Mosa One è un artista Italo/Egiziano nato a Roma nel 1997, ha iniziato a fare arte in età adolescenziale. All’età di 19 anni debutta nell’ambiente dei musei con l’esibizione ‘‘Cross the streets’’ al Museo Macro di Roma. Oltre a dipingere in un museo conta anche diverse opere in molteplici ambienti come scuole, chiese, strutture private e soprattutto zone periferiche della sua città nativa, da dove è nato il suo percorso artistico.
Calligrafia Araba, segni Orientali, colori accessi e figure Pop. Questo è il mix personale che crea l’artista con le sue opere per avere una ricerca personale dell’identità e rappresentare le sue due culture, creando un punto d’incontro tra due realtà che gli appartengono.
Fuori tutto scorre è stato pensato e realizzato nel periodo subito successivo al Lockdown della scorsa primavera, una riflessione a caldo del periodo appena vissuto.
Come ci spiega l’artista stesso “In questi mesi di quarantena ho guardato tanto fuori dalla finestra, visto che era l’unico sbocco che mi poteva collegare con l’esterno, e guardando il parco fuori dalla mia stanza spesso mi veniva da pensare agli uccelli, a quanto siano fortunati di volare liberi come vogliono mentre noi eravamo chiusi in casa.
La finestra, il mare e la barca rappresentano la speranza che tutto possa tornare a scorrere e allo stesso tempo la visione di un futuro incerto, una barca di carta in un mare immenso, la scoperta collettiva della fragilità del nostro genere.
La texture interna è il mio segno distintivo: decorazioni orientali, fiori e colori che si mischiano tra loro, un flusso di coscienza astratto che vuole rappresentare la bellezza interna, come per dire c’è del bello anche dentro casa, anche dentro noi. Una scoperta interiore e una ribellione a questa società moderna che ci forza a concentrarci più su ciò che sembriamo e non su ciò che siamo, la conseguenza dello star a contatto con se stessi riscoprendo il proprio vero essere e le cose che realmente contano in questa vita”.
«Sono legato alla mia città in generale, sono legato molto al mio quartiere, sono legato sia ai posti di periferia della mia città, sia al centro perchè sono entrambi d’ispirazione per me, in modi diversi però li vivo entrambi e mi ispirano entrambi. Io c’ho un parco davanti casa e vedi che la vita si muove, cioè gli uccelli girano, fanno come gli pare, gli alberi vivono, c’è vita fuori, c’è una speranza.
Il mio rapporto con la velocità è legato al fatto di aver vissuto sempre in città, un pò devi essere veloce e anche io sono un pò frenetico di mio e faccio le cose di fretta, quindi non mi da neanche fastidio questa cosa. In certi momenti c’è bisogno magari di fermarsi e di capire cosa succede, di capire dove si sta andando. Chi fa arte un pò è abituato a stare un pò isolato, a stare fermo, a stare in un posto fisso, magari a lavorare, a fare quel che fa.
Penso che l’arte, o almeno la mia di arte, debba stare in qualsiasi posto: mi offrono di lavorare per la stazione e per me ci sta.
Una stazione può diventare di tutto, come una chiesa può diventare un museo, come un ristorante può diventare un museo, non c’è limite alle cose.
La visuale ideale della mia finestra è uguale identica all’opera: un panorama col mare e sto a posto così.»