Renato Cipullo, inimitabile genio del gioiello italiano. Un artista vulcanico che ha saputo anticipare le mode e rinnovarsi nel tempo realizzando opere d’arte preziose sempre attuali e di grande fascino.
Renato Cipullo apre le porte del suo studio di New York e ci racconta storia e visioni personali, passando in rassegna un archivio unico di esperienze, tra aneddoti e radici profonde.
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È una mattina di Aprile a New York, il sole inizia a farsi sentire nonostante il vento costante che mi accompagna dalla metro al portone di Renato Cipullo sulla 5th Avenue, proprio adiacente all’ingresso del Rockefeller Center. Un palazzo che si distingue per un’ingresso ripartito in fasce tipicamente Art Deco, un disegno che rintraccio poco dopo sul biglietto da visita di Renato, elegantemente scandito dai colori dei metalli preziosi.
L’ingresso dello studio raccoglie pubblicità e ritagli di giornale, che anticipano un ambiente dove storia e personalità governano lo spazio.
Nella suite del maestro ogni dettaglio è pensato e realizzato con cura, nulla è lasciato al caso. Un ambiente vetrato e luminoso che si affaccia sulle terrazze dei palazzi Rockefeller e che lascia entrare l’America in territorio italiano. Quadri, altorilievi, arredi e iconografie del Bel Paese raccontano origini profonde e sentite, narrando lo Stivale dal Piemonte fino alle saline siciliane.
La forte presenza della storia familiare completa l’habitat di Renato: il tavolo con le gambe che richiamano il chiodo di Cartier disegnato dal fratello Aldo, il lampadario recuperato in una notte da Renato stesso, i suoi primi bozzetti. Ogni oggetto racconta una storia, ha un suo valore, a prescindere dai carati.
L’artista mi accoglie insieme alla figlia Serena, giovane e delicata, una ragazza dai lineamenti puliti e fieri, che traspare grande carattere. È lei ad occuparsi della gestione del Marketing del marchio di famiglia, continuando la propria storia con idee fresche e di nuova generazione. Nell’aria si percepisce un forte legame che unisce passione, tradizione ed amore.
Così, davanti al mio primo vero cappuccino con la schiuma consumato nella Grande Mela, iniziamo la nostra intervista.
Si parte sempre dalla storia. Come sei arrivato fin qui, in questa città, ma soprattutto come sei arrivato ad essere Renato Cipullo?
È una lunga storia. La mia prima esperienza a New York è stata nel 1964, mio fratello era qui già dal ‘59 e io l’ho raggiunto per sei mesi ed ho lavorato per David Webb. Sono dovuto tornare in Italia perché volevano prendermi per il servizio militare in Vietnam.
In Italia avevo una boutique uomo-donna ad Ischia, con diverse celebrità come clienti: molti cantanti come Fred Bongusto, Bindi, Peppino Di Capri. Tutti passavano dalla mia boutique! L’inverno del 1971, a negozio chiuso per la stagione, mi trovavo a Parigi e faceva molto freddo, telefonai a mio fratello a New York dicendogli:
“Aldo qui fa un freddo tremendo!
Lui mi rispose: “Fa freddo anche qua, raggiungimi almeno passiamo un po’ di tempo insieme!”.
Quindi sono venuto a New York e, preso dal meccanismo di mio fratello e avendo conosciuto quella che sarebbe stata mia moglie, sono rimasto. Da lì sono arrivate molte esperienze interessanti e mi sono lasciato coinvolgere. Ho iniziato a lavorare con mio fratello e poi per conto mio: al tempo mi firmavo con il nome Renato C. perché non volevo usare il nome già famoso di mio fratello.
In seguito sono stato colto dalla passione per gli orologi e realizzai così una linea Western chiamata Bonanza.
Renato mi mostra i modelli realizzati e scopro con sorpresa che sono incredibilmente attuali, con cinturini decisamente di tendenza, precursori della recente moda per le cinture elaborate di chiara ispirazione Western.
Poi ho realizzato degli orologi divertenti, alla Bulgari se vogliamo, ma di fantasia: orologi colorati ispirati all’immaginario dei serpenti. In seguito esplose la mia passione per l’Hi-Tech. Sono stato il padre dell’Hi-Tech negli Stati Uniti già nel 1981, quando ho cominciato a creare i miei orologi Midnight. Il Midnight era un modello Hi-Tech, nero su nero, aveva anche le lancette nere.
