Libertà creativa – La lettura odierna della storia dell’arte è fortemente influenzata dall’ideale, di stampo romantico, dell’artista che produce opere d’arte spinto esclusivamente da un’esigenza creativa, che non può che soddisfare. L’artista concepisce, e la sua opera è un atto che manifesta il suo genio.
In verità, questo topos può dirsi verosimile soltanto a partire dal XIX secolo, quando gli artisti, complice l’invenzione della fotografia, poterono finalmente sentirsi liberi dalla sino ad allora principale funzione mimetica dell’arte ed assumere la propria libertà creativa. Ciononostante, anche nei secoli precedenti vi sono stati alcuni notevoli esempi di artisti che, nonostante agissero per una società e una committenza strettamente vincolanti, manifestarono notevoli capacità di innovare e reinventarsi, scavalcando determinate restrizioni e rinnovando la cultura figurativa del loro tempo.
Vediamo, dunque, cinque esempi, dal passato remoto sino alla contemporaneità, di artisti veramente creativi.
Libertà creativa di Andrea del Sarto
Andrea del Sarto visse e operò in un periodo della storia particolarmente complesso e fiorente. Il contesto culturale e sociale in cui presero vita le sue opere – sicuramente capolavori indiscussi del Cinquecento fiorentino – era affascinante e variegato. La triade dei maestri Leonardo, Michelangelo e Raffaello aveva incantato Firenze con opere d’arte cruciali per tutta la storia dell’arte. Quasi ogni artista voleva formarsi e aggiornarsi sulla lezione dei tre maestri, apprendendola direttamente dai dipinti, dai cartoni, dalle sculture, visibili in città. Anche Andrea metabolizzò tale lezione, ma seppe donare alla sua macchina figurativa e iconografica una novità tale da rinnovare completamente il linguaggio artistico rinascimentale, traghettandolo – anche attraverso la sua folta scuola di allievi – verso l’affascinante figuratività del cosiddetto Manierismo. Lo stile di Andrea, le sue figure eleganti, sono immediatamente riconoscibili. La profonda libertà con cui rielaborò i modelli allora in voga lo pone vicino agli altri geni del suo tempo. Genio indiscusso anche lui, echi della sua arte si protrarranno per molti decenni, sino alla rivoluzione caravaggesca.
Libertà creativa di Artemisia Gentileschi
Artemisia Gentileschi può dirsi la figura più affascinante del Seicento pittorico italiano, tanto per il suo ricco catalogo quanto per la sua vicenda personale. Anzitutto, Artemisia è una donna. Se è pur vero che già nel Cinquecento altre donne furono pittrici, nessuna di esse poté mai vantare la sua carriera. In un tempo in cui il significato della donna, nel tessuto sociale, era quasi opposto a quello odierno, Artemisia non divenne soltanto pittrice – già di per sé avvenimento eccezionale – ma fu anche una delle più raffinate interpreti del gusto del tempo. Viaggiò molto e dipinse per i maggiori committenti del tempo, a partire dal granduca di Firenze, col quale si rifiutava di comunicare tramite terzi: aveva l’ardire di inviargli le sue lettere direttamente. Visse sempre al di sopra delle sue possibilità: come una signora. Il suo modo di dipingere era assolutamente eclettico. Viaggiando, si arricchiva della cultura figurativa dei diversi artisti che incontrava nelle corti. Aggiornava sempre il suo stile, per sposare perfettamente le volontà e i gusti delle committenze più disparate. Ebbe una scuola, nell’ultima parte della sua vita, a Napoli. Le furono dedicati sonetti quando era ancora in vita. Fu lodata per il suo genio pittorico così poliedrico, e stimata poiché ha sempre reinventato se stessa, sia nella sua statura di artista che come donna. Fu combattiva sempre, nonostante le difficoltà e le ingiustizie che dovette subire.
