Davide Crudetti – Under 25 con la voglia di raccontare, vivere e far vivere i suoi viaggi. Un creativo che nobilita l’ottimismo ad arma per combattere la jungla metropolitana. Sensibile e geniale.
Davide Crudetti: un ragazzo che trasmette valori, che ha sete di sperimentare, di osservare la vita e la cultura mondiale. Un ragazzo che può donare tanto all’Italia. Entriamo nel suo mondo attraverso quest’intervista realizzata in occasione del festival Dominio Pubblico_la città agli under 25.
Chi è Davide Crudetti? Potremmo definirti un viaggiatore con il bisogno di comunicare?
Sono un ragazzo di venticinque anni cresciuto in una piccola città di provincia che a un certo punto ha sentito il bisogno di andare via. Non so come si definisca un viaggiatore. Uno che viaggia a tempo pieno? Uno che mette il viaggio al centro della sua vita? Io sono andato via da casa a 19 anni, ho vissuto a Bologna, Valencia, Istanbul, Madrid e poi a Roma. Ultimamente viaggio abbastanza per lavoro, e anche quello è viaggiare. Ma forse no, non sono un viaggiatore. Viaggiare mi piace ma più che il viaggio mi piacciono le storie che il viaggio porta con sé, quelle che un viaggio incontra. E mi piace raccontarle.
Comunicare questo mondo è complicato ma è una delle cose più affascinanti e soddisfacenti che si possa fare. E comunicare questo mondo non può che essere fatto raccontando le sue storie. Che sia un viaggio dall’altra parte del mondo o dietro casa tua, viaggiare per me vuol dire avere la possibilità di vivere un po’ le vite di qualcun altro, di sentirle mie per un po’. Perché se le cose non le senti poi in fondo non riesci neanche a raccontarle.
Cosa ti ha spinto a realizzare il tuo primo film?
Davide Lupi, con cui ho scritto il soggetto del documentario, è un mio grande amico. Vive in Cina da un po’ di anni ormai e ci sentiamo spesso. Durante una delle tante telefonate mi ha raccontato che nei mesi successivi sarebbe stato per alcune questioni lavorative a Dimen, il villaggio dove è girato prevalentemente il film. Mi ha parlato delle storie di quel posto e io, che non sono mai stato un appassionato di Cina o Oriente in generale, ho iniziato a chiedergli di più.
C’erano le migrazioni, il lavoro, il concetto di casa e il dover stare lontano da essa. C’era tutto quello su cui io avrei voluto costruire il mio primo documentario e solo un piccolo inconveniente: che questo tutto stava dall’altra parte del mondo. Dopo aver parlato una notte intera, abbiamo deciso di iniziare a fare in modo che dall’altra parte del mondo ci si potesse andare davvero. Così è nato Mingong.
MINGONG è un viaggio di ricerca, di emozioni. Come ha cambiato la tua cultura ed il tuo modo di osservare?
La Cina è un posto lontano. Per geografia e per tradizioni antiche. Nel mondo globalizzato però è ovviamente anche un posto più vicino a noi di quello che si possa pensare. Andare via da casa tua per cercare un lavoro, lasciare i tuoi figli e i tuoi genitori, trasferirti in un posto lontano dove starai per i successivi vent’anni, sapere che quello che stai facendo è indispensabile a te e alla tua famiglia, è un passo grande, importante, ma non è un passo così lontano da noi. La mia generazione un po’ lo vive, spesso se si vuole crescere professionalmente in molti ambiti si è costretti ad andare verso nord.
Più che la storia della nostra generazione però, giorno dopo giorno, quei racconti che sentivo mi riportavano a quelli di mia madre su mio nonno, di mio nonno su mia madre. Agli sforzi delle famiglie operaie di due generazioni fa, quando in nome di un futuro migliore, del liceo dei propri figli, di una casa da costruire, si andava a lavorare da un’altra parte, portandosi dietro tutta la famiglia o, quando impossibile, lasciandola a casa e vedendola solo durante le feste comandate. Proprio come a Dimen, dove si torna dai propri figli piccoli solo durante il capodanno cinese, dove l’obiettivo di ogni famiglia è mettere da parte dei soldi per costruire una nuova casa di cemento e distruggere la propria vecchia casa di legno. Dove la vita ha un corso preciso, lo stesso per tutti.
DOMINIO PUBBLICO indaga la creatività dei giovani artisti. Come vede il mondo un creativo under 25?
Molti lo vedono abbastanza male, ma forse senza ottimismo fare questo mestiere non è possibile. Lungi da me parlare di un ottimismo miope del “domani vedrai che andrà meglio”. Ci sono problemi grossi e chiarissimi a livello strutturale in ambito artistico, in Italia e ovviamente non solo. Un creativo under 25 vive questa giungla fatta tirocini non retribuiti, lavori mal pagati e competitività il più delle volte poco sana. E magari rinuncia a pezzi grossi della sua vita privata, della sua quotidianità, per rimanerci aggrappato, per fare in modo che la giungla non corra più veloce di lui e lo lasci indietro.
Non è una giungla rosa e fiori, anzi forse sono più spine che altro. Io, e parlo per me e per il mio lavoro, credo però che raccontare storie veicolandole nel migliore dei modi sia una cosa molto bella oltre che molto utile. E credo anche che se c’è un modo per cambiarlo almeno un po’ questo mondo, la cosa indispensabile da cui partire sia la conoscenza dell’altro. Quello che abbiamo seduto affianco a noi in autobus come quello che vive dall’altra parte del mondo, quello che senza qualcuno che ci racconti la sua storia potremmo non incontrare mai nella vita. Per questo, finché avrò la forza, sarò ben contento di starci in questa giungla, sperando e facendo il mio per fare in modo che anche la giungla un giorno abbia un po’ più di rose.