Dall’orologio ho poi sperimentato gli accessori, come le penne della Parafernalia che ho fatto realizzare interamente in colore nero. Prima di allora, la Parafernalia realizzava solo modelli colorati ed era partita lavorando in un garage. Io ho stravolto la loro linea con la mia influenza sul nero e da quel momento la ditta ha iniziato a lavorare in una grande fabbrica. Dagli orologi, le penne, che sono la mia grande passione, poi mi sono espanso tra rasoi ed accessori da scrivania. Tutto in nero.
Perché questo orientamento total black?
Ci trovavamo in un periodo in cui l’oro era andato alle stelle, si stava vivendo all’epoca una vera e propria crisi del gioiello. Da 400 dollari l’oncia, l’oro era arrivato infatti a 980 dollari l’oncia. Il fatto era che io avevo troppa passione per il mondo del gioiello, e a me quando una cosa piace mi ci butto! Allora la mia testa ha incominciato a ragionare per reinventare l’offerta, ed è proprio da una crisi e da nuove domande che esce fuori la propria creatività, e gli italiani in questo hanno una genialità naturale.
Molti mi chiedono: ma cosa avete di speciale voi italiani per essere così creativi?
Abbiamo qualcosa di innato nelle nostre radici.
Ricordo un ragazzo che lavorava per una ditta di Napoli che realizzava accessori da bagno. Un giorno questo ragazzo prende in affitto un sottoscala umido, e si mette a fare modellini di aerei e navi in alluminio con una maestria sorprendente, dal nulla. Bravissimo, ha saputo dimostrare la sua creatività uscendo fuori da un percorso, creando il suo nuovo appassionato lavoro e dimostrando una genialità italiana, caratterizzata da quella forza d’animo che non ci permette di scoraggiarci ma che anzi ci fa sempre mettere in gioco, avere seconde occasioni.
Basta avere fantasia, a volte non è solo questione di preparazione e conoscenza ma è qualcosa che noi italiani, ad esempio, abbiamo dentro. Puoi studiare quanto vuoi ma se non hai la creatività non puoi esprimere le tue idee al meglio.
La creatività è qualcosa di innato ed è anche una cifra tipicamente italiana?
Sì. Io sono napoletano di nascita, cresciuto a Roma e trasferito a New York: un trittico creativo fenomenale! Tra l’altro sono nato in una piazzetta che affacciava su una strada soprannominata Via degli Orefici, perché originariamente era una via di gioiellieri. Un caso?
Qual è stato il tuo punto di partenza a New York?
Il mio punto di partenza qui è stato mio fratello, il motivo per cui mi sono trasferito. Un altro inizio è stato Webb: io lavoravo lì, mio fratello da Tiffany e ci salutavamo dalle finestre che si affacciavano sulla 55 St. Anche io sarei dovuto andare da Tiffany, ma tornai in Italia nel ‘64, poi, una volta tornato mi sono appoggiato da mio fratello.
Ricordo in particolare il primo mese in cui mi sono trasferito definitivamente, non avevo niente da fare e mi misi a creare dei biglietti di Natale bellissimi. Un amico di mio fratello quando li vide li portò da Bergdorf Goodman, dove nonostante fossero molto apprezzati gli dissero fosse troppo tardi per proporli, li avremmo dovuti presentare a luglio-agosto e ci dissero che se saremmo tornati l’anno successivo avrebbero fatto l’ordine, ma poi iniziai a lavorare con Aldo e la cosa cadde.
Per Aldo realizzavo i modelli, perché lui aveva questo problema: produceva i disegni ma mentre per me erano molto chiari e li capivo all’istante, non era lo stesso per i model maker. Così mio fratello disegnava gli sketch e io li coglievo subito, c’era una profonda connessione e sintonia tra noi: la definirei una connettività educativa perché rispecchia il nostro background, qualcosa di unico ed intimo che potevamo condividere.
Quanto il tuo background, la tua storia, hanno influenzato il tuo lavoro?
Storia e origini sono sempre state molto presenti nel mio lavoro. Dopo l’inizio con mio fratello ho infatti iniziato ad esprimere la mia personalità attraverso la collezione del mare. Sono nato al mare e la passione per la dimensione marina mi ha sempre accompagnato.
