Marti Stone è un’eccezione. Una mosca bianca, una sfida. Rap al femminile, flow e sound travolgenti, una visione internazionale, un’attitudine oltre le righe eppure autentica, trasparente.
Un personaggio denso, non etichettabile, difficile da inquadrare. Il rap, un genere altrettanto difficile se intrapreso in Italia. Eppure Marti Stone ci si muove attraverso come se fosse il suo ambiente vitale, un fluido in cui è totalmente immersa. Qui la femminilità che prende il controllo sulle rime, racconta la vita. La femminilità spiazza e travolge.
Marti inizia da subito, da sempre. A dieci anni compone rime, al liceo entra in una band punk-rock. A diciassette ilprogetto del duo Stoned Monkeys: qui EP e primi album che le permettono di essere individuata tra i migliori rappers under21 del momento. Nel 2014 ricomincia da sola, ridisegna la sua immagine, la libera e la rende più positiva, più aperta, acquisendo una visione internazionale.
Da questo momento inizia una crescita inarrestabile, consacrante. Marti Stone definisce la sua identità. Una figura forte, matura, un’artista che dosa intelligentemente parole, messaggi e musicalità di ampio respiro. Un equilibrio che crea un prodotto totalmente nuovo e coinvolgente.
Chi è Marti Stone, qual è il suo percorso e il suo background?
Marti Stone è il nome scelto da una bambina di 11 anni durante una calda estate dell’inizio degli anni duemila. Scrivevo rime, ascoltavo tanta musica tutto il giorno, tutti i giorni. Ho iniziato a registrare le mie canzoni con un microfono per videochiamate Skype, poi ho incontrato altri ragazzi con la mia passione per il rap, qualche anno dopo ho iniziato a suonare la chitarra, ho formato un gruppo punk rock in cui ero voce e chitarra. Ho continuato tra questo genere e il rap finché a 17 anni ho messo su un duo con un producer che mi ha accompagnata fino al 2014, facevamo elettronica e rap.
Il primo progetto a 17 anni: il duo Stoned Monkeys. Cosa ti ha dato questo tassello delle tue esperienze e quando hai capito di dover iniziare un tuo progetto individuale? Cosa significa scegliere di perseguire un percorso
come singolo?
Stoned Monkeys è stato il vero inizio di tutto, grazie al producer del duo (Daco) ho imparato molto anche a livello tecnico, mi faceva registrare la voce mille volte fino a farmi trovare il modo più personale e armonico di esprimermi. Ho passato la mia adolescenza nel suo studio ogni pomeriggio dopo scuola. Nel 2014 mi ha accompagnata durante la realizzazione del mio primo album prodotto da un’etichetta, dopo questa esperienza le nostre strade si sono divise, sarà per la differenza di età (aveva 10 anni in più di me), sarà per le divergenze di obiettivi, sarà perché la vita va così e basta. Gli sono molto riconoscente e tutto questo lo sto portando avanti da sola anche per rendere omaggio a quei giorni in cui sognavamo di arrivare qui… e molto più in la.
Quali sono le opportunità e le difficoltà che il rap incontra in Italia? Quali sono stati gli ostacoli più significativi che hai affrontato nel tuo percorso?
Il rap ha iniziato a prendere piede nella società e nell’industria da poco più di 10 anni, la difficoltà sta nel fare del buon rap facendosi accettare dalla massa che si aspetta sempre qualcosa di patinato all’italiana. Durante il mio percorso mi sono scontrata con una mentalità talvolta chiusa anche nei confronti del mio essere donna in questa scena.
Cos’è per te la musica e che visione hai della donna all’interno della dimensione musicale?
La donna è una galassia in continua mutazione, nell’arte questo è fondamentale. La musica è un mezzo per trasmettere al mondo ciò che sei e come ben sappiamo per il mondo è ancora difficile riuscire ad accettare tutte le sfaccettature di una donna. Alcuni ti vorrebbero più docile, altri ti vorrebbero zitta, più sexy, meno pesante. Ognuno vorrebbe vedere una donna secondo il proprio stereotipo. Essere donna e restare in piedi tra tutte queste richieste richiede molta forza e determinazione, la soluzione è di non scendere mai a compromessi, restare sempre fedeli a se stesse.
