Gabriele Galimberti è un fotografo classe 1977, nato e cresciuto in Toscana ma negli ultimi anni ha lavorato in tutto il mondo.
Gabriele Galimberti ha trascorso gli ultimi anni al lavoro su vari progetti di reportage che l’hanno portato a viaggiare in giro per il mondo. Da The Heavens, che l’ha portato a documentare i vari paradisi fiscali esistenti, a Toy stories, progetto sviluppatosi in due anni, nei quali è entrato nelle stanze di bambini di oltre 50 paesi differenti e li ha fotografati insieme ai loro giocattoli, passando per In her kitchen, dove ha ritratto varie nonne (partendo dalla propria) all’interno della loro cucina, davanti agli ingredienti dei loro piatti più riusciti, anche in questo caso girovagando in un vasto numero di paesi diversi.
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I lavori di Gabriele Galimberti sembrano avere più strati, quello superficiale, composto da una confezione ben riconoscibile del suo lavoro, presenta composizioni molto precise, ordine nella disposizione degli elementi, soggetti spesso in posa (a differenza di quello che ci si aspetta nel classico reportage), ma sotto questo strato si trova un approccio che non è esclusivamente estetizzante.
La figura umana è sempre centrale ma è sempre rapportata ad un contesto, che è altrettanto importante, ed enfatizza la relazione tra i soggetti ritratti e i luoghi e le situazioni che vivono, inoltre il fotografo toscano, nei suoi scatti, sembra voler portare all’attenzione dell’osservatore delle questioni più ampie, senza imporre mai il proprio giudizio morale. Basta dare uno sguardo ai bambini di Toy stories e notare le differenze di possibilità e disponibilità, portate alla luce dal numero di giocattoli, quando si passa da una situazione all’altra; anche In her kitchen non è solo una catalogazione di immagini, è piuttosto un atlante di usi e costumi diversi, esplicitati attraverso le cucine locali.
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Guardando il suo lavoro si può dire che quella di Gabriele Galimberti sia una rivisitazione abbastanza personale del classico reportage, all’interno del quale il fotografo gioca creando una gerarchia orizzontale tra persone, oggetti e luoghi, mettendoli in relazione tra di loro in modo che la sua fotografia sia sempre in grado di raccontarci qualcosa, anche senza avvalersi dei classici canoni di spontaneità della fotografia documentaristica più nota.