Marco Pantani è stato nonostante tutto un vincente, ma ciò che caratterizza la sua storia sono le sue cadute, e come sia riuscito (quasi) sempre a ripartire.
Quando a Marco Pantani veniva chiesto perché andasse così forte in salita, la sua risposta era “per abbreviare la mia agonia”. Scalatore puro, 57 kilogrammi di peso per essere il più forte in montagna, la prima vittoria in assoluto la conquista a 14 anni su un percorso pianeggiante, a posteriori sembrerebbe un preludio del dualismo che caratterizzerà tutta la sua carriera di ciclista; le vittorie e le cadute, queste ultime sia vere che metaforiche.
Il modo in cui la figura del Pirata si disvela è proprio nei suoi estremi, nel contrasto tra i suoi momenti più alti e quelli più sfortunati si disegna la figura di uno sportivo che ha portato con sé un vissuto umano potentissimo che ce lo rende più vicino, tangibile, col quale siamo pronti ad empatizzare; il miglior modo di raccontarlo sembra, quindi, attraverso quei momenti limite che hanno contribuito a crearne il mito, a tappe, come le corse che dominava.
4 Giugno 1994 – Giro d’Italia, tappa Lienz – Merano, 254 km
La prima vittoria tra i professionisti arriva a 24 anni, negli anni dei dilettanti supera un incidente con un camion che lo lascia in coma per un giorno e un altro incidente con un’automobile che gli procura varie fratture, nel 1993 debutta al Giro d’Italia ma deve abbandonarlo a causa di una tendinite. La prima vittoria arriva quindi l’anno successivo, Pantani si lancia in discesa in una posizione tanto folle quanto aerodinamica, sellino sotto lo sterno e sedere sospeso sulla ruota posteriore per andar giù il più forte possibile, a 90 km/h, stavolta niente incidenti, arriva primo sul traguardo di Merano e, per non farsi mancare nulla, il giorno dopo vince un’altra tappa, stavolta dominando in salita.
20 Luglio 1994 – Tour de France, tappa Bourg-d’Oisans – Val Thorens, 149 km
Il 1994 è anche l’anno del debutto al Tour de France, la corsa più prestigiosa al mondo, all’inizio della tappa che si chiude a Val Thorens viene coinvolto in una caduta che gli costa un infortunio al ginocchio, cerca di continuare a pedalare ma il dolore non gli permette di andare come vorrebbe e prosegue per 100 km pensando di ritirarsi dalla corsa, l’ammiraglia della sua squadra gli chiede di terminare comunque la tappa. Il Pirata non può accontentarsi di arrivare anonimamente a fine tappa e, incredibilmente, all’ultima salita sembra non essere mai caduto, decide di attaccare e stacca Indurain (il ciclista più forte in quel periodo), recupera il gruppo che lo precedeva, stacca anche questo e arriva terzo. A fine corsa gli chiedono cosa sia successo, lui dice semplicemente che a un certo punto ha iniziato a pedalare e a dimenticare il dolore. Il ciclismo è uno dei pochi sport che racchiude ancora atti eroici, questo è uno di quelli.
1998 – Giro d’Italia e Tour de France
Dopo il secondo posto in classifica generale al Giro ’94 e il terzo al Tour dello stesso anno, Pantani è lanciato verso il successo, se non che nei due anni successivi è nuovamente vittima di due incidenti, il secondo dei quali mette addirittura in pericolo il proseguimento della sua carriera; dichiara che preferirebbe esser sconfitto dagli avversari, invece ci ha messo lo zampino la sfortuna, un’altra volta. L’anno della consacrazione tarda quindi ad arrivare, ma nel 1998 non c’è sfortuna che tenga, primo posto nelle due corse a tappe più importanti del mondo, dopo di lui nessun altro ciclista è stato in grado di centrare la storica doppietta. Il Pirata è il più forte di tutti, probabilmente è lo scalatore più forte di sempre. Le due imprese di quell’anno, compiute sulla salita di Montecampione durante la Corsa rosa, e sul Col du Galibier nella Grand boucle, entrano immediatamente nella storia del ciclismo.
30 Maggio 1999 – Giro d’Italia, tappa Racconigi – Santuario di Oropa, 160 km
Il Santuario di Oropa, in Piemonte, è una tappa storica del Giro d’Italia, principalmente pianeggiante, con una ripida ascesa negli 11 km finali. Ad 8 km dalla fine ancora la sfortuna; la catena della bicicletta di Pantani salta, deve fermarsi per sistemarla e perde 40 secondi, non pochi, dal gruppo di testa; i suoi compagni di squadra lo aspettano e lo aiutano a tornare in gruppo ma, quando il Pirata spinge, non riescono più a stargli dietro neanche loro. Pantani recupera un totale di 49 ciclisti, raggiunge Laurent Jalabert, che era andato in fuga, e negli ultimi 3 km stacca anche lui, taglia il traguardo di Oropa in solitaria e senza esultare, capisce di aver superato tutti e vinto la tappa solo alcuni secondi dopo, quando viene festeggiato dalla squadra.
Quella di Oropa è stata l’ultima grande impresa di Pantani. Pochi giorni dopo, a Madonna di Campiglio, arriva la caduta più rumorosa; gli viene trovato un livello di ematocrito troppo alto nel sangue e viene sospeso per 15 giorni allo scopo di tutelare la sua salute (non sarà mai squalificato per doping, come erroneamente si crede).
“Sono caduto e mi sono rialzato tante volte, stavolta non so se ce la farò”, queste le sue parole dopo l’accaduto, troppo tardi si scoprirà dell’intromissione della camorra, che aveva bisogno di eliminarlo dal Giro d’Italia a causa di un enorme giro di scommesse, come concluso dalla Procura della Repubblica di Forlì, solo nel 2016. Pantani tornerà a correre e regalerà ancora qualche tappa spettacolare, come le due vittorie al Tour de France del 2000, ma la vergogna per le accuse infondate che lo vedono coinvolto è troppo grande, la depressione e la cocaina lo porteranno alla morte solitaria in un residence di Rimini, il 14 Febbraio del 2004.
Personalmente ho iniziato a seguire il ciclismo grazie a Pantani e ho smesso di farlo con la sua morte, per poi riuscire a riprenderlo solo anni più tardi. “Pantani ha fatto il vuoto”, come detto in telecronaca da Adriano De Zan durante l’impresa sul Col du Galibier, ma l’ha anche lasciato, un enorme vuoto, quando se ne è andato.
Il Pirata, come nessuno dopo di lui, è stato capace di far appassionare un popolo di amanti del calcio ad uno sport totalmente diverso, considerato a volte noioso, dando spettacolo ogni qualvolta ce ne fosse bisogno. In salita era il più forte di tutti ma non era solo questo a far innamorare i suoi tifosi; erano soprattutto la sua umanità, la sua forza e, contemporaneamente, la sua fragilità, a renderlo oggi la figura sportiva più grande che abbiamo mai visto in Italia.