Il mondo scultoreo di Elodie Antoine è in continua espansione. Oggetti quotidiani assumono forme umane, crescono, si mostrano nella loro interiorità e si aggrappano, come parassiti, allo spazio fino a mutarlo e a crescere insieme a lui. Un gioco di rimandi tra interiorità ed esteriorità, tra ciò che ci spaventa e più ci rassicura, come le tradizioni e la sessualità.
“Il lavoro di Elodie Antoine riguarda la vita”, ha scritto in un articolo Nathalie Stefanov nel 2009. Tuttavia, osservando le opere di questa artista belga, si ha l’impressione che qualcosa sia andato storto nello scorrere di quella vita.
Il lavoro di Elodie Antoine è principalmente scultoreo e mischia tecniche tradizionali di lavorazione della materia, come il ricamo e il cucito, a un allestimento spesso site specific che cerca di fondere l’oggetto al luogo nel quale viene collocato. Come una escrescenza che si palesa, si sgancia, si aggrappa parassita e comincia a crescere. Esattamente al pari di un fungo o di una muffa.
Gli oggetti di uso quotidiano e i materiali flessibili – filo, moquette, feltro – spesso utilizzati da Elodie Antoine, creano un universo fatto di materia organica che sembra nato proprio dallo spazio in cui sono inseriti. E non è immobile, ma in progressione.
Elodie Antoine gioca con la forma.
In Elodie Antoine “l’oggetto diviene corpo”, implicando così una relazione intima. Spesso forme e riferimenti mostrano una natura sessuale della scultura. Il tessuto, materiale tradizionalmente riservato alle donne, si avvicina il mondo maschile abbattendo ogni tipo di dominio. Viceversa, strumenti presi in prestito dalla meccanica cambiano di stato e significato, per trasformarsi in leziosi maquillage da borsetta.
Anche in questa giostra di inversione dei ruoli proposta da Elodie Antoine c’è spazio, però, per una riflessione più intima sul grembo, sulla riproduzione, sulla sessualità. Se in un primo momento le mutande ricamante con feti e ovaie possono apparire graziose, osservati del dettaglio questi interventi evidenziano una certa morbosità. Le piccole chiazze rosse su un tutù rosa, la sottoveste tagliata all’altezza di un ventre gravido, i capezzoli strizzati su una camicia bianca, morbide e gigantesche ovaie penzolanti spingono ad un’analisi più sottile del contesto che riguarda la maternità, il rapporto con i sentimenti e la sessualità cruda.
Questo genere di installazioni potrebbero essere in linea con artiste come Louise Bourgeois, Eva Hesse, Sarah Lucas e Annette Messager, la quale pone a fianco di delicati acquerelli di ovaie la scritta “A mio desiderio”.
Elodie Antoine e KAMA.
Kama. Sesso e Design era il titolo della mostra collettiva organizzata da Triennale Design Museum nel 2012 per analizzare il rapporto tra sesso e progetto.
In questo contesto, Elodie Antoine ha potuto confrontarsi con moltissimi artisti contemporanei e con i suoi riferimenti, come la Bourgeois e la Lucas, senza tralasciare la sua pratica artistica quotidiana, nella quale l’oggetto si fa forma e invade la sfera della quotidianità.
“In KAMA. Sesso e Design si indagano forme e strategie con cui la sessualità si incorpora nelle cose e ne fa strumento di conoscenza”, ha affermato la curatrice della mostra Silvana Annicchiarico. Negli oggetti presentati, che avevano come matrice morfologica gli organi genitali e sessuali, c’era molto della poetica e della visione immaginifica di Elodie Antoine, che alle volte parte da particolari e racconti celati per costruire mondi “postumani”, pregni di forme ibride.
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“L’oggetto domestico è vivo e risveglia le nostre paure.”
Gli svelamenti e gli intrecci di Elodie Antoine
Meglio sarebbe chiamare alcune operazioni compiute da Elodie Antoine, attraverso le sue sculture, in “sviscerare”. Perché per l’artista le nozioni di interno, esterno e movimento sono costanti. Questo può spiegare l’aspetto di molte opere in feltro dalla forma tubolare, sistemi di drenaggio simili a organi sezionati, che si aprono al visitatore a mostrare un’interiorità che evoca il flusso sanguigno. Elodie Antoine rende dunque visibile il processo di creazione. Che è in divenire e nasce dalle caratteristiche del materiale che usa.
Il filo, protagonista di molte delle sue opere, non solo viene visto come mezzo per unire elementi diversi in una sola scultura, ma anche come puro soggetto dalle potenzialità narrative, come nella serie delle centrali nucleari e delle fabbriche. Addirittura si fa immateriale, simulando il fumo che esce dalle ciminiere.
Si ha a che fare, qui, con la verità. Ovvero con il corpo e il suo futuro in ogni aspetto. Un futuro in grado anche di legarci e farci condividere spazi e movimenti, come solo un filo sa fare. O un abbraccio.
E allora vien da domandarsi: l’invasione di muffe e funghi nelle stanze della nostra intimità, la proliferazione di elementi organici in espansione e in fase di mutamento, oggetti quotidiani sempre più antropomorfi, insomma questo paesaggio così terrificante e allo stesso tempo così famigliare disegnato da Elodie Antoine, forse davvero ci parla della vita che scorre.
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