Incontro Matteo Piacenti alla stazione Saxa Rubra in un torrido pomeriggio romano. Non ci siamo mai visti eppure sembriamo amici da una vita. Chiacchieriamo di tutto, condividendo le nostre esperienze nel magico, e folle, mondo della creatività.
18 anni e già diverse mostre all’attivo. Un ragazzo curioso e animato da una forte passione per l’arte. Mi rivedo in lui se non fosse per gli 8 anni di differenza che mi fanno sentire irrimediabilmente vecchio.
Arrivati a Roma Smistamento scopre gli spazi con estremo stupore, gli sembra incredibile esista un luogo del genere. Dopo un piccolo tour guidato e la promessa di poter usare lo spazio a suo piacimento in futuro, ci sistemiamo in sala posa per lo shooting a me dedicato.
Abbiamo deciso infatti di raccontarci a vicenda, ognuno a suo modo: lui attraverso la fotografia, io per mezzo di un’intervista. Questo è il risultato. Un racconto per immagini e poi attraverso le parole. I nostri mezzi di espressione, il nostro modo di incontrarci e raccontarci l’uno dell’altro.
Dopo aver posato davanti al tuo obiettivo adesso sei tu, seduto nella nostra Sala Relax, a dover rispondere a un po’ di domande. Sei pronto?
Forse preferivo rimanere di là a fotografarti…
Anch’io ero un po’ agitato, ma come hai visto poi mi sono lasciato andare. Spero sarà lo stesso per te. Allora, ciao Matteo Piacenti, benvenuto. Partiamo subito dall’inizio: ti ricordi la prima volta che hai preso in mano una macchinetta?
Me lo ricordo e sinceramente non sapevo cosa farci.
Per fortuna un amico di famiglia, Luigi, mi ha insegnato tutto quello che è la fotografia, mi ha fatto appassionare così tanto che oggi è il mio principale mezzo di espressione.
Ho iniziato quando ero praticamente bambino, con la prima mostra realizzata nel 2015.
Fin da piccolo volevo fare tutto: teatro, cinema, scultura e pittura. A Nepi, nella mia città natale, all’epoca si organizzavano eventi durante i quali venivano ospitati personaggi dell’arte e dello spettacolo.
Sono entrato in questa realtà e ho conosciuto le persone di questo mondo. Personalità del calibro di Dario Fo, Carla Fracci, Giobbe Covatta, Katia Ricciarelli e molti altri ancora. Inizialmente ero la mascotte del gruppo, tenero e un po’ cicciottello. Da quel momento ho sempre cercato di assecondare le mie passioni artistiche, qualsiasi esse fossero.
Cosa ti permette di esprimere la fotografia?
Come ti dicevo ho tante passioni. Amo la letteratura ma non saprei come fare per crearla io.
Con la fotografia invece sento che mi viene naturale, che è qualcosa di spontaneo. Non ho bisogno di grandi sovrastrutture, attraverso la fotografia posso catturare un momento e raccontare chi ho davanti.
Ti stai specializzando nei ritratti in studio, una tipologia di foto che ti permette di conoscere la persona in tutte le sue sfaccettature. Come ti poni rispetto a una cosa così intima?
Bè questa giornata è un ottimo esempio. Ti trovi, come è successo a noi oggi, con persone che non hai mai visto prima ed hai la possibilità di conoscerle e di raccontare il loro mondo.
Magari nel tuo caso è l’architettura e la creatività, per un altro la musica. Cerco di entrare in relazione con chi ho di fronte in modo spontaneo. Si crea un contatto perchè le persone vogliono raccontarsi e così da questa interazione nascono scintille che cerco di catturare.
Questo tipo di fotografia è una cosa duale: da solo non combinerei nulla. Mentre invece i soggetti che fotografo si raccontano e io racconto loro. Così trovo vari mondi e conosco tante persone, è una cosa che mi piace moltissimo. Mi trovo a contatto con le storie più disparate e cerco di ridare tutto questo all’interno della foto.
Tre anni fa ero timidissimo, poi ho iniziato a far entrare nel garage di casa, il mio studio, estranei da fotografare. È stata una prova per aprirmi al mondo. Ho combattuto la timidezza con la fotografia.
