David Alexandre Da Costa è un ragazzo romano di origini portoghesi che ormai da due anni ha lanciato una sua linea di design legata alla realizzazione di borse.
Come sostiene lui stesso, DAVID BAGS è un’idea nata sperimentando, toccando stoffe e fili, unendo forme geometriche e colori pieni. Le sue borse sono qualcosa di ricercato, rese uniche dall’artigianalità del prodotto. Ci siamo interessati alla sua storia per la cura del progetto e soprattutto per l’idea che un giovane possa reinventarsi dedicandosi a ciò che gli piace fare davvero: creare.
Grazie alla sua determinazione si sta facendo strada nel mondo del fashion design e noi di The Walkman gli auguriamo un futuro pieno di soddisfazioni.
Ciao David, siamo rimasti particolarmente colpiti dal tuo progetto. Parlaci di te e di “David Bags”.
Diciamo che è nato tutto un po’ per caso. Studiavo architettura e mi piaceva molto il suo lato creativo e procedurale, ma avevo anche capito che non faceva per me, sentivo che non mi appagava pienamente. Un giorno mia madre è tornata a casa con una macchina da cucire nuova. In teoria sarebbe dovuta servire a lei, ma quando ho trovato delle stoffe che mi piacevano, ho provato a utilizzarla e poco dopo ho cucito la mia prima borsa. Da quel momento ho capito che questa era la mia strada. E la macchina da cucire è diventata mia.
Dall’idea fino alla realizzazione, come avviene il tuo processo artistico?
Quando devo cominciare una nuova collezione cerco di riempire il più possibile la giornata di impegni. La sensazione di avere poco tempo mi spinge a lavorare meglio e, paradossalmente, crea una situazione di concentrazione totale. L’ispirazione può venire un po’ ovunque: sotto la doccia, mentre mangio, quando faccio l’amore o durante una delle tante passeggiate che mi concedo. Sono lì intento a fare o pensare altro e… improvvisamente spunta l’idea. Ammetto di essere un buon osservatore e di prendere spunto da tutto ciò che mi circonda, che sia la linea di un palazzo, un libro di arte, il colore o la consistenza di una particolare stoffa. Una volta che ho in mente l’idea disegno il progetto, anche se l’oggetto finale a volte può anche allontanarsene. Di solito seguo una particolare idea-guida (una linea, un colore acceso o un accostamento insolito di materiali) che è presente nell’intera collezione. Ogni borsa è così collegata l’una con l’altra. La vedo un po’ come quando in architettura si arriva a contestualizzare il progetto con il paesaggio circostante.
Quanto conta per te l’artigianalità del prodotto?
Un prodotto artigianale è, ovviamente, profondamente diverso da quello industriale. Per esempio, se in un prodotto uscito da una fabbrica c’è una cucitura un po’ storta, una misura sbagliata, questi vengono chiamati “difetti di fabbrica”. Un prodotto artigianale è invece imprevedibile e, spesso, quello che all’apparenza può sembrare un errore, finisce per arricchire il prodotto finale. Inoltre l’oggetto artigianale nasce e finisce dalla mente e dalle mani di un’unica persona, che con cura approfondisce ogni dettaglio. Il prodotto di fabbrica nasce invece da uno smembramento delle fasi di lavorazione di un prodotto. È, insomma, tutta un’altra storia.
Nei tuoi lavori unisci forme dinamiche con colori accesi. Quali sono i designers o i movimenti artistici a cui ti ispiri?
Nel design delle mie borse ricerco soprattutto la forma pulita e minimale. Fondamentale è la cura nell’accostamento dei colori e delle geometrie. Ammetto che più che lasciarmi ispirare dal mondo della moda e da altri designer, preferisco guardare verso l’arte e l’architettura. L’uso dei colori, delle forme, dei materiali. In una formazione come la mia, ovvero principalmente da autodidatta, poter osservare è diventato fondamentale, poter allenare l’occhio su una tela di Rothko o Newman, o davanti a un edificio di Meis van der Rohe o Tadao Ando alimenta la mia fantasia e dà vita a nuove ispirazioni.
