Lou Duca attrae con la sua arte incisiva e imperfetta. Un modus operandi che parte dal canone per indagarlo metodicamente, e stravolgerlo.
Lou Duca è un artista completo, che incentra la sua filosofia nella ricerca del vero e vive le sue giornate in costante ricerca attiva e recettiva del quotidiano.
Di recente selezionato tra cinque artisti vincitori del premio Best N.I.C.E. Prize assegnato ogni anno dalla direzione artistica di Paratissima, Lou Duca si è distinto maggiormente tra gli artisti all’interno delle mostre curate N.I.C.E.
Ciao Lou Duca, parlaci di te. Che artista sei? Cosa ti piace e cosa non ti piace per niente?
Tra le parole che più mi piacciono ne risalta ineluttabilmente una: sentire, nell’accezione anglosassone del termine: “to feel”. Questo fa si che tutto ciò che mi circonda venga captato se determinato da un’emozione pura e reale, sia essa una persona, un fatto o una specifica situazione.
La franchezza e l’onestà mi attraggono fino a farmi sviscerare l’argomento; l’assenza di queste due caratteristiche provoca in me un totale disinteresse.
Osservando il tuo lavoro, si nota quanto tu attinga alla cultura classica, per poi stravolgerla. Come imposti la tua ricerca, c’è` un’unica filosofia dietro il tuo operato o ogni tuo progetto vive di un proprio mondo?
Interrogarsi sul concetto di Bellezza è una costante nella storia dell’umanità. Anche inconsciamente, da quando l’Uomo ha iniziato a rappresentare ciò che vedeva ha effettuato una scelta: cosa conservare e cosa destinare all’oblio.
Liberandosi dalle motivazioni legate all’utilità, la rappresentazione ha suo malgrado creato dei canoni destinati a ripetersi, essere riprodotti e visti, influenzando, così, la percezione dell’osservatore e la sua concezione della forma.
Un concetto innanzitutto pratico, da applicare alla quotidianità degli oggetti e degli individui. Solo dopo può divenire anche concetto astratto. La cultura classica racchiude in sé partenza e arrivo della mia ricerca.
Tendenzialmente quindi il concetto segue perlopiù lo stesso filo conduttore in una sorta di evoluzione che mi porta, a seconda della specifica situazione, anche a cambiare tipo di media o materiale.
Cos’ è per te la Bellezza?
Bellezza, Perfezione, Astrazione, Violenza, Rinascita. È un cerchio che si richiude. È una dichiarazione d’amore e d’intenti.
Con i miei lavori tento però di dare anche un avvertimento: potremmo perdere tutto ciò che consideriamo eterno. E allora quell’aggressione ha una motivazione: servirà a farlo tornare presente e, se non immortale, almeno attuale.
Nel viaggio della riflessione sulla perfezione classica plasmata al contemporaneo tengo a ribadire che la Bellezza oggi è questo: la Bellezza è verità!
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Con il tuo progetto #onehundrenipples ci racconti la Bellezza come canone non univoco, mostri la diversità come unicità e reale Bellezza. Ma cosa significa essere unici?
Per Aristotele “Ciò che è bello, sia un animale, sia ogni altra cosa costituita da parti, deve avere non soltanto queste parti ordinate al loro posto, ma anche una grandezza che non sia casuale; il bello infatti sta nella grandezza e nell’ordinata disposizione delle parti”.
Questo progetto parte appunto da una riflessione sul Bello tipicamente greca: può essere considerato tale solo ciò che ha ordine, simmetria, proporzione, armonia. Applicando questo concetto al corpo bisogna inserire un’altra suggestione: non sono forse le sue singole parti ad aver dettato le unità di misura? Dito, piede, palmo.
Nella statuaria è dunque l’artista a dover stabilire e ricreare i rapporti ideali tra questi elementi, restituendone una perfezione “oggettivata”. La mia azione quindi è quella di isolare i singoli elementi e sezionarli dopo averne tracciato le linee di costruzione. Che ci si trovi di fronte a un particolare tratto dall’anatomia di un viso o di un corpo, ciò che appare è un Bello ugualmente assoluto nella sua singolarità.
L’obiettivo di questo progetto è quello di realizzare i calchi dei capezzoli di 100 donne diverse per sottolinearne appunto la diversità, quindi l’unicità.
