Piani Paralleli è la celebrazione dei 50 anni d’età e 30 di carriera di uno dei più importanti compositori Jazz del panorama contemporaneo, Giovanni Mazzarino, in un film concerto diretto da Gianni Di Capua.
Piani Paralleli è un viaggio suggestivo, accompagnato dalla stessa voce narrante di Mazzarino,
all’interno del processo creativo musicale, che va dallo stesso concepimento della musica, passando per l’unione e la complicità dei musicisti, fino ad arrivare al valore massimo dell’opera.
Un vero e proprio dietro le quinte, attraverso il quale lo spettatore può osservare e ascoltare i momenti di silenzio, discussione, ragionamento sulla musica. L’aspetto più tecnico, ma anche viscerale, che c’è dietro la registrazione di un brano musicale. E in tutto questo si viene accompagnati, quasi per mano, da Mazzarino che da uno sguardo più approfondito alle immagini, proprio come se fosse uno strumento musicale.
In occasione dell’uscita al cinema di Piani Paralleli, presente in sala dal 7 Aprile, abbiamo avuto il piacere di parlare dello sviluppo del film, dall’idea all’uscita, e del valore della musica con lo stesso maestro Mazzarino.
Com’è nata questa unione tra musica e film? Quando è nata l’idea di far diventare un disco un film, che poi è un film soprattutto da ascoltare, oltre che da vedere?
Il film racconta in maniera diversa da quello che si potrebbe solo ascoltare. Entrambe le cose, in questo caso, sono complementari. L’ascolto di un disco passa attraverso differenti canali di fruizione. Il vedere un film passa da altri canali. E secondo me, l’unione di questi due mondi, costituisce un’accoppiata vincente.
L’idea di fare un film è stata la prima cosa alla quale ho pensato: portare su una piattaforma come il cinema un disco, facendolo conoscere a un pubblico più ampio. Non solo ciò che viene inciso su di esso, ma anche tutti quei processi che ci sono durante l’incisione. Su come viene registrato un disco, le dinamiche che si scaturiscono tra musicisti e come si agisce in considerazione della musica che si sta suonando. Questo perché il momento della registrazione è un momento molto diverso da quello concertistico. Nella fase di registrazione, il musicista sta fissando la musica. Ho voluto fare un film per rendere questo momento anche più suggestivo, proprio perché creato dall’unione delle immagini su momenti di musica suonata, registrata, pensata.
Piani Paralleli, credo che sia un nome magico. Perché questo nome che, fa immaginare, possa
lasciare andare lo spettatore verso diverse interpretazioni?
Piani Paralleli prima di tutto perché parliamo sia di un film che di un CD. Può, inoltre, significare molte cose, come piani inteso pianoforte, i piani sequenza del cinema, piani sonori della registrazione. I piani paralleli sono anche quei luoghi che, all’interno di questo progetto, io che sono il compositore di questa musica, non faccio altro che esplorarli. Quelle energie e generi diversi, di cui troppo spesso se ne fa di tutta l’erba un fascio. Io, invece, voglio portare ad esplorare con me chi guarda e ascolta. Quindi si, piani paralleli anche in senso di esplorazione, in quanto paralleli non intesi nella terminologia euclidei, ma che si incontrano e fondono.
Come si è sentito con la presenza delle telecamera al fianco? Come hanno reagito quelli che sono i suoi compagni di viaggio? Non è stata percepita quasi come una presenza ostile, estranea?
Assolutamente no. A parte la bravura dello staff, nell’essere quasi invisibile e silenziosi, c’era una naturalezza fondamentale. Proprio perché non mi sentivo sotto l’occhio di una camera e non c’era nessuno che mi diceva che stavano riprendendo, tutto si è potuto svolgere con estrema naturalezza, senza perdere l’autenticità del momento. Ti dimenticavi completamente della loro presenza.
Nel film, “Piani Paralleli”, colpisce molto l’uso della sua voce. Perché lei non è un semplice narratore. La sua voce diventa un vero e proprio strumento, che accompagna verso la più intima scoperta della sua personale visione della musica. Sembra una conversazione con se stesso, aperta anche agli altri.