Libertà creativa di Gustave Courbet
Nell’epoca in cui ha vissuto il francese Gustave Courbet, il successo di un artista era determinato dall’ammissione delle sue opere presso il Salon parigino. Questa istituzione, nata nel XVII secolo, nell’Ottocento decretava la fortuna critica – ma anche economica – degli artisti che inviando le proprie opere alla Commissione, che a sua volta le giudicava idonee, esponevano infine a Salon. Al tempo, essere degni del Salon significava trattare determinati filoni pittorici, come quello storico, e dipingere secondo i poco flessibili dettami accademici. Ebbene, Gustave aveva intenzione di vedersi esposto al Salon, come ogni artista coevo, ma il suo estro creativo non aveva nulla a che fare con la pittura socialmente accettata. Infatti, egli fu caposcuola del movimento detto Realismo, proprio perché rifiutava gli stilemi del Romanticismo allora ancora in voga. Preferiva, invece, dipingere la realtà così come era. La sua libertà creativa consisté nel disfarsi degli abbellimenti e ingentilimenti che sino ad allora la pittura usava per rappresentare la realtà delle cose, donando invece a quest’ultima la dignità della verità. Rifiutò il bello, l’armonico, il politicamente corretto. Dipinse Funerale a Ornans la cui schiettezza suscitò persino rabbia. Rifiutato, a sua volta, dai circuiti del Salon, ebbe l’ardire di mettere in mostra a pagamento le sue tele, in una baracca – vicina al Salon stesso – denominata Pavillon du Réalisme. Questo, segnò l’atto di nascita della corrente artistica del Realismo.
Libertà creativa di Henri Matisse
«Ho lavorato per arricchire la mia intelligenza, per soddisfare le differenti esigenze del mio spirito, sforzando tutto il mio essere alla comprensione delle diverse interpretazioni dell’arte plastica date dagli antichi maestri e dai moderni.» Così Henri Matisse, nel 1508, rifletteva sulle ragioni della sua arte. A fronte di una vita molto lunga, e di conseguenza così fu la sua carriera, Henri è uno degli esempi di artisti delle Avanguardie che sviluppano un linguaggio creativo estremamente libero, tale da portarli oltre l’avanguardia stessa. Ha sperimentato un percorso che possiamo giudicare simile a quello di Picasso: una formazione presso pittori accademici – in questo caso Bouguereau – l’incontro con correnti artistiche dalla poetica simbolista, e infine l’esperienza Fauve. Matisse fu il massimo esponente del movimento espressionista dei Fauves, ma già a partire da subito si distaccò da quella poetica appena sperimentata, per proseguire nella ricerca artistica che lo porta ad avvicinarsi sempre più a una forma di decorativismo che caratterizza tutta la sua opera, sebbene profondamente variegata. Perseguì una vita lontana dai riflettori, tutto dedicato alla produzione artistica. Libero, dunque, dai vincoli mondani, produsse opere d’arte che lo avvicinarono – anche tramite le sue velleità decorative – verso l’astrattismo. La sua estrema libertà si esprimeva attraverso l’uso arbitrario dei colori, ispirato alla luce del Sud, ma lontano dal dato reale. Il suo Espressionismo deriva da suggestioni orientali, colori squillanti e sempre gioiosi, elevata reattività per il modulo e la decorazione.
Libertà creativa di Maurizio Cattelan
Maurizio Cattelan è il perfetto esempio delle conseguenze delle Avanguardie di inizio XX secolo, di come queste abbiano influenzato la maggior parte della produzione artistica dal Secondo Dopoguerra ad oggi, ma anche di come l’artista contemporaneo non possa scardinarsi facilmente dalla nozione di avanguardia, anche quando la libertà creativa raggiunta nel corso degli ultimi cento anni permetta di trattare temi ironici, scabrosi, dolorosi e tabù. Le opere di Cattelan sono avanguardistiche poiché sono essenzialmente teatrali – di stampo dadaista – e soprattutto perché sono sensazionali e mass-mediatiche. La scultura, mezzo espressivo tradizionale, si fa vettore di contenuti concettuali più che estetici, e si fonde con la performance. Ma Maurizio utilizza mezzi espressivi come l’happening, l’azione provocatoria, il teatro, la scrittura di commenti alla sua stessa arte, oppure di articoli per testate. Utilizza persino i galleristi – con un profonda volontà critica nei confronti del sistema di esposizione e mercato dell’arte contemporanea – come oggetti d’arte presentati durante i suoi happening. Il gusto per l’esagerazione e lo scandalo di Maurizio Cattelan, dunque, nasce dall’esigenza di manifestare una libertà ancora più vasta dell’ampia libertà concessa all’artista – e all’arte – a partire dalle Avanguardie storiche. Egli mette in scena la dicotomia tra rottura e necessità di accettazione che caratterizza l’arte contemporanea, e la frustrazione dell’artista che cerca di sconfinare oltre la convenzione – quando in arte, oggi, è concesso praticamente tutto.