Alle spalle un passato importante, davanti una strada molto lunga che, però, non ha paura di percorrere. Sergio Daricello, classe 1976, nasce a Milano e quasi subito si trasferisce a Palermo, terra natia dei suoi genitori. La stessa Palermo e la Sicilia in generale, saranno le sue fonti di ispirazione e fil rouge di tutte le forme, le stampe e le costruzioni delle sue creazioni.
Dopo gli studi scientifici, e dopo un arco breve di studi giuridici e artistici, si trasferisce a Milano, dove studia ed intraprende la sua florida carriera, segnata da nomi come Dolce & Gabbana, Versace e Giuliano Fujiwara. Una persona piacevole, aperta e culturalmente florida, nonché creativamente ed intellettualmente elevata, Sergio Daricello ci ha permesso, con le sue stesse parole, di poterlo conoscere meglio. Lo abbiamo incontrato per voi, per condividere una delle eccellenze italiane.
Prima di cominciare, parlaci della tua nuova collezione. Da cosa prendi ispirazione?
La collezione invernale nasce prima di tutto da un’approfondita ricerca nella Couture francese ed italiana degli anni ’50 e ’60. Le stampe, poi, traggono ispirazione dalla visita fatta a Palermo, nella Palazzina Cinese, realizzata da Giuseppe Venanzio Marvuglia nel 1799, per la famiglia dei Borbone di Napoli. Ho fatto miei, dunque, degli elementi neoclassici presenti nell’anticamera da letto della regina Maria Carolina d’Asburgo che è ricca di quadri raffiguranti figure femminili, che ho estrapolato dal loro contesto e messe insieme realizzando una stampa in stile “decoupage”. Ho voluto impreziosire la donna con elementi classici che accompagnassero quelli dell’alta moda, perché la bellezza e la femminilità devono essere rivolte a tutte.
Come nasce la tua passione per la Moda? Quali sono stati i passaggi più importanti della tua carriera?
Il mio interesse nasce .. A dire il vero, a me è sempre piaciuta la moda, anche se in partenza non era la mia unica passione principale. L’ho sempre trovata un’espressione artistica, anche se, per me, non si deve confondere la moda con l’arte. Quando disegnavo i miei ritratti, i miei fumetti , Mi è capitato spesso di cambiare i vestiti ai personaggi creati , quindi credo sia sempre stata una mia passione “nascosta”. Dopo, intorno ai 14 anni, giusto per divertimento con una mia amica carissima, ho cominciato a fare figurini esplorando un po’ di più quel versante creativo, ma visti gli impegni scolastici la cosa morì li. Proseguii i miei studi con il liceo scientifico.
La mia famiglia non mi permise di studiare altro, e, con il senno di poi, per questa “scelta obbligata”, sono grato ai miei genitori: gli studi scientifici mi hanno permesso di avere un’apertura mentale diversa e non settorializzata solo sulla moda e sull’arte in generale, ma mi ha preparato culturalmente , dandomi la possibilità di spaziare in più versanti. Dopo due anni di Giurisprudenza, finalmente ho cominciato l’Accademia di Belle Arti a Palermo – pittura e restauro.
Ma Milano mi stava aspettando, e facendo visita alla mia madrina che viveva in quella città ricevetti il suggerimento di fare dei giri per conoscere le scuole che si occupavano di arti applicate presenti in città, scuole che mi avrebbero preparato in modo più specifico alla professione di stilista .. Mi sono piaciute da subito, e dopo aver valutato, decisi di iscrivermi all’Istituto Marangoni dove dopo quattro anni, mi diplomai e cominciò la mia avventura.
Una delle prime esperienze fu all’interno dell’atelier di abiti da sposa di Annagemma Lascari, ex assistente di Gianfranco Ferré e siciliana anch’essa. In quel atelier ebbi l’opportunità di approfondire ciò che avevo studiato, anche attraverso il rapporto diretto con le sarte e con l’ufficio stile. Tale esperienza mi diede la possibilità di andare oltre al classico abito da sposa, portandomi a conoscenza di architetture, di forme e di tagli diversi. E’ stata una bella introduzione a quel mondo.
