Un solo fotogramma, un piccolo secondo, può bastare per far urlare: “Questo film merita di essere visto”. È questo l’effetto della fotografia cinematografica.
Per realizzare al meglio una fotografia cinematografica è necessaria la collaborazione di più professionisti. La figura chiave ovviamente è quella del regista. Eppure chi fa il “lavoro sporco” e cerca di realizzare al meglio l’idea alla base del film è il direttore alla fotografia.
Raggiungere il cosiddetto punto di equilibrio in una sola inquadratura è un lavoro complesso, frutto del connubio di più fattori. Colori, luce, ombra, angolazione, distanza, altezza, messa a fuoco, non si può perdere nemmeno un passaggio. È sicuramente complesso tener conto di tutti questi elementi, ma il risultato finale può gratificare tutta la concentrazione e l’attenzione messa in campo.
Revenant – il redivivo
Poche parole ed un tripudio di immagini. Un film che non parla, ma che si esprime con panorami mozzafiato. Luoghi sconfinati e distese di terra sostengono il concetto della solitudine e delle difficoltà del protagonista. Non a caso questo lavoro è valso l’Oscar ad Emmanuel Lubezki (il terzo di fila dopo Gravity e Birdman). La particolarità risiede nel aver girato interamente questo film con la luce naturale nella gelida terra del fuoco in Argentina. Il risultato è una vera ovazione alla fotografia cinematografica paesaggistica che rende giustizia ad un lavoro svolto a -30 gradi di temperatura.
Salvate il Soldato Ryan
L’idea di Spielberg per realizzare questo film era di creare un racconto sulla seconda guerra mondiale con un tipo di ripresa il più vicino possibile a quell’epoca. Un’immagine desaturata, con un colore tendente al grigio per un effetto più vecchio, senza rinunciare a nitidezza ed efficacia d’impatto è stato il prodotto confezionato da Janusz Kamiński. Tutta la sua abilità e la sua attenzione si sprigiona in particolar modo nella scena dello sbarco degli alleati.
Grand Budapest Hotel
Il lavoro di Wes Anderson è forse la migliore espressione di fotografia cinematografica. Piccoli frame di assoluto silenzio ed immobilismo incorniciati da colori vivi ed una luce forte, fanno sì che i suoi film sembrino un collage di istantanee di una polaroid. Robert Yeoman è un maestro nel realizzare l’idea di Anderson per Grand Budapest Hotel. Nella scena dell’ascensore, una piccola inquadratura racchiude tutto il possibile, dalla noia alla tensione in uno sfondo rosso acceso. I colori vivi e forti sono i veri protagonisti della scena; qui usati in maniera saggia per esprimere un concetto piuttosto che rappresentare una realtà.
2001: Odissea nello spazio
Riguardo alla collaborazione tra Kubrick ed Alcott si potrebbe parlare di Barry Lyndon come eccelso lavoro di fotografia. Tuttavia 2001: Odissea dello spazio è forse il punto di svolta per tutti e due. Non è solo l’incontro fra due maniaci della perfezione, ma anche la dimostrazione di tutta la potenza e la tecnica di un regista volto emblematico del cinema degli anni sessanta e successivi. Il film è la creazione dell’anti-racconto, i dialoghi sono scarsi e a farsi sentire sono immagini e suoni. È il ritorno del cinema “della pura visibilità” dei cineasti del muto. Basti pensare alla scena del viaggio psichedelico dell’astronauta: un susseguirsi di immagini astratte in un tripudio di colori con solo un elemento definito, un occhio.
Toro Scatenato
Il film che ha ridato vita a Martin Scorsese dopo essere entrato in una spirale di droga e depressione. Siamo nel 1980 e la scelta che fanno insieme Scorsese ed il suo direttore della fotografia Michael Chapman è di girare interamente un film in bianco e nero. Il risultato è sensazionale, creando autenticità e riallacciando il film alla realtà degli anni quaranta. Questa scelta, dal gusto vintage, permette inoltre di dare al film la violenza e il senso cruento degli incontri di boxe che il regista newyorkese voleva dare al suo lavoro. La fotografia cinematografica si dimostra ancora una volta elemento in grado di esaltare un film.
La finestra sul cortile
Il maestro del thriller Alfred Hitchcock sosteneva che un buon film dovesse essere di poche parole e di facile comprensione per tutti quanti. Questa pellicola è un esempio lampante del potere della fotografia cinematografica. Le immagini sono il collante della storia che vede un protagonista statico. Per realizzare il film ci sono voluti ben quattro tipi diversi di illuminazioni per ogni momento della giornata. Una sola inquadratura è capace di esprimere più di mille parole. Incredibile è l’abilità nel creare quel senso di suspense e di angoscia marchio di fabbrica del regista britannico.
Molti altri sono i lavori che hanno basato sulla potenza della fotografia cinematografica il proprio successo. Eppure la cosa che più di tutte segna il successo di un’immagine è la forza di toccare nel profondo. Spiegare qualcosa a parole può essere semplice, ma esprimere sentimenti senza parlare è un’arte.