Giuseppe Palmisano è iosonopipo. Conosciuto soprattutto per le sue ammalianti fotografie, a metà tra le scene pastello di Wes Anderson e le performance di Vanessa Beecroft, ci ha concesso una chiacchierata in cui abbiamo parlato del suo progetto Qualche Metro Quadro ma anche di filosofia, collettività e teatro.
Bene, Giuseppe, partiamo dal tuo progetto imminente, Qualche Metro Quadro: la creazione di un’opera d’arte partecipata nel contesto di un workshop. Possiamo dire che rappresenterà la pratica della tua filosofia secondo cui l’opera d’arte è collettiva?
Assolutamente sì. Non riesco a non leggere la parola collettività nella parola arte. Proprio in questo momento, dove da una parte si cerca di coinvolgere il pubblico con un mezzo che è il social allo stesso tempo lo si allontana, la partecipazione è un’arma poetica. La riposta a chi chiede “cosa vuol dire” in merito a un’opera d’arte.
In un certo senso anche la tua opera precedente, Vuoto, è un’opera d’arte collettiva. Inoltre, può essere stata letta su diversi livelli: hai fotografato trecento donne, però le hai anche riunite e dirette come in una performance. Questa performance è stata fissata nelle due fotografie da te scattate. Quali sono le differenze tra questo tipo di collettività, e quello che vuoi esprimere in Qualche Metro Quadro?
Quella di Vuoto è stata un’esperienza per tantissime persone e si ripeterà quest’anno. L’opera è iniziata nel mio pensiero e poi diventata di tutti quelli che si sono avvicinati. La foto è stata la scoria di tutto il percorso fatto negli otto mesi di realizzazione ma all’interno ogni viaggio e ogni singola esperienza è un’opera a sé. La differenza è che in quel caso si è partiti da un’immagine partorita da me “solo” (tra parentesi perché comunque siamo la somma o il filtro di esperienze visive) invece questa volta partiremo da un elemento già esistente che è lo spazio e ne discuteremo assieme. L’opera sarà comunque partecipata già nella creazione, però è effimera perché non produrremo alcun contenuto se non nella documentazione di chi passerà.
Quanto influisce la tua formazione come attore teatrale nella genesi delle tue opere, sia fotografiche che performative?
Quasi tutto, è una modalità. È un modo di operare e pensare, di agire, reagire. Il resto lo fanno le esperienze e quel che ho vissuto da quando non sono su un palco. Ma gli strumenti per accoglierle e filtrarle me li ha dati il teatro.