Gli bastano poche parole per descriversi.
“Questo è il mio lavoro. Nonché la mia natura. Invisibile e pieno. Di un pieno perfetto”.
Nicola Alessandrini è un’artista a tutto tondo, uno che vive con la fantasia e vede con l’immaginazione.
Graphic designer per i marchi Fornarina e Combo per otto anni, attualmente impegnato con la Rainbow, illustratore underground interessato al rapporto tra uomo e società, tra comunicazione pubblicitaria e percezione individuale.
I suoi lavori lasciano a bocca aperta, opere colorate e creative, allegorie contemporanee realizzate con pennelli e matite.
The Walkman ha scambiato due chiacchiere con questo artista così interessante.
Il tuo curriculum vanta numerose opere e collaborazioni, anche con altre forme di espressioni artistiche. Ogni tua composizione si intreccia perfettamente al contesto nel quale è inserita. Come descriveresti la tua creatività e come riesci a renderla aderente alla situazione nel quale è collocata?
E’ molto complesso definire la propria creatività, credo che le definizioni spettino a chi osserva un lavoro, non a chi lo fa.
Sarebbe un po’ come parlare dei propri figli, si finirebbe con il non essere oggettivi, elogiandoli o criticandoli eccessivamente.
Quando approccio un nuovo progetto, sia esso un lavoro personale, una commissione, o più in generale un tema da seguire parte sempre da una volontà di indagare ed osservare la realtà per poi rifiltrarla con i miei occhi ed il mio immaginario, penso che sia questo a determinarne lo stile ed in un certo senso l’unicità, la riconoscibilità.
Nella descrizione che fai di te sul tuo sito, molto breve, affermi che il tuo lavoro rappresenta la tua “natura”. L’ispirazione che cerchi per comporre le tue opere affiora solo dalla tua intimità o ti lasci coinvolgere anche da fattori a te estranei? Quanto giocano le emozioni con la tua attività?
Quell’affermazione è un piccolo estratto di un testo scritto dalla mia ragazza (Lisa Gelli), il monologo di un vasetto per conserve stipato sullo scaffale di un magazzino che rivendica la propria interezza in quanto il suo lavoro di chiudere, sigillare, essere pieno ne costituisce l’intima natura. In realtà non mi sento propriamente così… credo al contrario che il senso di completezza ed autosufficienza sia qualcosa di transitorio, ed ho un bisogno costante di sentirmi sempre più “intero”, poiché penso che la reale completezza non sia quella della chiusura e del limite ma quella dell’estrema apertura e della continua ricerca.
In questo senso credo fermamente in una sorta di dualità fra artista-uomo e opera d’arte.
Se da una parte come artista sento, assorbo, vivo, divengo spugna e puttana della realtà, trasformo in immagini sensazioni, pensieri, idee, dall’altra cerco di epurare le mie opere dal mero autobiografismo e da un sentimentalismo eccessivamente autoreferenziale, cercando di donare loro una vita indipendente che abbia valore e si nutra costantemente anche e soprattutto di sguardi non miei.
Siamo rimasti particolarmente colpiti dalle tue illustrazioni per il volume “Via Crucis“. Come nasce il progetto e come mai il parallelismo con Bambi?
L’idea dietro Via Crucis è quella di creare un parallelismo dissonante fra le tappe sul monte Calvario di Cristo con la progressiva distruzione e disgregazione di un fotogramma del cartone animato di Bambi per unire semanticamente due narrazioni, entrambe profondamente popolari pur nelle differenti accezioni di sacro e profano. La mia indagine al riguardo, uno dei temi principali del mio lavoro, parte da un bisogno di ritrovare una sacralità nel banale, nel quotidiano, nel popolare, e rileggere la storia del Cristo come metafora di noi uomini comuni e della cultura imposta che ci portiamo addosso, che camminiamo verso una morte che è appianatore sociale, che è metro di paragone, che è, in quanto assenza, l’unica cosa che dà senso alla vita. E’ la ricerca di un supereroismo all’interno della quotidianità e al contempo un ironizzare su un senso di sacro che non può non essere, al di là di tutto, un’umana creazione.
“The WalkMan” si pone come obiettivo quello di lasciare spazio e visibilità ai giovani emergenti in qualsiasi campo artistico. Cosa ti senti di suggerire a chi ha deciso o sta decidendo di investire la propria vita nella creatività?
Di fare, fare, fare e non pretendere nulla. Viviamo in un mondo di m. che molto spesso non è pronto ad accettare pensieri che si discostino da un pensiero unico, che non diventino prodotti vendibili.
