Giovanna Di Lisciandro – Fotografare Antonello Colonna o Cristina Bowerman può incutere un certo timore. Non per Giovanna Di Lisciandro che, seppur giovanissima, sta diventando un punto di riferimento nella food photography attraverso immagini sincere e invitanti.
Giovanna Di Lisciandro si siede sulla poltrona di Roma Smistamento e si lascia andare con grande autenticità, raccontando i sapori e i profumi dei piatti che fotografa e quelli della sua terra, la Sicilia, che porta sempre con sé.
Giovanna Di Lisciandro, come ti definiresti?
Non posso definirmi totalmente. Potrei farlo se fossi una persona chiusa e conclusa, ma non lo sono. Ci sono sicuramente dei tratti che mi caratterizzano, ma forse tra qualche anno non saranno più tanto miei. Tutto è un continuo divenire e non possiamo pretendere di rimanere fermi. Sicuramente sono una persona solare. Sono nata a mezzogiorno del 21 giugno. Io apro l’estate nel momento in cui il sole è più alto. E poi sono siciliana.
Sono una persona empatica. Entrare in empatia con gli altri mi ha sempre dato una marcia in più nel lavoro che faccio.
Con i social tutti si sentono fotografi. In questo contesto qual è il ruolo del fotografo professionista?
I social hanno permesso a chiunque di arrivare a tutto. Questo ha dato la possibilità di mostrarsi e di esprimersi a persone colte, ma anche a persone incapaci di spopolare grazie ad altrettanti incapaci che li seguono. La stranezza spesso viene confusa con il genio. Oggi è difficile trovare un genio e la vita di un fotografo sembra più importante della sua arte. Io sono stata costretta ad essere attiva su instagram, altrimenti sarei stata tagliata fuori dallo scenario. Mi sono trovata a misurarmi con il like. Ma chi decide cosa è valido? I miei follower? Chi può misurare l’arte sui social?
Per uscire da questa meccanismo bisogna rimanere fedeli a quello che amiamo fare ed essere autentici. Non dimenticare mai ciò che sei e verrai apprezzato.
Eri partita con i ritratti e ora ti dedichi al food. Come è avvenuto il passaggio e come metti l’empatia che ti caratterizza nei piatti che fotografi?
È stata una coincidenza. Un giorno mia madre mi ha detto: “non puoi viaggiare con una macchina fotografica così pesante, trovane una più piccola”. E così ho fatto. Ne trovo una su un sito di vendita dell’usato. Contatto il venditore e lo incontro in uno studio fotografico al Pigneto, dove facevo l’assistente. Lui mi dà la macchinetta e mi chiede cosa faccio. Mi dice che è un fotografo e che fa food. Io non mi lascio sfuggire l’occasione e gli chiedo se posso essere la sua assistente.
La vita mi ha sempre dato l’occasione di incontrare persone. La sincerità mi ha portato a mettere un seme coltivandolo con la speranza di vedere, un giorno, un bel fiore.
A distanza di un anno da quell’incontro, il fotografo mi chiede di partire con lui su una lussuosa nave cinese per fotografare trentacinque ristoranti facendo il giro del mondo. Io ovviamente ho accettato.
Per la prima volta una cosa mi è riuscita bene e facilmente. Tornata da quell’esperienza incredibile tutto ha iniziato a muoversi. Finalmente ho trovato un posto nel mondo.
Il food è l’unica fotografia che mi permette di esprimere più sensi. Con una foto posso suscitare la vista, il tatto, l’olfatto e il gusto. Ho iniziato ad approfondire questo contesto e il piatto non è più solo un pezzo di carne. Dietro un piatto c’è un’arte simile a quella del pittore o dello scultore. Non faccio un tipo di fotografia di food che ricerca la perfezione di un piatto ma spesso li contestualizzo nei loro ambienti.
Pensa che ho deciso di fare la fotografa quando anni fa tutte le fotografie di quando ero piccola andarono bruciate in un incendio. Per me la fotografia è un ricordo e con queste immagini voglio riuscire ad evocare memorie.
Te li mangi i piatti che fotografi?
Per me è fondamentale capire cosa sto scattando. Una cucchiaiata o una forchettata non me la leva nessuno. Né a me nè ai miei assistenti. Non voglio placare il mio appetito, io mi regalo un’esperienza sensoriale a tutto tondo!
Raccontaci l’incontro tra il fotografo e lo chef.
Cerco di entrare subito in empatia con lo chef, di capire di cosa ha bisogno. Ti fa dono di una cosa sua e vuole essere sicuro che tu ne avrai cura. Bisogna farsi vedere sicuri e capaci di capire, per promettere che ciò che lui fa di bello col mio lavoro può diventare ancora più bello. Mi piace far mettere lo chef vicino a me e fargli guardare il lavoro in corso d’opera, renderlo partecipe dello scatto perché quella ritratta è una sua creatura.
Quando fai una foto agli chef piuttosto che ai modelli noti differenze?
Decisamente. Un modello indossa, esalta qualcosa. I ritratti di chef sono più vicini a quelli di attori. Gli chef sono dei personaggi con dei caratteri precisi che ritrovi nella loro cucina. Per fotografare uno chef devi aver capito bene chi è perché è una persona reale.
Spesso gli chef si impegnano a darti la loro parte migliore e, okay, io la fotografo, ma quella non è la persona. Le foto migliori vengono a fine giornata quando ci si è conosciuti più da vicino e i muri della perfezione crollano.
Ritrarre le persone è anche una grande responsabilità. Come conservi questo potere?
Realizzare un ritratto significa rappresentare una persona per com’è realmente. Le persone che fotografi ti possono lasciare moltissimo o niente. Alcuni riescono a lasciarsi andare e ti raccontano una storia, altri rimangono chiusi nella loro apparenza.
Quando lo scambio è profondo per me si supera il confine e non riesco più a lavorare per loro, ci divento amica. Ormai più che grandi chef o persone per cui ho lavorato sono amici.
L’unica persona che non ho ancora saputo fotografare per davvero è mia madre. Non ci riesco, non è mai lei. Forse perché è troppo me.
Come ti vedi da qui in avanti? Come pensi sarà il tuo futuro?
Tra qualche tempo mi immagino di essere ancora giovane con i calzini di spugna e le sneakers. Mi immagino di essere come sono ora, non mi sarò fermata e vorrò ancora scoprire e imparare.
Per il futuro so solo che vorrei tornare in Sicilia e invecchiare lì. Non posso dimenticare da dove vengo. Io so dove voglio andare perché la Sicilia me l’ha detto ed è lì che devo tornare, nel triangolo circondato dal mare in mezzo al mediterraneo.
Una terra che ha visto susseguirsi popoli diversi. Io sono araba, sono normanna, sono austriaca e sono italiana. Dentro me c’è tutto e questo non lo posso dimenticare. Qualsiasi sarà il mio futuro porterò sempre con le mie radici.
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