Fare il musicista oggi ha un significato tutt’altro che univoco, caratterizzato da un’elasticità che risulta a tratti dispersiva. L’espressione raccoglie al suo interno esperienze differenziate che impongono tutte un discorso a sé.

La repentina evoluzione musicale degli ultimi cinquant’anni si contraddistingue per la pressione esercitata non tanto dalle nuove esigenze artistiche, quanto dai cambiamenti extra-artistici che hanno avuto nel mondo musicale una risonanza senza precedenti. L’attuale moltiplicazione di orizzonti riguarda sia il proliferare di sottogeneri e riletture intrageneriche, ma soprattutto una profonda trasformazione strutturale che problematizza le dinamiche di produzione e frantuma l’organica fisionomia del musicista in una gamma di profili professionali con specifiche abilità e talvolta compromessi.

In Italia i musicisti professionisti si distribuiscono in tre fasce: i musicisti tutelati dipendenti a tempo indeterminato (1-2%, fondazioni, orchestra Rai), i musicisti autonomi con grande potere contrattuale individuale (3-4%, i cosiddetti big) e la fetta più consistente (95%) di musicisti professionisti intermittenti, privi di tutele, con un potere contrattuale pressoché nullo. La precarietà di quest’ultimo settore è sintomatica di una collettiva disaffezione all’arte, che in ambito musicale si traduce in feticismo per una produzione industriale e in miope investimento orientato soltanto verso ciò che dà ritorni immediati.

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Dai locali di live music alle case discografiche, a tutti i livelli una scarsa lungimiranza ha azionato un meccanismo in moto perpetuo in cui la delicata condizione dei musicisti e la squalificazione dell’offerta musicale si alimentano a vicenda. L’involuzione della musica a merce come tante ha innescato una selezione naturale che favorisce chi, sedotto da un facile successo, si conforma a modelli preconfezionati, elevandosi per poco a vincitore, per ricadere presto nell’oblio. D’altra parte lo stesso pubblico è assuefatto al tal punto ad una malnutrizione intellettuale da avere un gusto sempre meno sensibile alla vivacità di sapori che pure cerca talvolta di emergere dal piattume.

Ma è davvero tutto qui?

Accanto alla musica di vetrina e alle grosse cifre, una voce diversa cerca di farsi sentire. È una voce dal basso, è una voce rabbiosa, è un coro struggente che inneggia alla Musica. Le accresciute possibilità di autoproduzione e di autopromozione – dove il Web ha contribuito in modo rilevante –  permettono di non appoggiarsi necessariamente ai circuiti della grande distribuzione. Secondo la definizione classica, la musica indipendente comprende tutto ciò che non rientra nella produzione delle major. Ma uscendo da letture rigide e insidiosamente binarie, la vera Indipendenza riguarda la proprietà intellettuale sul proprio lavoro, la capacità di conservare autonomia di scelta su cosa fare e su come farlo. In questo senso, rientrano nella categoria anche coloro che dovrebbero rimanerne canonicamente esclusi. Più che una cifra stilistica, o una modalità di produzione, il termine “indipendente” designa un orientamento, un aperto rifiuto da parte di chi non intende piegarsi alle logiche di mercato. Tuttavia il settore tende talora ad assomigliare in una successione di microcosmi che comunicano poco fra loro, e stenta a trovare una piena stabilità economica. Pertanto non si dimostra ancora del tutto capace di guidare una rinascita musicale che tarda ad arrivare.

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[divider]ENGLISH VERSION[/divider]

Today being a musician is all but unambiguous, and it is characterized by a flexibility that sometimes results a little bit unmethodical. The definition can include a number of experiences all different among them.

The sudden musical evolution of the last fifty years can be identified by the pressure exercised by the extra-artistic changes that affected the musical world more than the new artistic demands. The current multiplication of developments concerns both the increasing of subgroups and intrageneric reinterpretation. But more specifically a deep structural transformation creates some problems in the productions and shatters the musician systematic physiognomy in a range of professional profiles with specific skills and sometimes compromises.

In Italy, professional musicians are divided into three categories: permanent safeguarded dependent musicians (1-2%, foundations and RAI Orchestra), autonomous musicians with great individual bargaining power (3-4%, the famous artists) and the bigger category (95%) of sporadic professional musicians, that cannot be safeguarded and without bargaining power. The precariousness of this last sector is symptomatic of a common lack of interest into the arts, that in the musical field can be translated into fetishism for industrial production and in a blind investment only focused on easy money.

On all levels, from live music places to record companies, there is a lack of foresight that activates a perpetual motion mechanism where the fragile situation of the musicians feeds the disqualification of the musical offer. The musical involution to a product like so many others triggered a natural selection that facilitates those who are easily seduced by easy success, which in turn creates bog-standard models, that stay on top for a short time and fall lower than ever shortly thereafter. On the other hand, the public is accustomed to this intellectual malnutrition to the point where its taste is desensitized to the vivacity of tastes that every once in a while tries to emerge from the mass.

Is this really all of it?

Besides all this popular music and big numbers, there is a different voice that tries to be heard. It is a voice from below, angry, a heart-breaking choir that sings the praises of music. The increased self-handing and self-promotion possibilities – where the web plays a big part – allow musicians not to lean on the large-scale distribution networks. According to the classic definition, independent music includes everything that isn’t in the major productions. But being far from those firm and binary interpretations, they can achieve the real Independence, having their own copyrights to their works and having the capacity to preserve their right to choose what and how to do something. From this point of view, people who would normally be excluded can figure in this category. More than a stylistic number, or a type of production, the term “independent” describes an orientation, an open reject from those who refuse to bend to what the market dictates. Nevertheless, the field tends then to look more like a group of microcosmos that little have to do with one another, and hesitates to find a full economic stability. It is consequentially not able to guide a much needed musical renaissance.

 

Traduzione a cura di Clarissa Candellero