Il supermercato è diventato un luogo rituale della cultura occidentale, consacrato alla rapidità di fruizione e alla produzione industriale.
Nel 2012 il decreto Salva Italia, voluto dal governo Monti, estende la liberalizzazione degli orari per le attività commerciali a tutti i comuni. Il dibattito riguardante i negozi aperti la Domenica allarga i suoi confini, la liberalizzazione totale sposta la questione sulla pratica del supermercato aperto 24 ore su 24. Le grandi aziende parlano di diffuso apprezzamento per l’iniziativa e di aumento di fatturato, per quanto i sondaggi portino numeri anche molto diversi tra loro, a seconda di chi li redige.
In un periodo in cui la vera trasformazione del consumo si sta spostando online, il supermercato si pone a metà strada tra i colossi dell’e-commerce e i piccoli negozianti, cercando di emulare l’esperienza di acquisto data dalla disponibilità 24 ore su 24 dei primi e cercando di ricreare le situazioni conviviali tipiche dei secondi, finendo spesso per danneggiare il piccolo commerciante, e in ogni caso per non soddisfare nessuno dei due propositi iniziali.
L’apertura H24 di fatto va ad appiattire le diverse fasce orarie, che diventano sempre più labili e messe in discussione in nome di una notte che va vissuta alla pari del giorno, un meccanismo simile a quello della produzione di massa, cardine della grande distribuzione. In entrambe le dinamiche l’apparenza è quella di offrire un servizio al pubblico; l’apertura continua degli esercizi commerciali offre orari flessibili e quindi più scelta, la stessa che la produzione seriale di prodotti di consumo offre per ciò che concerne la quantità dell’offerta. Sembra opportuno, però, chiedersi quanto questo incida positivamente sull’esperienza d’acquisto rispetto alle implicazioni lavorative di chi questa esperienza deve renderla possibile.
L’efficacia del supermercato aperto 24 ore su 24 viene misurata in base al fatturato e, quindi, ai vantaggi per l’azienda e non per la società alla quale questa dovrebbe fornire un servizio. Sembra che i vantaggi di una costante possibilità di acquistare beni primari, ma anche non necessariamente primari (ed è proprio qui il nodo della questione), non reggano il confronto con gli svantaggi che un lavoratore, che poi è quello che questa possibilità la garantisce materialmente, vive su se stesso.
Produzione industriale e aperture continuate si pongono come due facce della stessa medaglia, fautrici di un modus operandi in cui la qualità, che sia dell’esperienza lavorativa o del prodotto offerto, non viene presa in cosiderazione.
Una risposta diffusa a questo tipo di osservazioni è che chi lavora durante i giorni festivi, o di notte, viene pagato di più; Carrefour, il maggiore esponente delle aperture H24, si giustifica specificando che i turni notturni vengono assegnati solo a quei lavoratori che si propongono spontaneamente per coprirli; lavoratori volontari, quindi. Bisognerebbe capire quanto vago possa essere il confine tra volontà e necessità, ma l’intenzione non è quella di delineare i margini di una sana etica del lavoro, che comporterebbe ben altro impegno e competenze, si vuole semplicemente porre l’attenzione sulla direzione che le grandi aziende intendono prendere quando si parla di ampliare i loro servizi. Facendo questo, il supermercato sembra diventare luogo esemplare di questi meccanismi e, sempre di più, espressione della cultura occidentale, nella quale sembra impossibile muoversi senza seguire le dinamiche dettate dalle regole del consumo.