Che tipo di personalità dovrebbe avere una figura femminile ideale all’interno di un panorama artistico? Quali caratteristiche sono indispensabili, quali utili alla definizione della propria figura?
Secondo il mio gusto personale una figura femminile deve essere lasciata libera di esprimersi, dentro abbiamo un mondo talvolta contrastante, ma sempre coerente a sè. Io nella mia produzione musicale posso essere sorella, madre, santa, puttana, forte, debole, felice, triste… Le uniche due caratteristiche da mantenere in tutto questo sono dignità e professionalità. Per il resto li lasceremo parlare…
In che modo avviene la tua ricerca musicale, quali sono le tue principali fonti di ispirazione per i contenuti piuttosto che per i sound? Quanto passato e quanto presente c’è nel tuo lavoro, prevale il background solido o la ricerca e la curiosità?
Sono prima di tutto una grande ascoltatrice di musica, senza limiti. Ogni piccola cosa che mi provoca emozioni la prendo e la traduco nella mia produzione tramite suoni, ritmiche e linguaggio. Il mio lavoro è sempre fedele all’attualità, tiene le radici fisse a terra e punta all’infinito cercando di non ripetersi mai. Il background va aggiornato di volta in volta attraverso la curiosità e la ricerca ostinata proprio lì dove non avresti mai pensato di scavare!
Instastories rappresenta un passo decisivo nel panorama internazionale e nel tuo modus operandi? Pensi questo lavoro possa essere un ulteriore punto evolutivo della tua carriera a livello di personalità e contenuti? Quanto è importante l’evoluzione di un artista?
Ho sempre scritto in inglese, ma ho pensato che pubblicare soprattutto pezzi in italiano avrebbe favorito il pubblico italiano all’approfondimento. Poi però iniziavano ad arrivarmi messaggi dall’estero: “Mi mandi il testo tradotto? il flow spacca ma vorrei capire cosa dici!” allora ho deciso di aprirmi completamente a questa nuova sfera. Cambiare lingua significa cambiare forma mentis e permette di esprimere meglio determinati concetti, puoi amare in italiano, in inglese, in spagnolo e saranno tre tipi di amori espressi in maniera totalmente diversa tra loro. Le lingue sono sempre stata una mia passione e materia principale del mio percorso di studi. L’evoluzione è inevitabile!
Che rapporto hai con il panorama internazionale, quali sono le differenze principali che hai riscontrato rispetto al nostro Paese?
Ritrovandomi in ambienti artistici all’estero ho provato sensazioni totalmente differenti dalle esperienze italiane. Per esempio a Londra in una serata a Camden Town, durante il concerto delle mie amiche Bones, tutti erano molto positivi ed erano lì per divertirsi e per ascoltare buona musica. Quella sera ho conosciuto Jeff Beck, il quinto chitarrista più importante al mondo, una leggenda vivente. Ci hanno introdotti e scoprendo che sono una rapper mi ha stretto di nuovo la mano e mi ha detto “fantastico! devi farmi sentire! sono curioso!”. E non erano parole di circostanza. Caso contrario in Italia, backstage di un qualsiasi live sono tutti a fare i fighi tra loro, ti squadrano, cercano di capire con chi sei entrato e solo dopo si scambiano due chiacchiere. Ovviamente tutti pronti a sottolineare quanto loro spacchino più di qualcun altro. Molto alcol, droga e ostentazione.. Vivono nel mito delle rockstar, quando le vere rockstar hanno un altro stile di vita. Non fa per me.
Dove ti vedi tra cinque anni?
Da qualche parte in nord Europa o America, con un sorriso stampato in faccia e altri mille motivi per continuare a sorridere.
Cosa consiglieresti a chi, come te, ha deciso di investire tutto nella propria carriera artistica?
Continuare sempre ad avere fede! La luce negli occhi, il fuoco nel cuore. Accettare la propria tristezza, conviverci, poi tornare a sorridere e ricordare che siamo qui solo di passaggio, dobbiamo lasciare la parte più bella di noi a questa terra.