Seguì poi un’esperienza di qualche mese alla Etro. Dopo qualche tempo, Dolce & Gabbana fece ricerca di personale e fui preso: cominciai la mia esperienza di due anni all’interno della loro Maison e, collaborando direttamente con Stefano e Domenico, mi ritrovai a capire punti di vista nuovi, un nuovo gusto, dei nuovi modi di pensare. Quando mi chiamarono da Versace, fui assistente designer in prima linea; ma quasi immediatamente la direzione artistica mi mise al lavoro sulla linea jeans uomo. Li sono cresciuto: ho veramente imparato a fare tutto, aiutato da un ufficio prodotto super efficiente, disegnando, creando. Sono restato li per sette anni e mezzo e, non appena hanno riaperto la linea Versus, Donatella mi ha messo a disegnare la linea uomo. E’ stata un’esperienza altamente formativa: era una ricerca non solo nel brand, ma anche in me stesso, nel mio modo di essere. Dopo sette anni e mezzo l’esperienza creativa è giunta al termine, forse sentivo la necessità di esplorare nuove realtà.
Fui chiamato, nello stesso momento, da Giuliano Fujiwara, in qualità di direttore creativo. Entrare in Fujiwara fu una sfida enorme: venivo da due marchi massimalisti e mi catapultai in una realtà super minimalista. Mi ritrovai, dopo un po’ di difficoltà iniziali legate alla ricerca stilistica, a essere in grado di conciliare i ritmi e gusti nuovi. Questa esperienza è stata quella che che ha preceduto l’idea di voler cominciare a camminare con le mie gambe. La fine del rapporto professionale con Fujiwara mi ha permesso di creare la mia linea, di materializzare i miei gusti, non senza difficoltà e non senza sacrifici.
Come descrivi lo stile della tua donna? E da cosa prendi ispirazione per creare?
Sicuramente uno stile raffinato e femminile. Non potrei dire minimal né maximal: è la risultante di tutte le mie esperienze fatte, come si può notare dalle linee e dalle stampe. Il centro nevralgico delle mie creazioni è volto alla storia dell’arte della Sicilia, alla mia terra. Sicuramente, per quanto riguarda le forme e le strutture, prendo ispirazione dando uno sguardo al passato della Couture, da Dior a Balenciaga, fino ad arrivare a Valentino. Mi lascio incantare da loro perché hanno saputo rendere bella l’immagine della donna, una bellezza che adesso si è andata perdendo. Mi piace guardare indietro perché nel passato c’era più attenzione al bello: oggi c’è la tendenza a considerare lo strano ed il brutto di tendenza, ed io non mi trovo in accordo con questa tendenza. Reputo importantissimi alcuni dettagli dell’alta moda che, però, debitamente reinterpretati potrebbero essere invece indossati quotidianamente.
Secondo te, esiste il Made in Italy? Quali sono le grandi difficoltà che incontra un piccola realtà come la tua?
Si, certo che esiste. Se faccio riferimento alla mia esperienza assolutamente si: la mia linea è al 100% italiana, con manifattura a Milano.Conosco i modellisti, i sarti che realizzano le mie collezioni. E’ un prodotto interamente italiano, totally Made in Italy – e ne vado orgoglioso. Gli incubi della produzione nazionale sono le imposte: non c’è nessuno aiuto nei confronti del PMI, ci sono tantissime questioni annose e noiose legate alla burocrazia ed alle tasse. Diciamo che il problema più grande del Made in Italy sia la poca attenzione del Governo nei confronti delle piccole realtà e dell’innovazione.
Chi è Sergio Daricello adesso, dopo le esperienze che ha fatto nel corso della sua vita?
Sono sempre lo stesso credo ma sono anche cambiato tanto: ero un ragazzo con determinati sogni. Poi, col tempo, i sogni sono rimasti gli stessi, ma ho imparato a guardarli da altri punti di vista. Ci sono elementi diventati imprescindibili che, all’inizio del mio percorso, non credevo neanche potessero esistere. Il sogno continua comunque e nonostante tutto ad avere sempre una sua forza; quando si comincia a vivere una passione, bisogna avere coraggio. Io, adesso, non potrei fare altro lavoro.
Cosa e come ti immagini nel tuo futuro?
