Paure e Millennials – A chi mi chiede di cosa ho paura rispondo banalmente: del futuro.
Non molto tempo fa su Facebook girava il video di Simon Sinek, che descriveva la generazione dei Millennials con i suoi difetti e le sue turbe. Egoisti, narcisisti, pigri, cresciuti con la convinzione di essere speciali, impazienti, con bassi livelli di autostima e grande incapacità nella gestione dell’ansia e dei rapporti sociali. Poi aggiungeva, verso la fine, che niente di tutto ciò che sono è colpa loro. La colpa è dell’educazione ricevuta, di internet e del tutto subito, dell’ambiente lavorativo abituato a trattare le persone come numeri, e di tutto ciò che ha svalutato il tempo, la fatica e le relazioni. La sua era un’analisi con molteplici picchi di verità e un buon numero di questioni già assodate, di cui siamo convinti anche noi Millennials stessi, tanto che non scuotiamo la testa nel sentirci tacciare di narcisismo e dipendenze varie, ma annuiamo. Questo perché da una parte ci sentiamo sempre gli esclusi dall’elenco di negatività, i casi meno gravi o gli eletti di un’altra natura, dall’altra siamo così abituati a sentirci descrivere come una generazione di mediocri o di intelligentissimi in contesti sbagliati, che incassiamo il colpo prendendoci la consolazione del “non è stata colpa loro”.
La mia paura del futuro può essere completata proprio da questo, dal “non è colpa loro”. Io temo il futuro di cui non ho colpa, vale a dire responsabilità, anche se trovo molto più preoccupante il futuro di cui ci illudiamo di non avere colpa, o di cui ci illudono di non avere colpa. Temo il primo perché ho progetti, e vorrei la certezza di avere le stesse possibilità di successo e di fallimento, indipendentemente dalla mia educazione, dalla crisi che viviamo, dall’impazienza che ci contraddistingue, dall’inettitudine che abbiamo sviluppato, da tutto ciò che è dato come già scritto in quella discolpa: “non dipende da loro, non ne hanno colpa”. E temo il secondo e il terzo perché sono tentazioni che portano a desistere e a rinunciare pur di avere una consolazione, e sono perciò il preludio del “futuro di cui non abbiamo colpa”, il preludio ad un futuro di immobilismo e passività.
La paura del futuro nasce quindi soprattutto dal quadro disastroso che viene tracciato della società d’oggi, e di conseguenza da quello ancora più funesto con cui si descrive la prossima, quella in cui saremo i lavoratori, i genitori, i cittadini, non più gli studenti, i figli, i tutelati. E’ perciò la paura per qualcosa che anziché spaventarci perché ignoto per definizione, ci spaventa perché descritto come certo, da cui non si può sfuggire, sia se crediamo di averne colpa sia se crediamo di non averne, e se crediamo di averne e vogliamo impegnarci per cambiare le cose sappiamo di star andando incontro a qualcosa di difficile e di imponderabile.
Simon Sinek aggiungeva verso la fine della sua intervista, dopo aver parlato della necessità per i ragazzi di imparare l’attesa, la perseveranza, il piacere per i processi lenti e faticosi, che le aziende dovrebbero da parte loro preoccuparsi di più delle vite umane, di accompagnare i ragazzi nella loro crescita lavorativa anziché abbandonarli a se stessi e ai loro drammi.
Un’altra paura è infatti probabilmente quella di restare soli, privi di un paracadute psichico o relazionale che possa aiutarci nella salita ripida della nostra vita, o del futuro di cui si è fin qui parlato. Questo perché ci sentiamo spesso soli già adesso, immersi in un contesto vastissimo che non è interessato a comprenderci, affiancati da persone con cui riusciamo con difficoltà a tessere rapporti profondi. Era un altro punto dell’intervista di Sinek: non ci fidiamo di chi abbiamo accanto perché non sappiamo spenderci nella costruzione di un legame solido, in amore, in amicizia o in qualsiasi altro ambito. Abbiamo effettivamente paura di non amare, o di non saper amare, o di non saperlo fare per tempi lunghi, o meglio ancora per tutta la vita, e questo si ricollega alla paura di restare soli. Purtroppo anche amare richiede tempo, sforzo, compromesso, purtroppo o per fortuna, e richiede la capacità di cambiare rispettando il cambiamento dell’altro, il che rende tutto più difficile ma, al contempo, più bello.
Probabilmente è questo che può smorzare le nostre paure, la paura del futuro, dei rapporti sociali, dell’inettitudine nell’amore e nella vita: la consapevolezza che sia un percorso, e che ogni percorso riserva per forza del bello. La bellezza non è un mero concetto estetico, significa riconoscere per cosa vale la pena sudare, a cosa è giusto dare spazio, talvolta togliendone un po’ al nostro ego (se è vero che siamo la generazione dell’egoismo), e significa anche buttarsi, agire prendendosene le responsabilità, la famosa “colpa che non abbiamo” e che invece dobbiamo avere, per necessità e per volontà e per un solo semplice desiderio: quello di apprezzare e penetrare la bellezza, che in sé contiene tantissimi altri concetti quali la sofferenza, l’entusiasmo, la gratificazione e infine anche la felicità.