Quanto influisce la tua formazione in Architettura nella creazione delle tue “opere”?
Penso che la formazione in architettura sia stata fondamentale, mi ha dato il senso dell’armonia e dello spazio, la capacità di elaborare e accostare forme. È presente e caratterizza sempre tutto il processo di ideazione ed elaborazione di una mia collezione.
Quanto è difficile farsi strada da solo nel mondo della moda?
Molto, soprattutto per chi come me è autodidatta. Sono necessari molti soldi, che spesso non si hanno, e, sicuramente, delle buone conoscenze. Personalmente, però, entrare a far parte di quel “mondo” non è per me una priorità.
Pensi che in Italia ci siano abbastanza opportunità per i giovani designers di farsi notare o è preferibile emigrare all’estero?
Non mi sento nella posizione di dare consigli o di poter fare un discorso troppo generale. Io, personalmente, ho deciso di andare all’estero, non so bene per quanto, ma è a prescindere un’esperienza che ti dà molto, nonostante tutte le difficoltà di vivere in un paese straniero. Al di là del contesto politico ed economico di un paese, avere la possibilità di viaggiare è un’esperienza che chiunque dovrebbe poter fare. È l’occasione ideale per ampliare lo sguardo e mettere in discussione se stessi e la propria cultura. E questo costituisce sicuramente un arricchimento, imprescindibile per qualsiasi tipo di processo artistico. L’Italia ti dà sicuramente molto dal punto di vista culturale, abbiamo una tradizione immensa della moda. Ma sicuramente, quanto a possibilità, la vedo molto nera per chi ha poco budget per poter studiare nelle uniche e costosissime scuole di moda e così poter aver qualche opportunità di ricevere offerte di lavoro e una formazione completa. Comunque credo che ormai, soprattutto in campo artistico, è diventato, nei limiti, indifferente il luogo in cui vivi. So che le mie borse sono arrivate anche in Canada o a Parigi, che sono state viste e apprezzate perfino in Giappone. Dunque non credo che sia poi così decisivo il luogo in cui materialmente risiedi.
Usiamo l’immaginazione: dove vorresti essere tra 10 anni e cosa vorresti fare?
Che domandone! Posso dirti che non so neanche dove vorrei essere domani? Sicuramente spero di poter continuare a fare quello che mi piace davvero.
“The WalkMan” si pone come obiettivo quello di lasciare spazio e visibilità ai giovani emergenti in qualsiasi campo artistico. Cosa ti senti di suggerire a chi ha deciso o sta decidendo di investire la propria vita nella creatività?
Di continuare a crederci. Non che sia semplice, anzi è ovviamente tutto più complicato di come il nostro “sogno” ci voglia far credere, ma proprio per questo continuare, e non fare mai in modo di avere rimpianti. Se si decide di investire il proprio tempo in quello in cui si crede, in quello che ci caratterizza e che alimenta le nostre giornate, sarà sempre tempo ben speso. Platone lo dice sicuramente meglio di me: “Per chi intraprende cose belle è bello soffrire, qualsiasi cosa gli tocchi”.
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David Alexandre Da Costa is a Roman guy with Portuguese origins who launched two years ago his own line of designed bags.
As he said, DAVID BAGS was born experimenting, touching fabric and strings, trying to put together geometrical shapes and full colours. His bags are something refined and unique because of the craftsmanship of the product. We were curious about his story because of the attention he put in his projects but most of all because of the idea that a young man can reinvent himself by doing what he likes the most: creating. Thanks to his determination, he is making his own way into the fashion design world and we ,from The WalkMan, wish him a future full of satisfactions.
Hi David, we have been particularly hit by your project. Let’s talk about you and “David Bags”.
Let’s just say that it was born by chance. I was studying Architecture and I really liked the creative and procedural part, but I understood it wasn’t for me. I felt like it didn’t fully satisfy me. One day, my mother came home with a brand new sewing machine. In theory it should have been hers, but when I found some fabrics I liked, I used it and I came up sewing my first bag. In that moment I realized that it had to be my path. And the sewing became mine.