Mi auguro di essere circondato da uno staff di persone di cui mi fido; spero che la mia linea possa essere accettata anche a lungo campo, universalmente. Mi piacerebbe che il mio concetto di bellezza, di eleganza, possa essere abbracciato da più persone. Mi vedo contento, felice. E, sinceramente, nel mio piccolo, adesso, ci sto riuscendo: oggi, tutte le persone con cui collaboro sono persone che stimo, con cui mi trovo perfettamente lavorativamente ed umanamente.
“The WalkMan” si pone come obiettivo quello di lasciare spazio e visibilità ai giovani talenti. Cosa ti senti di suggerire a chi ha deciso o sta decidendo di investire la propria vita nella creatività?
Ogni sacrificio è stato frutto di uno sforzo: naturale, ma pur sempre uno sforzo. Non mi è stato regalato niente. Durante i miei anni a Palermo, ho avuto la fortuna di incontrare un’artista tedesca che vive in provincia di Roma. Parlando con me, che stavo dipingendo in Accademia, mi disse “Che ci stai facendo qua? Io lo sento dal tuo cuore che vuoi andare via. Ricordati che i sogni o si realizzano o si distruggono: distruggi quelli che non servono e raggiungi quelli che ritieni importanti”. Consiglio di avere coscienza, sapere quanto si può dare per essere pronti ad accettare quello che si può avere. Bisogna conoscere i propri limiti e lavorarci su, perché man mano, passo dopo passo, diventano sempre più piccoli.
[divider]ENGLISH VERSION[/divider]
He has got an important past behind him, while forward a very long road, which, however, he is not afraid to walk trough. Sergio Daricello, was born in 1976 in Milan, and almost immediately he moved to Palermo, the native land of his parents. The same Palermo and Sicily in general, are his sources of inspiration and the fil rouge of all the shapes, prints and constructions of his creations.
After scientific studies, and after a short span of legal and artistic studies, he moved to Milan, where he studied and began his thriving career, marked by names such as Dolce & Gabbana, Versace and Giuliano Fujiwara. He is a nice person, sociable and culturally thriving. Sergio Daricello allowed us, with his own words, to know him better. We met him for you, to share with you an Italian excellence.
Before we start, tell us about your new collection. Where do you get your inspiration?
The winter collection arises, first and foremost, from an in-depth research in French and Italian Couture of the ’50s and ’60s. The prints, then, are inspired by a visit I made in Palermo, to the Palazzina Cinese, built by Giuseppe Venanzio Marvuglia in 1799 for the Bourbons of Naples. Therefore, I took on the neo-classical elements present in the hall bedroom of Queen Maria Carolina of Habsburg, which is full of paintings of female figures that I have extrapolated from their context and put together, to create a “decoupage” print style. I wanted to beautify woman with classic elements that could go with those of high fashion, because beauty and femininity should be addressed to every woman.
How did your passion for fashion grown? What have the most important steps in your career been?
My interest arose…Well, to tell the truth, I have always liked fashion, although at the beginning it was not the only principal passion I had. I have always thought it was just an artistic expression, even if, I think you should never mix up art with fashion. When I drew my pictures, my comics, it often happened to me to change the clothes to the characters I created. So, I think it always has been a “hidden” passion of mine. After, I was about14, just for fun with a great friend of mine, I started making sketches, exploring a little bit more that creative side. However, having scholastic tasks, it stopped there. I continued my studies at the high school.
My family did not allow me to study different subjects, and hindsight I am grateful to my parents for this “forced choice”, because my scientific studies let me to have an open mind, not sectional only about fashion and art in general. It culturally prepared me, giving me the opportunity to range in several fronts. After two years of Law, I finally started the Accademia di Belle Arti in Palermo – in painting and restoration.
But Milan was waiting for me, and visiting my godmother who lived there, I was suggested to roll, just to get to know the schools dealing with applied arts in the city: schools that would have prepared me in a more specific way to the profession of stylist…I liked them immediately, and after evaluating, I decided to enroll at the Istituto Marangoni, where, four years later, I graduated and my adventure began.