Ho realizzato quindi degli accessori con la lava di Stromboli o dei pezzi poveri trovati a Capri: ho iniziato a trasformare i materiali riscoprendo il loro valore, ho trasformato un elemento come la lava in gioiello, perché è bello anche il materiale nella sua essenza, prendere un materiale povero ed arricchirlo.
Nel frattempo, Renato mi mostra un anello realizzato con una affascinante pietra di sale grezza proveniente dalle saline siciliane:
“Questo è stato realizzato in occasione di una mostra in Via del Babuino a Roma in collaborazione con Bettina Werner, mia cara amica che realizza sculture e i quadri in sale. Io feci così questa collezione di orecchini, collane ed anelli con il sale”.
Il modo naturale in cui la pietra si fonde con la montatura venendo ancora esaltata è di grande forza poetica, un gioiello non solo di grande bellezza, ma con una sua storia e una sua cultura, valore aggiunto ineguagliabile.
Sei riuscito a fondere questa tua cultura originaria italiana così potente, e ad unirla con una dimensione dinamica e in continua evoluzione come quella americana, che in termini di storia non può competere ma che compensa con lo slancio creativo ed imprenditoriale.
Quando arrivai, Aldo mi disse: “Renato, ricorda di vestirti come sempre, come se fossi a casa, all’italiana”. E così facevamo, tanto che quando uscivamo sentivamo i commenti: “Loro sono italiani”. Perché allora gli americani portavano i pantaloni alla “zompa-fosso”, che magari oggi sono anche di moda, ma quel modo di vestire nostro era indicativo e unico come la moda italiana, ci distinguevamo dall’americano tipo, che apprezzava questa nostra attitudine. L’Italia ci ha distinti nella moda, nel cibo, nei gioielli.
E a livello tecnico, qualcosa è cambiato da una cultura all’altra?
Non ho cambiato nulla né mi sono adeguato, anzi. Qui agli inizi andava il 14 carati, e a me non andava giù questa cosa, così come non andava giù a mio fratello. Di fatti, ho sempre imposto il 18 carati, e qui a quei tempi così fino a poco fa solo l’idea che un gioiello fosse di 18 carati e per di più Made in Italy lo rendeva ancor più prezioso. Molti lavori li ho fatti realizzare in Italia, soprattutto alcune lavorazioni specifiche, ma la maggior parte della produzione avviene qui. Sono arrivato al punto in cui conta più il nome che il luogo di realizzazione del gioiello ed è bello sapere che il mio nome sia garanzia di qualità.
Come viene percepito il Made in Italy negli USA?
Alla grande. Anche perché quando importiamo importiamo sempre qualità, non credo esistano prodotti scadenti italiani importati qui. Tutti ammirano il disegno italiano, prendi anche le mostre del gioiello, sono state valorizzate ultimamente negli USA, ma non hanno ancora nulla a che vedere con le fiere italiane come quella di Vicenza e di Arezzo.
L’italianità è molto forte nel mio percorso, entrare nel mio studio è come entrare al consolato italiano!
Mi indica alcune immagini che caratterizzano la sua suite: “Abbiamo la stampa di San Pietro, il leone di Venezia, la rappresentazione di una delle ville del Palladio…”
Poi mi mostra alcuni lavori, disegni di premi da lui realizzati, come il premio conferito al fotografo e pittore statunitense Robert Rauschenberg, come il più importante artista americano vivente. Un onore per lo stesso Renato poter realizzare il premio.
Anche il premio vinto da Benigni per “La vita è bella” ha la firma di Cipullo, mi viene poi indicato il Monviso d’Oro, e il geniale globo del Gruppo Esponenti Italiani, che contiene l’America e l’Italia: tre immagini indissolubilmente ed elegantemente contenute tra loro, a simboleggiare la fusione delle culture e il pulsante nucleo italiano con la sua influenza negli USA, come un cuore vivo. Un premio rivolto ad Ambasciatori, personalità politiche o dell’arte. Per questo premio Renato realizzò una sola proposta, un unico disegno vincente ed efficace che venne subito apprezzato dal committente.
