dall’ordinario, con realismo e crudezza. Abbiamo cercato di raccontare un paradosso: in un mondo in cui le donne sono trattate come merce e ogni sentimento nei loro confronti è negato, un ragazzino abituato a essere carnefice trova nella propria vittima l’unica possibilità di dar voce alla propria redenzione. Il lato formale, l’atmosfera e l’ambientazione mi erano chiari in testa. La vera sfida era trovare i protagonisti. E’ stato un lungo percorso di ricerca. I protagonisti di Cargo sono un’attrice professionista, Lidiya Liberman, e un non professionista Flavius Gordea. Volevo che sembrassero più fratello e sorella, che una vittima e un carnefice. Inoltre il fatto che Lidiya fosse più preparata, più grande anagraficamente e con una presenza forte in scena, faceva gioco con la storia per ribaltare il canonico rapporto vittima /carnefice.
Attualmente a cosa ti stai dedicando? In che direzione procede la tua carriera?
Attualmente sto lavorando al mio primo lungometraggio Sole. Siamo in fase di sviluppo sceneggiatura. Sto lavorando con Giulia Moriggi che è la sceneggiatrice di tutti i miei lavori, che dà un apporto fondamentale al progetto. Stiamo appunto sviluppando il film con la Kino Produzioni di Giovanni Pompili (il produttore di Cargo). La prima stesura di sceneggiatura è stata selezionata tra i 10 progetti per la Script Station del Berlinale Talents, il laboratorio di sviluppo sceneggiatura del Festival di Berlino.
Forse non tutti sanno che tu sei un figlio d’arte. Tua papà, Alberto Sironi, è il regista tra gli altri de Il Commissario Montalbano. Quanto la vicinanza al mondo del cinema ti ha influenzato nello scegliere questa strada?
Mio padre mi ha dato un’importante formazione, non solo cinematografica, ma sopratutto verso la letteratura. Mi ha trasmesso un amore per l’arte sin da bambino. E sicuramente mi ha fatto intravedere la strada che ho deciso di intraprendere.
Credi che per un ragazzo giovane, preparato, diciamo anche ambizioso, essere “figlio di” possa comportare qualche porta in faccia in più del dovuto? Nel corso della tua carriera ti è mai capitato di dover dimostrare di saper fare bene il tuo lavoro a causa di pregiudizi?
Mi è capitato di dover dimostrare di saper fare bene il mio lavoro ma non penso più del dovuto. Sicuramente alcune persone all’inizio ti guardano in un altro modo, ma poi credo che nella valutazione di un tuo lavoro questo pregiudizio scompaia.
Qui in Italia quante possibilità ci sono per un regista e sceneggiatore emergente di farsi notare? Hai mai pensato di dover giocare la “carta” estero?
Penso che i registi debbano fare il loro primo film nella loro lingua madre e tendenzialmente nel loro paese di origine. Almeno questo vale per me. Credo che sopratutto sia fondamentale sviluppare i propri lavoro in sintonia con quello che accade fuori dall’Italia.
La creatività è una componente fondamentale nel tuo lavoro. C’è un consiglio che ti senti di dare ha chi ha scelto di intraprendere la tua stessa strada, investendo in quello che più lo appassiona?
E’ una domanda difficile. Credo che sopratutto non si deve aver paura di farsi “ossessionare” da qualcosa. Penso che questo sia il primo passo per creare qualcosa. Credo che la trasformazione e la rielaborazione siano alla base di ogni creazione e che l’arte si reinventi continuamente. Quindi leggere, vedere film, e fare qualunque altra cosa verso cui la tua ossessione ti porta; fondamentalmente studiare quello che ami e cercare di rielaborarlo.
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If there is a thing we can do, here in Italy, that’s cinema. And I’m not talking about the last Oscar-winning. I’m talking about decades of actors and directors who have marked deeply our culture. In that world, there are lots of talented young men and women who are trying, with struggle, ambition and passion, to come out so their voices can be heard, their point of view may be seen. Carlo Sironi is one of them. He has been working for ages in this field, first as photography assistant, then as assistant director and now as director and screenwriter. Lots of successful works, great ideas and desire to show the world what he can do. Carlo told us how this passion was born and how he is managing to show his creativity.
Carlo, when you were young you started as assistant director. That’s what you have been imagining you would be doing?
