Gli anni ’70 e ’80 vedono svilupparsi in Italia un nuovo modo di guardare al paesaggio, grazie a Luigi Ghirri e alla Scuola italiana di paesaggio
Il lavoro della Scuola italiana di paesaggio va contestualizzato per far sì che ne venga compreso appieno il valore, la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 segnano il passaggio da un periodo fatto di ambizioni rivoluzionarie e spinte comunitare ad uno il cui motore è uno spirito modernista e più disincantato nei confronti dell’ideologia collettiva e pubblica, votato maggiormente all’esaltazione dell’individualità e della realizzazione professionale.
Il nuovo modello occidentale che si affaccia porta ad uno stravolgimento dei valori e, in questo processo, il territorio, inteso come sistema di beni, risorse e patrimoni, diventa parte fondamentale dell’immaginario collettivo e cartina di tornasole del cambiamento sociale in atto.
La fotografia, come altre forme artistiche, riflette i cambiamenti politici e culturali della società e la particolare attenzione rivolta al territorio fa sì che questo diventi il campo d’indagine della trasformazione in atto e che la nuova Scuola italiana di paesaggio renda lo spazio urbano metafora della rivoluzione sociale.
La figura cardine della scuola italiana di paesaggio è Luigi Ghirri, nato a Fellegara di Scandiano – frazione emiliana che, nonostante i suoi appena 1000 abitanti, può vantare di aver dato i natali sia a quello che è probabilmente il più grande fotografo italiano, sia ai CCCP – nel 1943 e approcciatosi alla fotografia relativamente tardi, all’età di 26 anni, nel 1969. L’immagine della terra fotografata per la prima volta dallo spazio, durante il viaggio della navicella spaziale verso la Luna, lo sconvolge particolarmente, la prima fotografia del mondo; “l’immagine che contiene tutte le immagini del mondo”. Da qui ha inizio la sua ricerca visiva e si può affermare senza dubbio che abbia rivoluzionato il concetto di paesaggio in fotografia lungo tutta la sua carriera; l’immagine nell’immagine, manifesti, insegne e objet trouvé diventano protagonisti di una delle sue prime raccolte: Paesaggi di cartone.
Con Colazione sull’erba (1972) invece prende forma il suo interesse verso il rapporto tra natura e artificio, volgendo lo sguardo a giardini e abitazioni della periferia emiliana, uno sguardo attratto sempre da soggetti quotidiani e domestici, capace di stimolare quella sensazione di straniamento da unheimlich Freudiano, rifiutando l’immagine sensazionalistica e donando nuovo interesse a soggetti che normalmente sarebbero considerati banali, inquadrandoli in cornici, soglie e inquadrature capaci di rendere estraneo ciò che nasce come familiare.
Nelle sue composizioni si intuisce la formazione da geometra e l’attenzione alla progettualità (“è necessario avere un progetto sia per costruire una casa, quanto e soprattutto per la realizzazione di un’opera d’arte […] Soltanto all’interno di questo è consentito il rischio e la libertà del gesto”), evitando di ricercare il paesaggio da cartolina, ha modo di documentare il passaggio verso una società post industriale attraverso l’indagine della provincia, un paesaggio più che familiare agli occhi di un italiano di quegli anni, ma fotografato in modo del tutto nuovo.
Le fotografia di Ghirri è un lavoro in sottrazione, non si palesa mai prepotentemente agli occhi dell’osservatore, ma lo invita sempre a soffermarsi un attimo di più, anche la scelta dei formati delle sue stampe è esplicativa del suo intento, si tratta quasi sempre di piccoli formati, a differenza di tanti altri fotografi non usa il banco ottico, perché convinto che le lastre del grande formato rivelino troppi dettagli e, quindi, preferisce il medio formato della sua Pentax, più incline a lasciare spazio all’immaginazione dell’osservatore.
Nel 1984 Luigi Ghirri è ormai un fotografo affermato e il panorama italiano è in fermento, a sancire questo nuovo modo di osservare lo spazio c’è un progetto per immagini, pensato dal fotografo emiliano, che diventerà il manifesto della Scuola italiana di paesaggio: Viaggio in Italia.
Si tratta di una mostra presso la Pinacoteca Provinciale di Bari che include molti fotografi italiani, tra cui Gabriele Basilico, Giovanni Chiaramonte, Vittore Fossati, Guido Guidi, Mimmo Jodice, Gianni Leone, Mario Tinelli, oltre a Luigi Ghirri ovviamente. Trecento fotografie, accompagnate da testi di Arturo Carlo Quintavalle e Gianni Celati, che mirano a restituire all’osservatore il racconto di un territorio che non è più quello stereotipato come meraviglioso e unico al mondo, si tratta di paesaggi altri che rappresentano il rovescio della medaglia dell’età postmoderna. Non a caso la maggioranza dei fotografi in questione prende spunto dal lavoro di Walker Evans, pioniere e mostro sacro della fotografia sociale e documentaristica, anche se stili e risultati raggiunti presentano le dovute differenze; si può citare l’immenso lavoro di Gabriele Basilico nel raccontare la città attraverso i suoi scatti principalmente in bianco e nero, densi di informazioni sullo spazio urbano e all’interno dei quali si legge lo sguardo formato dagli studi in Architettura, insieme a questo le opere di Vittore Fossati e Guido Guidi, con un’estetica più simile alle atmosfere restituite da Ghirri, una profonda ricerca sul colore nelle loro fotografie e uno spiccato rigore formale.
Tra queste derive va citata anche quella del fotografo di Scandiano verso la fotografia di paesaggio concettuale, sviluppata con Atlante, un progetto che è la sintesi estrema di un viaggio nelle sfumature del paesaggio e dei segni che lo compongono, un viaggio che è immaginario grazie alla radicalità del pensiero attraverso il quale vengono fotografate le mappe geografiche che compongono un atlante geografico, in modo da far perdere alle pagine di questo la loro funzione illustrativa e da rendere quei segni un paesaggio vero e proprio.
In sintesi, quando si parla di Scuola italiana di paesaggio, probabilmente è normale prendere Luigi Ghirri come esempio più influente, dato il suo eclettismo ed il suo lavoro sul paesaggio e sulle possibili modalità di rappresentazione legate ad esso, allo stesso tempo però va ricordata la presenza di un folto stuolo di autori che hanno apportato un contributo vitale al panorama fotografico italiano degli anni ’70 e ‘80, accomunati in gran parte dall’interesse per l’oggetto comune e per la trasformazione della natura e dello spazio urbano, mettendo in moto un meccanismo per il quale il paesaggio, per quanto non venga ritratto nelle modalità canoniche, è fortemente al centro di questa ricerca visiva in quanto ricco di indirizzi su quella contemporaneità e, quindi, meritevole di particolare attenzione.