Porre dei limiti all’arte sarebbe come tentare di arginare il mare, di provare a recintare l’universo. L’immaginazione, che è sicuramente alla base della creazione artistica, permette a quest’ultima la libertà di esplicitarsi in una pluralità di forme e modi non contenibili in nessuna maniera, ma giudicabili positivamente o negativamente a seconda dei casi e del gusto personale.
La storia ci insegna che spesso grandi intellettuali hanno dovuto confrontarsi e fronteggiarsi con un sistema sempre attento a porre costrizioni e norme da non oltrepassare, molti sono stati gli eterni incompresi, molti quelli che furono emarginati, talvolta processati e, nel peggiore dei casi, condannati.
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Erano tante le congetture sociali che non consentivano agli artisti di potersi esprimere apertamente e con estrema sincerità. Man mano però che il confine tra arte e vita andava gradualmente assottigliandosi, sempre più frequenti si facevano i pionieri che con le loro opere volevano superare quelle ataviche convenzioni che rinchiudevano l’arte in una torre d’avorio, dove ad essere accolti erano soltanto coloro che si attenevano alle rigide regole accademiche.
È proprio per questo motivo che nel 1863 nasce a Parigi il Salon des Refusés, dopo che la giuria dell’Accademia parigina aveva rifiutato di esporre nel Salon ufficiale più di 3000 quadri, perché ritenuti antitradizionali ed oltraggiosi. Grazie a questa mostra artisti del calibro di Manet, Renoir, Degas, Monet, Pissarro e Whistler ebbero la possibilità di far vedere al grande pubblico la loro produzione, destando scalpore tra la maggior parte dei presenti, che rimase scioccata dai nudi femminili in aperta campagna in compagnia di due giovani borghesi e dalla moderna tecnica pittorica de “Le déjuner sur l’herbe”, uno tra i capolavori di Manet.
Fu proprio quest’ultimo ad essere considerato il precursore dell’Impressionismo, celeberrimo movimento pittorico che ruppe i ponti con il passato aprendo la strada alla ricerca artistica moderna, tra le prime autodichiarazioni di libertà nel poter rielaborare la sensazione visiva senza doversi basare su regole pregresse. Ci si emancipa da ogni formalismo per accogliere e metabolizzare il sentimento della natura in maniera spregiudicata e soggettiva, l’artista abbandona l’aria chiusa e ristretta del suo studio per aprirsi al mondo, dipingere “en plein-air”.
Possiamo dire che da questo momento in poi diverrà impossibile tracciare dei confini alla libertà nell’arte, che si evolverà tempestivamente dando vita a sempre nuove forme di espressione. Le Avanguardie storiche della prima metà del 900 rappresentano ad esempio un altro taglio netto nei confronti della tradizione: mosse da intenti rivoluzionari e dalla volontà di ribellarsi alla cultura ufficiale, costituiscono un ulteriore passo in avanti per quanto riguarda la posizione dell’artista nei confronti della sua opera e del pubblico che la contempla. Egli non pretende quasi più di essere compreso, ma la creazione diviene una sorta di atto di forza attraverso il quale imporre al mondo la propria esistenza, facendo emergere quell’inquietudine dell’io interiore che freme dal bisogno di dire la sua.
Emblematico in tale clima è sicuramente il Dadaismo, movimento che prefigura un ritorno al grado zero dell’esistenza contestando in maniera radicale ogni tipo di valore, a cominciare dall’arte stessa. Tra le Avanguardie è quella che più mette in crisi l’ambiente culturale internazionale, sconvolge tutte le certezze dando libero arbitrio alla dimensione del caso, del non senso, dell’irrazionale. Tra i suoi maggiori esponenti figura Marcel Duchamp, uno tra i padri dell’arte contemporanea, che con i suoi famosi ready-made (degli oggetti di uso comune a volte rielaborati dall’artista, altre volte semplicemente prelevati integralmente dalla realtà e presentati come opera), compie una straordinaria azione intellettuale attraverso cui l’arte viene privata della sua finalità e caratterizzazione estetica, per configurarsi come un atto puramente psicologico grazie al quale l’artista-demiurgo eleva l’oggetto in una dimensione in cui è arte in potenza, l’atto che lo qualifica è la libera operazione mentale dell’artista.
Sarebbero molte altre le esperienze da menzionare, ma andando avanti con gli anni il panorama si fa talmente tanto ampio e variegato che sarebbe impossibile racchiuderlo a pieno in un articolo. Certamente è però importante citare la figura di Jackson Pollock, artista americano che intorno alla metà del 900 si fa portavoce dell’Action Painting, un tipo di pittura d’azione appunto, che si libera di supporti tradizionali come il cavalletto, rompendo gli schemi spaziali della pittura. La tela viene infatti posta sul pavimento ed il pittore attraverso una sorta di danza sciamanica entra nel quadro sia materialmente che metaforicamente, per riversare sulla sua superficie attraverso sgocciolature di colore tutto ciò che il libero flusso del suo inconscio gli comunica.
Dalla seconda metà del 900 ai giorni nostri la libertà nel poter fare arte s’impone quasi come una prerogativa, un fondamento essenziale. L’emancipazione dai mezzi tradizionali mezzi diviene ancora più radicale e programmatica, non più solo pittura, scultura o installazione, l’artista scende in campo coinvolgendo se stesso nella totalità della sua esistenza, anche il proprio corpo può divenire oggetto artistico. È da questo presupposto che nascono ad esempio la Performance e la Body Art, due movimenti in cui l’azione e la relazione con lo spettatore si configurano come materia prima dell’opera stessa. Ma le frontiere dell’arte si estendono non soltanto all’individuo, possono anche arrivare a coprire il paesaggio stesso, trasformandolo in scultura. A partire dagli anni sessanta si diffonde infatti la Land Art, che prevede la realizzazione di mastodontici interventi realizzati direttamente sul territorio naturale, spalancando in tal modo l’orizzonte dell’ideazione artistica in maniera definitiva ed indefinita.
Ed è proprio in questo suo continuo spingersi oltre che si trova l’infinita potenzialità dell’arte, un vero nutrimento spirituale, visivo ed intellettuale che ha la potenza di liberare almeno per un momento l’uomo dal peso della realtà, di librarlo in dimensioni oniriche dove non esistono confini. Perché essere artisti significa innanzitutto essere liberi.
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