One of my first experiences was in the Annagemma Lascari wedding dresses atelier. She was a former assistant to Gianfranco Ferré and she was Sicilian too. At that workshop, I had the opportunity to enhance what I had studied, even through a direct relationship with the seamstresses and the style department. That experience gave me the opportunity to go beyond the classic wedding dress, learning about architectures, different shapes and cuts. It was a great introduction to that world.
Then, it followed an experience of a few months at Etro. After some time, Dolce & Gabbana searched for staff and I was hired. I began my two years experience within their Maison and, collaborating directly with Stefano and Domenico, I found myself understanding new points of view, a new taste, new ways of thinking. When I was called by Versace, I was assistant designer at the forefront, but almost immediately, the artistic direction wanted me to work on men’s jeans line. I grew up there. I really learned how to do everything, and I was helped by a super-efficient office products, drawing an creating. I stayed there for seven and a half years and, as soon as they reopened the Versus line, Donatella put me to draw the man line. It was a highly formative experience, because it was a research not only in the brand, but also within myself, in my way of being. After seven and a half years, that creative experience come to an end, perhaps I felt the need to explore new realities.
At the same time, I was called by Giuliano Fujiwara working as creative director. Getting into Fujiwara was a huge challenge. I came from the two maximalist brands and I was catapulted in a super minimalist reality. After some little starting problems, I found myself related to design research; I was able to reconcile new rhythms and tastes. This experience has been the one preceding the idea of wanting to start walking with my own legs. The end of the professional relationship with Fujiwara, allowed me to create my own line, to materialize my tastes, even if with hurdles and sacrifices.
How would you describe the style of your woman? And what inspires you to create it?
Definitely, a refined and feminine style. I could not say minimal nor maximal. It is the result of all my experiences, as you can see from the lines and prints. The nerve center of my creations is in the Sicilian history of art, in my land. Certainly, regarding shapes and structures, I take inspiration by taking a look at the past of the Couture, from Dior to Balenciaga, until Valentino. I let myself be enchanted by them, because they have been able to make beautiful the image of the woman, a beauty that has been lost now. I like looking back, because in the past there was more attention to the beautiful. Today there is a tendency to consider trendy what is strange and ugly, and I do agree with this trend. I consider really important some details of haute couture which, duly reinterpreted, could instead be worn daily.
Do you think Made in Italy exist? What are the major difficulties that a small company like yours has to deal with?
Yes, of course it exists. Referring to my experience, absolutely yes. My line is 100% Italian, with manufacturing in Milan. I personally know the modelers, the tailors who make my collections. It is a completely Italian product, totally Made in Italy – and I am proud of it. The nightmares of national production are taxes. There is no help towards PMI, and there are many longstanding and tedious issues related to the bureaucracy and taxes. Let’s say that the biggest problem of Made in Italy is the lack of attention of the Government towards small businesses and innovation.
Who is Sergio Daricello now, after the experiences he has done during his life?
I am always the same, I believe, but I have also changed a lot. I was a boy with specific dreams. Then, over time, the dreams are still the same, but I have learned to look at them from other points of view. There are elements become unavoidable that, at the beginning of my career, I did not think they could even exist. The dream keeps, no matter how and despite all, having his strength. When you start living your passion, you need courage. I, now, I could not do other work but this.
What and how do you imagine yourself in the future?
I hope I will be surrounded by a team of people I trust in, and I hope my line would be accepted in a long trade, worldwide. I would like my concept of beauty and elegance, could be embraced by more people. I see myself happy and satisfied. And, frankly, now in my small way, I am succeeding. Today, all the people I work with, are people that I respect, with which I perfectly get together humanely and work-wise.
“The WalkMan” aims to give space and visibility to young talents. What do you feel to suggest to those who have decided or are deciding to invest their lives in creativity?
Every sacrifice was the result of an effort: a natural one, but still an effort. Nobody never gave me anything. During my years in Palermo, I had the chance to meet a German artist who lives next to Rome. Talking to me, that I was painting at the Academy, she said: “What are you doing here? I feel it from your heart that you want to go away. Remember that you can achieve or destroy your dreams. Destroy those you don’t need, and achieve those you think are important”. I suggest to be aware, to know how much you can give to be ready to accept what you can have. You should know your limits and work on it, because little by little, step by step, they get smaller and smaller .
Traduzione a cura di Daniela De Angelis