From the idea to the concrete product, how does the artistic process happen?
When I have to start a new collection, I try to be busy all day. The feeling that I don’t have much time makes me work better. The inspiration can come from everywhere: when I’m in the shower, when I eat, when I make love or when I go out for a walk. I’m doing or thinking something else and… suddenly comes the idea. I admit I am a good observer and I take the cue from everything that surrounds me: the shape of a building, an art book , the colour and the texture of a particular fabric. Once I got the idea, I draw the project, even if the final result may be different. Generally I follow a particular leader idea (a line, a joyful colour or an unusual combination of materials) that can be seen in the entire collection. In this way, every bag is connected to the others. I thinks it is something like when, in architecture, a building project needs to be naturally integrated with the surrounding landscape.
How much does the craftsmanship of the products count for you?
Obviously an handicraft item is totally different from an industrial one. For example, if a factory product has a wrong seam, or is the wrong size, is considered as a “manufactured defect”. An handicraft product, form this point of view, is unpredictable. In fact most of the time, what may seems a mistake ends up enriching the final product. Moreover, the handicraft item is started and ended by the hand of a single person that carefully examines every detail. A factory product is born from a split in the working phases. It is a completely different thing.
In your works, dynamic shapes are joined with glowing colours. What are the designer or the artist movements you take inspiration from?
In my bag’s design I most of all research for a clear and minimal shape. Basically it is the attention in combining colours and layouts. I admit that instead of being inspired by the fashion world or by other designers, I look at art and architecture. The use of colours, shapes, and materials. With a training such as mine , mostly self-taught, being able to observe is essential. Being able to train your eyes on a Rothko’s or Newman’s painting, or in front of a Meis van der Rohe’s of Tadao Ando’s building nourishes my fantasy and gives life to new inspirations.
How much does your education in Architecture influence the creation of your “works”?
I believe it has been essential because it gave me the sense of harmony and space, the ability to create shapes and put them together. It’s always present and it characterizes my whole conception and elaboration process of my collections.
How hard is it to plough thorough alone in the world of fashion?
It is really hard indeed, especially for a self-educated guy like me. You need a lot of money, that most of the time you haven’t, and good acquaintances. But actually, it is not a priority of mine to become “part” of that world.
Do you think there are enough opportunities for young designers here in Italy to be noticed? Or is it better to go abroad?
I don’t think I’m in the position to give advices or to talk in a general way. I’ve personally decided that I’m going abroad, I don’t know yet for how long, but I believe it is a good experience, despite all the difficulties you may find when you live abroad. Beyond the political and economic context of a country, having the chance to go travelling around is something anyone should do. It is the ideal occasion to extend your sight and call into question yourselves and your culture. This is definitely an enrichment inescapable for any kind of artist process. Italy certain gives a lot from the cultural point of view. We have a massive tradition when we talk fashion but surely, if we talk about opportunities, I can’t see many way out for those who have a low budget to study in the few, expensive fashion schools in order to have a chance to find a job and have a complete development. However I believe that in all the artistic field nowadays it doesn’t matter where you come from. I know that my bags reached Canada or Paris, and are appreciated even in Japan. I don’t believe it’s so important where do you actually live.
Just imagine: where would you be and what would you be doing ten years from now?
What a question! Can I tell you that I don’t know where will I be tomorrow? I hope I can continue doing what I really like.
“The WalkMan” has the purpose to give some space and visibility to young emergent artists in any field. What would you like to suggest to those who had decided or are about to invest in their creativity?
To believe in it. It’s not a simple path, and is more complicated than our “dream” may make us believe. But that’s why you should go on and try not to have any kind of regrets. If you decide to dedicate your time in what you believe, what makes you who you are and nourishes your days, it will be worth it. Plato surely sais it better that I do ” But it is noble to strive after noble objects, no matter what happens to us”.
Traduzione a cura di Eleonora De Palma