Ultimamente stai vivendo un tuo “periodo” per dirla alla Picasso. Utilizzi solo bianco e nero. Come sei arrivato a questa forma di rappresentazione e perché ti attirano così tanto i contrasti?
Il bianco e nero è subentrato da poco, ma è qualcosa che mi è sempre appartenuto.
La mia prima vera passione era la scultura. Amavo la tridimensionalità, la possibilità di poter girare intorno all’opera. Nella scultura non è tanto importante il colore, quanto il volume e la materia.
Ho trasportato questa mia prima passione nell’ambito della fotografia in bianco e nero. Con questa tecnica non hai distrazioni e ti concentri sul soggetto, apprezzando plasticità e volumi.
Poi sono un amante di Caravaggio e della scuola romana: mi attraggono la luci e le ombre.
Finito il liceo ti toccherà prendere decisioni impegnative. Sai già in quale scuola formarti?
Si tratta di una fase delicata, uno di quei momenti in cui segni la direzione della tua crescita personale e come professionista. Il mio sogno è entrare al Centro Sperimentale di Cinematografia.
Nella fotografia si dice che Roma non sia il massimo, al contrario di Milano.
Ma Roma ha ciò che io voglio dire, mentre Milano è più orientata alla fotografia di moda e di architettura, un mondo fantastico ma che forse non rappresenterebbe del tutto ciò che sono. A Roma girando per gallerie e chiese mi ci trovo, è il mio mondo.
In qualche modo senti di proseguire questa tradizione, le nostre radici artistiche?
Assolutamente si, sono quelle le mie prime fonti di ispirazione.
Certo, è davvero difficile. Molto miei coetanei vanno all’estero e questo è un segnale preoccupante per il Paese. Tante persone di talento oggi lavorano da fuori. Molti italiani lavorano all’esterno, hanno l’Italia nel cuore ma qui non trovano quelle rivoluzioni che magari vogliono fare, forse fuori vengono capiti meglio. Dobbiamo invertire questa tendenza affermando il nostro punto di vista. E il mercato dell’arte deve aiutarci in questo. A Londra o New York si lavora di più e l’arte viene apprezzata e pagata. Se gli artisti non riescono a vendere nulla come possono finanziarsi?
Con il cortometraggio “Confused” sei passato anche al video. Come hai vissuto questa novità?
Parto dall’idea dell’immagine singola, cerco di rappresentare in un solo scatto cosa mi racconta quel momento. Per raccontare una persona un’immagine può bastare: questo è il mio approccio.
Con il film ho iniziato a mutare, anche se di base sono tante foto al secondo, un bordello di foto al minuto. Il principio però lo stesso, raccontare una storia partendo da un singolo fotogramma.
Sei super giovane, appena diciottenne, ovviamente vai ancora a scuola. Intanto com’è andata la pagella? E come vivono studenti e professori questa tua attività artistica?
Domanda difficile perché…ho il debito in Filosofia!
In materie come Architettura o Storia dell’Arte ho tutti 10, ma in Filosofia, nonostante per certi aspetti sia affine con ciò che faccio, non riesco ad andare bene.
A dire la verità con la scuola ho costantemente avuto un rapporto complicato. Ero il ragazzo che doveva essere bocciato a prescindere. Un professore, quello di Storia dell’Arte delle medie, invece ha sempre combattuto per me, spronandomi ad approfondire la fotografia. Aveva capito che ero totalmente immerso nel mio mondo e che l’arte poteva aiutarmi ad uscirne, o meglio a portarlo fuori.
Il rapporto con i compagni è molto cambiato negli anni. Prima mi prendevano in giro, ero timido e impacciato. Adesso invece c’è stata una piccola rivoluzione.
Sono diventato più consapevole e penso sia cambiato anche il modo di percepire chi è se stesso e trova il proprio modo di esprimersi. Ho tanti amici che supportano sempre il mio lavoro.
Spero mi aiutino anche per il debito in Filosofia.
Prossima mostra di Matteo Piacenti: UNPUBLISHED PHOTO 2019
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