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E chi o cosa è veramente il diverso?
Troppo spesso viene data a questa parola un’accezione negativa. Essere diversi significa essere inadeguati, inadatti, infelici, persino. E il diverso, spesso, diventa un nemico.
Personalmente credo nell’unicità dell’individuo e al diritto di esercitare la propria individualità. E credo nell’accettazione. Sono estremamente convinto che la diversità sia ricchezza.
È “Diverso” ad esempio un popolo che nel corso dei secoli ha avuto modo di sperimentare diverse culture, a volte pacificamente altre volte meno, ma assorbendone sempre le caratteristiche e l’anima fino a mischiarle man mano alle proprie. Quel popolo probabilmente sarà l’Eletto.
Ti definisci femminista?
Istintivamente mi viene spontaneo rispondere: “Si, certo!”. Riflettendoci bene però la risposta diviene sempre più complessa da esprimere. Tendenzialmente non amo vivere di assolutismi. Non mi definirei esattamente femminista nella sua forma di contrapposizione.
Personalmente la parola che più mi piace utilizzare per definire questo concetto è “Naturalista”, nel senso che ritengo che sia naturale non considerare null’altro al di fuori dell’unico concetto di uguaglianza tra gli esseri umani. Credo sia la meta a cui tutti dovremmo aspirare.
Detto ciò son consapevole che socialmente c’è molta strada ancora da percorrere per raggiungere questi punti sia rispetto ai diritti paritari delle donne che di tutta la comunità LGBT, motivo per cui mi troverete sempre in prima linea nelle battaglie per raggiungere questi obbiettivi.
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Sei stato uno dei giovani artisti di Paratissima 2020. Raccontaci l’esperienza di vivere questo evento durante una pandemia e una crisi globale.
Paratissima è stata una manifestazione fortemente voluta sia dall’organizzazione che da tutti gli artisti coinvolti nonostante le criticità del momento e la defezione di altre importanti manifestazioni previste in concomitanza.
Nonostante chiusure forzate in tutto il Paese, e di conseguenza, di molte attività culturali ho percepito una voglia di partecipare a questo tipo di eventi molto forte.
Inoltre è stato molto interessante rapportarsi e riconoscersi in diversi artisti, molti dei quali hanno portato in questa manifestazione anche lavori realizzati durante la fase di lockdown. Un modo per esternare l’esperienza vissuta poco tempo prima.
E tu, come stai vivendo questo preciso momento storico? È un momento di riflessione, sviluppo di nuove progettualità? Qual è il tuo sentimento predominante?
Quando arriva una crisi la prima cosa è lo sconforto. Dopo la fase di interiorizzazione inizia quella della creatività.
I giorni di chiusura sono serviti a questo. A raccontare quei sentimenti.
Nonostante le difficoltà a cui tutti siamo sottoposti mi sento stranamente propositivo e con voglia di fare nuovi progetti. Percepisco e condivido questo sentimento con diversi colleghi segno che la voglia di arte è trasversale e necessaria.
Il giovane artista oggi, con quali responsabilità deve confrontarsi per poter portare la l suo lavoro nel prossimo futuro?
L’arte è per me verità. L’artista, il mago della vita per eccellenza, ha da sempre e per sempre il compito di fare arte con la più limpida sincerità. L’artista bluffa con la vita non con l’arte.
Com’ è la tua giornata tipo, cosa fa un artista nelle sue 24 ore?
Pregio o difetto non riesco ad essere abitudinario per cui non ho proprio una giornata tipo. Tendenzialmente passo molto tempo nel mio atelier e nel mio quartiere: multietnico, brulicante di diversità e quindi molto stimolante.
Abitare e lavorare in un contesto del genere mi permette di apprezzare anche le piccole cose del quotidiano come fare colazione al bar in piazza, fare la spesa al mercato e tutte quelle cose a misura d’uomo che mi riportano su un piano di realtà e concretezza.
Un artista come me nelle sue giornate vive e cerca di captare le vibrazioni che arrivano dall’esterno. Non c’è una differenza tra la vita e il fare arte, i pensieri si mescolano insieme alle idee e alla quotidianità.
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Ti svegli domani nel nuovo mondo. Qual è la prima cosa che fai?
L’ammiro! Se è come l’ho sognato.