Questa è stata sicuramente una delle cose pensate, proprio perché la musica doveva raccontare, ma bisognava anche specificare o approfondire dei pensieri. Il motivo per il quale c’è la mia voce fuori campo, che narra e racconta, quello che sta accadendo, quello che il fruitore sta guardando, è per dare una voce importante. Mette in evidenza tanti punti che spesso e volentieri vengono tralasciati, perché la musica non è solo una forma artistica ma anche disciplina scientifica. E tutti quegli elementi di questa disciplina messi insieme formano il vero momento creativo. Ci sono innumerevoli opzioni da mettere insieme, o da poter escludere, a seconda dal tipo di musica che si vuole produrre, ed è proprio lì che giunge il momento creativo. Come affermo anch’io nel film, il tutto si traduce nell’attesa. Questa attesa del momento creativo, per poi alla fine esplodere in un momento importante, che può essere, come in questo caso, la registrazione di un disco.
Una sua affermazione che colpisce molto, soprattutto gli appassionati è:“la
musica è un luogo, ed è il mio luogo preferito”. Quando ha scoperto questo luogo, o
meglio, quando è arrivato a capire che la musica è, appunto, per lei un luogo? E c’è un
luogo dove ama particolare comporre, suonare?
Al di là del luogo fisico, la musica è un luogo intellettuale. Un luogo che ha a che vedere con un’esigenza culturale e spirituale, un luogo dove si compone, si consuma tutto quello che sono gli atti creativi. Così come la creatività è un luogo che aiuta a stimolare, continuamente, verso un processo più amplio e profondo. Per questo motivo è il mio luogo preferito. Un luogo dove esiste il valore assoluto, ma anche quello delle relazioni, quelli relativi. Ci sono tutto un insieme di valori, che possono essere la fiducia, la stima, la complicità. Questi elementi, quando riescono a essere raggiunti dai musicisti, creano quell’intesa, rendendo la musica importante. La fiducia, per esempio, porta i musicisti a suonare nella stessa direzione; quindi, li porta nello stesso luogo. Lo stesso vale per la compatibilità. A volte si pensa che un musicista sia bravo solo perché sa suonare perfettamente il suo strumento. No, può anche saper suonare non in modo eccelso, ma quando si viene a creare quella compatibilità con gli altri musicisti e compositori, si crea qualcosa di unico. Tutte le relazione e interazioni che si vengono, quindi, a stabilire creano il luogo della musica, quel luogo dove a me piace vivere.
Ritorniamo alla musica e al film. Lei ama o è un appassionato di cinema?
Mi piace molto il cinema, ma più che altro amo le colonne sonore. Ritengo che non esiste un’immagine efficace senza un minimo di musica sotto di essa. La musica è importante. La colonna sonora è una colonna portante. Sono sempre stato innamorato di questo perché la stessa musica che scrivo è musica visionaria, musica che evoca delle immagini. Da una parte c’è questo tipo di rapporto, dall’altra parte mi piace andare al cinema e filtrare da un’immagine un certo tipo di musica. Carpirne il racconto, l’evocazione, dalla traccia musicale.
Nei decenni ci sono stati molti film che hanno saputo raccontare la musica, e non solo a livello storico, come può essere l’Amadeus di Milos Forman, penso anche ai Blues Brothers, Tenecious D, Round Midnight proprio sul jazz, e anche il più recente La La Land. Che rapporto ha con questo genere di film? E pensa che il cinema possa istruire, considerando che adesso c’è una certa siccità della forma e del genere musicale, a un ascolta diverso, alla scoperta di quelle espressioni musicali colte?
Fondamentalmente tutte le forme espressive di un certo livello vengono emarginate. Quindi, in genere, tutto quello che costituisce consapevolezza per i fruitori, spesso e volentieri viene confinato. Al di là di questo, questi film sono importanti perché fanno conoscere delle storie che in realtà, la persona media non conosce. Non approfondisce. Generalmente si pensa che la musica o sia talmente facile da poterla fare in qualsiasi momento, oppure attraverso quattro regole si può fare musica. Quando, in realtà, dentro la dimensione musicale esistono tantissimi elementi; primo fra tutti, la sofferenza. Comprendere come funzionano alcune cose, nella vita stessa, e tendere in continuazione di anelare al raggiungimento di questo obbiettivo. Questa è una di quelle cose importanti che spesso muove un compositore in una determinata posizione. Questa è un’esigenza!
E poi fa conoscere la musica sotto altri punti di vista, nel caso di Amadeus la differenza tra il musicista di corte e il grande compositore che, invece, si opponeva a delle regole inesistenti, inutili che opprimevano la creatività, l’estro di un musicista. Questo tipo di messaggio, secondo me, è importante perché apre la mente di chi guarda.
Piani Paralleli non ha questo tipo di velleità, ma sicuramente è un film che vuole raccontare delle cose che generalmente non si raccontano, e quindi non si sanno.