Mentre parliamo, Renato mi indica dei disegni realizzati negli anni ‘70 in stile Art Deco: due anelli attualissimi, che ora sono stati ripresi grazie al prezioso aiuto di Serena, il cui recente ingresso nello studio ha permesso al papà di dedicarsi maggiormente all’amata pratica del disegno. Renato è stato un vero precursore e queste immagini parlano chiaro e sono ineguagliabili, come il suo stile, e la sua eclettica produzione. Continua infatti a mostrarmi oggetti affascinanti, come le sue penne-scultura realizzate in 24 varianti differenti.
Com’è lavorare con tua figlia?
È molto bello, molto molto bello. Serena prima viveva a Saint Thomas con la mamma, ha fatto la bella vita di mare, in un certo senso come me ad Ischia ed è per questo che abbiamo un legame con il mare e che la capisco. In seguito, ha frequentato il Conn College in Connecticut, dove ha vissuto il suo periodo artistico, per poi venire a New York. Qui, ha lavorato per un’azienda alcuni mesi e, finalmente, è tornata da me.
Serena deve continuare la nostra dinastia, una storia che mio padre ha iniziato in Italia quando aveva l’esclusiva delle perle Maiorca ed aveva sette laboratori a Firenze che lavorano per lui producendo i compact per la cipria, i porta trucchi, rossetti, pettinini e specchietti incisi a mano. Da lì, dall’argento si passò all’oro per le miniature disegnate sopra questi oggetti. Seguirono i bracciali con i charms di grandi dimensioni, pesanti e con le pietre.
Io e i miei fratelli siamo cresciuti in questo ambiente: Aldo andava in giro a vendere, così come mio padre. Mio fratello Edoardo inizialmente lavorava in laboratorio e poi ha iniziato a vendere anche lui. Andavamo a scuola e lavoravamo, il nostro era un padre padrone, un napoletano vecchia maniera, un tipo tosto e il primo di undici figli. Essere figlio maggiore lo ha indurito.
E tu, che padre sei?
Serena interviene: “Un padre dolce”.
Non a caso Serena ha ideato la campagna della nuova collezione del papà, fresca e divertente, con una canzone leggera che entra in testa e che dice molto sullo spirito di Renato, Renato, Renato…
Renato riprende il racconto della famiglia raccontando del fratello Aldo, famoso per il design dei gioielli Tiffany e Cartier, per cui disegnò l’iconico Love Bracelet, ormai in auge da cinquant’anni. È ad Aldo che Renato ora sta dedicando un libro su cui lavora da tempo, un racconto sulla vita e il lavoro del fratello, una collezione di memorie, foto e disegni.
Il fratello Edoardo si è distinto invece per la bigiotteria fantasia, un disegno molto forte che ha avuto fortuna in tutta Italia. Edoardo utilizzava Swarovski sulla bigiotteria, cosa ora meno concepibile perché viene montato sull’oro, si trattava di un design di qualità inedito. Edoardo comprava Swarovski ed aveva un paio di fabbriche cui dava il materiale e faceva fabbricare su sua richiesta.
Renato ricorda che quando tornava in Italia, Edoardo combinava sempre degli incontri, come ad esempio nella fabbrica di San Daniele del Friuli, dove il fratello gli chiedeva di disegnare qualche modello per i model maker, così quando i due si recavano a Venezia dove fornivano loro le perle fantasia per Edoardo, Renato veniva coinvolto nel design. Edoardo era infatti molto famoso per la sua bigiotteria ed aveva sempre bisogno di nuova e continua produzione.
Renato racconta della sorella Maria Rosaria che lavorava alta bigiotteria e del fratello Enrico, che ha tuttora un negozio a Palma di Maiorca, dove vende gioielli in argento. Una passione che unisce un’intera famiglia.
Il tuo lavoro ti porta ad instaurare una relazione con i desideri del committente. Quanto la richiesta del cliente ti influenza? Ti adegui, realizzi esattamente ciò che desiderano?
Una volta affermato avevo una numerosa clientela privata, i clienti venivano da me e io fornivo sempre il mio suggerimento, accompagnato dal disegno. Ricordo una volta in cui si presentò la mia migliore cliente, un’iraniana che, dopo essere sparita per otto anni, mi chiamò per realizzare un anello importante, dicendomi:
“I più bei gioielli che ho, li hai disegnati tu”.
