Guardatori di soffitto ci dovrebbero chiamare, non carcerati.
Per quasi tutto il giorno quegli occhi all’insù, sul letto…
se poi ti mettono nel letto di sopra il soffitto lo vedi, lo guardi, lo tocchi, ci parli…
Francesco, figlio mio, cerco di vedere la faccia tua nel soffitto.
Oggi non mi riesce, ma io ci provo, ci provo…
Giovanni Arcuri. Traffico di sostanze stupefacenti. 17 anni. Cosimo Rega. Omicidio. Ergastolo. Antonio Frasca. Reati vari. 26 anni. Salvatore Striano. delitti di criminalità organizzata. 14 anni. Juan Dario Bonetti. Traffico di sostanze stupefacenti. 15 anni. Enzo Gallo. Delitti di criminalità organizzata. Ergastolo.
Assassini, spacciatori, criminali. Questo ci verrebbe da dire. Eppure sono loro i protagonisti di Cesare deve morire, vincitore dell’Orso d’oro.
Nel 2012 I fratelli Taviani si presentano al Festival di Berlino con un docufilm. Si tratta di una rivisitazione cinematografica del Giulio Cesare di Shakespeare. Palcoscenico di questa rappresentazione è la sezione di Alta sicurezza di Rebibbia. Sulla scena, la vita.
La vita di chi è stato bandito per aver commesso un errore, di chi è stato allontanato dalla società per evitare il contagio. La vita che non ci piace, ma che è vita e su cui troppo spesso si tace.
Il bianco e nero ci restituisce l’immagine di un’esistenza congelata, scandita dal tintinnio delle chiavi e dal cigolio delle sbarre. Le parole di Shakespeare squarciano la patina di apatia. Crollano dei muri e se ne alzano altri. Alla realtà si sostituisce la finzione, ultimo sentore di una vita appena ricordata. Memorie, sensazioni, rimpianti, dolori si intrecciano alle trame di Bruto e ai rancori di Marcantonio. E infine, la battaglia di Filippi. La battaglia quotidiana con sé stessi e il sapersi accettare per quel che si è.
Con una delicata sensibilità i fratelli Taviani ci offrono una prospettiva. Un’alternativa. Ché l’allontanamento sterile non serve né al di qua, né al di là delle mura di Rebibbia. «Spero che qualcuno tornando a casa dopo aver visto Cesare deve morire pensi che anche un detenuto, su cui sovrasta una terribile pena, è e resta e un uomo» dice Vittorio Taviani mentre riceve il premio. Già. Un uomo è un uomo, anche dentro una cella.
[divider]ENGLISH VERSION[/divider]
We should be called ceiling observers, not prisoners.
Almost all day looking up, in bed…
If you are given the bed above, you can see it, face it, touch it, and speak with it…
Francesco, my son, I try to see your face in the ceiling.
Today I just can’t, but I try, I try…
Giovanni Arcuri. Drug trade. 17 years. Cosimo Rega. Murder. Life imprisonment. Antonio Frasca. Different offences. 26 years. Salvatore Striano. Organized crimes. 14 years. Juan Dario Bonetti. Drug traffic. 15 years. Enzo Gallo. Organized crimes. Life imprisonment.
Murderers, dealers, criminals. This is what we would say, but they are actually the protagonists of Cesare deve morire, winner of the Golden Bear.
The Taviani brothers in 2012 showed up at Berlin festival with a documentary film. It’s a cinematographic revisiting of Shakespeare’s Julio Caesar. On the stage, there is the high security division of Rebibbia; on the scene, life.
Life of people banished for making a mistake, those who have been excluded by the society, to avoid infection. Life we don’t like, but it is life, and we are too much silent about it.
Black and white give us back the image of a frozen existence, chanted by the clink of the keys and the creaking of the bars. Shakespeare’s words break the hint of apathy. Some walls fall, others erect. Reality is replaced by fiction, last feeling of a barely remembered life. Memoirs, sensations, regret and pains intertwine with Bruto’s intrigues and Marcantonio’s grudges. And then, the battle of Philippi. The everyday struggle with ourselves and the awareness of what we are. The Taviani brothers, with a delicate sensitivity, offer us a point of view, an alternative. Fruitless estrangement doesn’t help inside or outside Rebibbia’s walls. “I hope someone, coming back home after watching Ceasar must die, considers that even a convict who serves an awful term of imprisonment is and will always be a man”, says Vittorio Taviani while he’s given the prize. Yes, a man is still a man, even if he’s in a prison cell.
Traduzione a cura di Silvia Cascioli