Bianco e Architettura – Il colore è una costante variabile imprescindibile dallo spazio che ci circonda.
Per alcuni è un fattore trascurabile, per altri determina le emozioni suscitate da un dato luogo, per altri conferisce alla realtà un quid estetico. Quanta importanza può avere un colore nell’ambiente? E quale importanza ha invece il bianco in questa visione della realtà, in questa contemporaneità scandita da candore come innovazione e come perfezione, perché questo non colore con il tempo si è fatto vessillo di eleganza, modernità, pura bellezza?
La colorazione prima di essere una concezione estetica, è una percezione visiva generata dai fotorecettori della retina oculare, che osservano intensità e lunghezza d’onda della luce e rinviano il tutto al cervello.
Il bianco è una percezione organica, ma è da considerarsi anche una percezione culturale. E’ la cultura in questione quella variabile nella percezione della realtà che ci circonda, sebbene ci sia una forte convinzione che i gusti estetici e i canoni di bellezza siano una concezione unica e personale. In verità la convinzione che il bianco piuttosto che il nero siano ad esempio dei colori sobri per un arredo, un vestito elegante o un’architettura è data da una forzatura culturale.-
Il mito del bianco è un equivoco nato in età classica. Le origini di questo mito vanno ricondotte nel Rinascimento, all’interno della questione sorta nell’Accademia fiorentina che vide contrapporsi la forma e il colore, la scultura e la pittura. La scultura divenne la scelta vincente, simbolo del prodotto della ratio virile, una ratio capace di controllare l’irrazionale femminile della pittura. Inizialmente la scultura si vestiva di bianco e di nero, poiché i ritrovamenti archeologici sopravvissuti all’antichità fecero emergere marmi e bronzi, materiali che hanno saputo resistere al tempo indipendentemente dalle loro decorazioni.
A decretare il primato assoluto della monocromia del bianco fu la scoperta del Laocoonte, considerata la prima vera falsificazione percettivo-estetica della cultura classica. L’opera fu rinvenuta il 14 gennaio del 1506, sotto gli occhi dello stesso Michelangelo: il candore della statua fu così intenso da influenzare totalmente gli artisti dell’epoca e di quelle successive, senza far minimamente considerare che questo colore puro fosse frutto della perdita di altre colorazioni durante la millenaria permanenza dell’opera sotto terra. Da questo momento le statue vennero realizzate in nudo marmo e la policromia morì insieme all’esigenza di dover copiare la natura.
A suggellare il mito del bianco in età classica fu nel 1755 Winckelmann coi suoi Pensieri sull’imitazione delle opere greche nella pittura e nella scultura. Il Neoclassicismo, con le sue scoperte archeologiche e le sue convinzioni indicò in maniera decisiva e irrimediabile il bianco come colore della perfezione architettonica ed artistica. In realtà questa concezione abbracciata per secoli è stata il frutto di un fraintendimento culturale che solo oggi sappiamo riconoscere ma dal quale non sappiamo più sottrarci.
Dopo il Neoclassicismo il bianco è stato ripreso come simbolo cardine da più epoche e movimenti, si pensi al Novecento, quando il razionalismo lo indicò come unica risposta in una concezione dell’architettura in cui il decoro e l’eccesso vennero banditi. Si pensi all’E42, che ostinatamente riprende l’idea di una classicità travisata e la plasma a nuova forma metafisica dando vita a quello spazio sospeso nel tempo che chiamiamo EUR.
Il bianco ha tuttavia origini primitive che esulano dalla questione del suo stesso mito, ancor prima di essere un fraintendimento questa espressione culturale è stata simbolo di purezza e nobiltà, dal candore delle braccia di Nausicaa, alle ricche donne d’Egitto, per poi assumere nel Medioevo valore di sacralità e fede: basta immergersi nella luce di Piazza dei Miracoli di Pisa per poter percepire questo senso di imperturbabilità.
Questo non colore ha attraversato la nostra storia ed è ora la chiave della contemporaneità, è amato profondamente nella nostra epoca, è la tonalità della sperimentazione, della nuova architettura. Allora come può essere solamente frutto di un fraintendimento?
Richard Meier è considerato l’architetto in bianco della nostra epoca e alla questione riguardo la scelta del bianco risponde: L’architettura è creazione di uno spazio definito attraverso superfici opache e trasparenti, elementi lineari e piani, aperture e chiusure. Tutti questi elementi sono essenziali per l’architettura, e il bianco rende più evidenti le differenze tra aperture e chiusure, tra solidità e trasparenza, tra elementi lineari ed elementi piani, tra involucro e struttura. Credo che il bianco renda vivi gli elementi architettonici.
Il secondo aspetto riguarda il fatto che l’architettura è fatta dagli uomini, è statica, non cambia, non cresce nel tempo. È la natura che cambia durante il giorno, nel corso delle stagioni, e il candore degli edifici aiuta a riflettere la differenza tra ciò che è stato fatto dall’uomo è ciò che è naturale. Ci aiuta a percepire la natura che ci circonda e il modo in cui l’architettura la riflette.
Un altro elemento che Meier non trascura sono i suoi studi nell’area del Mediterraneo, è da qui che infatti nasce la sua originaria ispirazione: le case candide che riflettono la luce del sole, le linee definite, le ombre e i giochi di luce netti hanno suscitato una delle ispirazioni più forti che ha dato vita al pensiero moderno dell’architetto, ispirazioni che ancora una volta hanno origini antiche ma che in questo caso si basano su un effetto di valorizzazione architettonica.
Forse inconsciamente, oltre la storia e oltre i fraintendimenti, è questo il motivo per cui scegliamo il bianco, per esaltare l’Architettura, ma non fine a sé stessa, alle sue linee e ai suoi chiaroscuri. Il bianco vuole esaltare un’Arte che è il contenitore della vita, del quotidiano, degli avvenimenti nello spazio che risaltano con maggior valore su questo sfondo che è come un foglio ancora da scrivere, un foglio da sporcare con la nostra storia.
L’Architettura è emozione, è il luogo dove avviene l’esperienza, ed è per questo che vuole rappresentare la vita stessa, lasciandola parlare.