When I finished high school, I became really fond of photography, shooting and development and print. After the experience as assistant set photographer I decided that I wanted to work in this business in the photography unit, but a couple of years later I was assistant director. It was a step-by-step way that introduced to the role of director that in my opinion does not require a specific competence, but it is the
combination of everything you admire the most and that attracts you. Undoubtedly the aesthetic and the researches that I have done with photography have been very important.
Let’s take stock of the situation: 2008, your first short film, Sofia, two years later First Timer and then in 2012 Il filo di Arianna e Cargo. During these years, has your way to write and direct changed?
I think that especially we you start your career as a director, you have the privilege not to think too much and to follow your instinct. Of course the approach has to be linked to the subject you choose. I like to work on projects that apparently are very different but are somehow connect to one another I try to range into different world and themes. In all my works I have the same formal approach and the way I decide to put things together, but that’s not a choice, that’s just the way I believe stories have to be told. Surely as time goes on, things have changed, I got more clarity on why I do or do not something, a better mastery of the possibilities I have. When I think about the concept of experience, that’s what it means to me, a knowing yourself better, rather than the ability to manage much more difficult situations.
Cargo was selected for the section Orizzonti in the 69th Mostra del Cinema di Venezia, and has won several recognition around Europe. How was it?
It was electrifying and difficult, especially at the beginning, when I decided I wanted to tell the story of a prostitute, it had been hard to find a key. The desire to tell this story came from the want to investigate something that merely touches us in our day life. Prostitutions on the streets is something that happens every day under our noses but marches out fast from the window. I wanted to stay with them, return the waiting in the street, the life settled by someone else’s time. So I started to research with the help of Be Free, an association that works against violence against women and their trade. I read a lot of testimonies of girls who started a path to get out of it. Among them there was the story of a girl who told the failed attempt of a boy to help her leave. That was the only story with a spark of light in a universe of submission. We started from there trying to tell something that is outside the ordinary, with realism and bluntness. We tried to describe a paradox: in a world where women are treated like items and every feeling for them is not allowed, a boy who is usually the butcher finds in his victim the only way to redemption. The formal aspect, the atmosphere and the setting were very clear in my head. The real challenge was to find the protagonists. It took a long time. Cargo’s protagonists are a professional actress, Lidiya Liberman, and a non professional Flavius Gordea. I wanted them to be like brother and sister more than butcher and victim. Moreover being Lidiya more prepared, older and with a strong presence in the scene, it was perfect to be played with the story, in order to overturn the canonical relationship butcher/victim.
What are you working on now? Where is your career going?
I am working on my first feature film Sole. We are working on the script with Giulia Moriggi, who wrote my previous works and is really important to the project. We are doing this film with the Giovanni Pompili’s (Cargo’s produced) Kino Produzio. The first draft of the script was selected among the first 10 projects for the Script Station of the Berlinale Talents, the developement screenplay lab of the Berlin Festival.
Maybe not everyone knows that you have been following in your father’s footsteps. Alberto Sironi is the director, among the others, of Il Commissario Montalbano. Has this closeness to the cinema influenced you in choosing your path?
My father was very important in my education, non only the cinematographic one, but most of all in the literary one. He gave me the love for art since I was a little boy. And surely he indicated me the path I decided to take.
Do you believe that for a young, prepared ambitious guy, being “the son of” might be more difficult? During your career has it ever happened to you that you had to show how good you were because of prejudices?
I had to demonstrate to be able to do my job but not more than I should have. Surely at first people look at you differently but then I believe that in the judgment of your work that prejudice disappears.
In Italy how many chances are there to be noticed as a director and a screenwriter? Have you ever thought about going abroad?
I believe that directors should make movies in their mother tongue, so basically in their country. But that’s what I think. I also thinks that is very important to develop your work in harmony with what is happening outside Italy .
Creativity is the main part of your job? Are there any advices you feel to give to someone who has decided to share your path, investing in what he is passionate about?
That’s a hard question. I believe that you don’t have to be afraid to be “obsessed” by something. I think that’s the first step in creating something. I believe that the transformation and the new elaboration are the pillars of any creation and that arts reinvents itself every time. So read, watch films, do anything your obsession tells you to do; basically study what you love and try to reinvent it.
Traduzione a cura di Eleonora De Palma