Così esordendo, la cliente gli mostra una gemma di 21 carati, mostrandogli un ritaglio di giornale dove gli indica come avrebbe voluto la montatura dell’anello. Renato risponde dicendo che lui non copia, men che meno per lavorare una pietra da un milione e centomila dollari.
“Io non copio”.
La cliente allora gli da carta bianca ed indossa il suo anello in occasione di un matrimonio, dove riscuote grande successo. Renato ricorda che in seguito si presentarono poi al suo studio altre iraniane che erano state ospiti dello stesso matrimonio.
Com’è cambiato il tuo lavoro nel tempo, oggi è diverso con le nuove tecnologie e con le modalità di comunicazione? Avviene ancora questo passa-parola?
Il business del gioiello è cambiato, le generazioni sono cambiate e ora ci sono nuovi giovani che acquistano il gioiello, con nuovi gusti. In quest’ottica la presenza di Serena è fondamentale. Soprattutto perché i giovani vanno sempre meno fisicamente a fare shopping, preferendo la modalità online e i canali di comunicazione veloce.
Aggiornarsi diventa vitale per questo lavoro, mi sono reso conto che per esprimere alcune idee che avevo in testa non avevo la giusta “educazione” tecnologica. Posso essere creativo ma nel mio campo, anche nel marketing e nella comunicazione bisogna essere creativi ma una seconda figura che sappia sviluppare le idee in questo settore diventa necessaria.
Hai un lavoro di cui sei più orgoglioso?
Tutto. Metto passione in tutto quel che faccio, è questo l’aspetto più importante per me. Gli americani mi criticano il fatto che non ho un unico stile, che non vado agli show. Il punto è che inquadrarmi con uno stile o andare a vedere quel che fanno gli altri non mi interessa. Io sono fatto così: mi viene in mente un’idea, mi ci metto e la realizzo e nel frattempo arrivano a cascata altre idee, come una piccola pianta che cresce fogliolina per fogliolina, mi immagino così lo sviluppo delle mie collezioni.
Ogni lavoro germoglia, si dirama, a un certo punto riesco a volare con la testa. Ma poi bisogna rimanere concentrati, e Serena riesce a organizzare molto bene questo aspetto di coerenza.
È davvero molto potente percepire la tua inesauribile passione da queste parole.
La passione mi caratterizza, è innata. Sento in me un mix di culture e di input che riesco a sentire ad esempio nei momenti in cui torno in Italia e passeggio in quei paesini medioevali stratificati, dove si percepiscono le culture attraverso i secoli. Penso che noi italiani siamo stati educati a crescere nella storia, in un ambiente di cultura immensa da cui non possiamo prescindere e da cui il nostro immaginario è influenzato. Una risorsa inesauribile per chi lavora con la creatività.
Come orienterai la tua creatività per i progetti futuri?
Con l’aiuto di Serena mi concentrerò anche su proposte nuove. Anche se a pensarci, ci sono molti gioielli classici estremamente moderni ed adatti alle nuove generazioni, immagini che non passano di moda. Un elegante-classico come quello ora in voga ad esempio, un post moderno Deco, di cui sono tra l’altro appassionato.
Sul Deco ho un aneddoto: il mio viaggio da diciannovenne a Parigi, il secondo viaggio da solo dopo Londra. A Londra acquistai degli orologi da polso a Portobello Road che riuscii subito a rivendere, a Parigi invece vissi un’esperienza differente al mercato delle pulci.
C’era questa vecchietta con una scatola colma di quadratini in pasta di vetro Art Deco. Le chiedo il prezzo e me li guardo affascinato, erano davvero tanti, qualcuno era in perfette condizioni qualcuno danneggiato, tutti di questi colori bellissimi. Costavano molto, feci per andarmene ma poi tornai indietro ed acquistai tutta la scatola, che portai in Italia.
Questa scatola è rimasta poi a casa di mio padre in un armadio a muro per anni, finché un giorno me ne ricordai e la portai a New York, iniziando a montare queste tesserine: alcuni di questi pezzi li vendetti anni fa al Cooper Hewitt Museum sulla fifth per una mostra Deco. Realizzai orecchini, collane e addirittura dei gemelli.
Come per il sale e la lava, con il vetro. Se hai le idee puoi prendere un sasso da terra e farlo diventare un gioiello.
Così, Renato mi congeda, regalandomi un nuovo, orgoglioso entusiasmo.