Non ho mai amato chi concepisce l’attività artistica come una sorta di status quo, una palestra per il proprio ego. Mi piace al contrario pensare che fare arte sia creare pensiero, donare una differente visione del mondo, contribuire, anche se in modo infinitesimale, alla costruzione di quello che G.Orwell chiama lo “spirito dell’uomo”. Lavorare in campo artistico significa prima di tutto pensare e difendere strenuamente la singolarità, l’unicità, l’irripetibilità di questo pensiero, al di là di ogni riconoscimento massificato.
[divider]ENGLISH VERSION[/divider]
Few words are enough to him to describe himself.
“This is my job, as well as my nature. Invisible and full. Of a perfect full.”
Nicola Alessandrini is an all-round artist. A man that lives on fantasy, a man that sees with the imagination.
He has been working for Fornarina and Combo’s brand for eight years, and at the moment he’s involved with Rainbow as an underground illustrator interested in relations between man and society, and between advertising communication and individual perception.
His works leave people open-mouthed: colorful and creative works, contemporary allegories realized with brushes and pencils.
The Walkman made a small talk with this intriguing artist.
Your resume boasts various works and partnerships, also with different art form. Every composition made by you intersects itself perfectly with the context in which is included. How would you describe your creativity? How can you make it appropriate to the situation in which is placed?
It’s not so simple to define one’s own creativity, I personally believe that definitions are up to who observes, not to who works. I’d be like talking about one’s own sons, you’ll end up with not being objective, praising them or criticizing them too much.
When I come into contact with a new project, both personal work, a commission, and, generally talking, a topic to follow, it always starts from a desire to investigate and to observe reality in order to refilter it through my eyes and my imagination. As far as I’m concerned, I think that this element can determine the style and, in a certain sense, the uniqueness; the fact to be recognized.
In the brief description that you have written on your website you say that you job represents your “nature”. Where does the inspiration that you use for your work emerge from? Does it come only from your intimacy? Or you let yourself involve with some irrelevant elements to you? How do emotions play with your activity?
That statement is a small extract coming from a text which was written by my girlfriend, Lisa Gelli. That’s a monologue of a little conserve jar cramed on a shelf of a store. It’s claiming his own entirety as its job, closing, sealing, and being full constitutes its nature.
Actually I’m not feeling like this.. I think, indeed, that the sense of completeness and self-sufficiency is temporary; and I constantly need to feel myself more and more “entire”, because I believe that the real completeness isn’t that of closure and limits, but that of extreme opening and of the continue research.
In this sense I firmly believe in a sort of duality between an artist-man and a art’s piece.
If from the artistic side of me I feel, I absorb, I live, I draw, I become a sponge and a whore of the reality, from the other side I try to clean my works from the mere autobiographism and from an excessive sentimentalism that talks to himself, also trying to give them an independent life that has a value and that feed himself constantly with other’s gazes too.
We’ve been impressed by your illustrations for the “Via Crucis” volume. How was the project born? And why did you make the parallelism with Bambi?
The idea behind “Via Crucis” is to create a discordant parallelism among the stages of Christ walking towards the Calvary mount, with the progressive devastation of a crumbling frame, extracted from Bambi cartoon. This idea’s aim is to connect, in a semantic way, two different tales, both deeply popular, in spite of their different meanings of sacer and profane.
My research regarding this, one of the most important topic of my job, comes from a necessity to find some sacredness in the banal, in the ordinary things, in the popular ones; and also to reread Christ’s story as a metaphor of us, mere mortals, and of the culture imposed that we carry on our shoulder: we walk towards a death that’s a social flattener, a criterion for comparison, that’s, as an absence, the only thing that gives sense to life.
It’s the research of a super heroism within everyday’s life and, at the same time, is to be ironical about a sense of holy that has to be, beyond all, a human creation.
“The Walkman”’s first purpose is to leave space and visibility to young people that are talented as you are. What do you suggest to those people who have decided (or are still deciding) to invest their own life in creativity?
I suggest to act, to do, and to not expecting anything. We live in a world made of s***t, which often isn’t ready to accept thoughts distancing themselves from a single idea, not becoming selling products.
I’ve never loved people who perceive the artistic activity as a kind of status quo, a gym for their own ego. I like, indeed, people who consider that making art meanscreating thoughts, giving a different view of the world, and contributing, even if in a bit part, to the building of that which’s called by G.Orwell the “spirit of the man”. Working on an artistic field means to think and to defend with all your strengths the uniqueness, the no-repeatability of this thought beyond every depersonalized identification.
Traduzione a cura di Annalisa Imperi