South Working® – Lavorare dal Sud è un’associazione di promozione sociale che crede nel lavoro agile dal sud e dalle aree interne italiane.

Mario Mirabile, Vicepresidente di South Working®- Lavorare dal Sud, ci racconta la storia e gli obiettivi di questo significativo progetto.

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L’ideazione del progetto: quando, come e perché.

Il progetto nasce il 26 marzo 2020. Noi soci fondatori eravamo sparsi per il l’Italia e l’Europa. Elena Militello, la presidente di South Working® – Lavorare dal Sud, ritornando a Palermo a causa della pandemia, ha iniziato a parlarci dell’idea di voler migliorare l’ecosistema lavorativo al sud. Sfruttare l’idea del lavoro agile nel momento in cui molti di noi stavano ritornando verso le regioni del sud. Molti a Palermo. Il gruppo iniziale nasce infatti da una parte dell’associazione Global Shapers – Palermo Hub, di cui ancora facciamo parte.

Con il tempo abbiamo modellato i tre assi di azione. Il movimento di opinione e l’advocacy, l’Osservatorio del South Working e la creazione di reti.  La scelta del doppio nome South Working® – Lavorare Dal Sud è molto significativa da un punto di vista di accessibilità. Ragioniamo e lavoriamo in ambito europeo, ma anche per il sud e per l’Italia. Il logo è registrato perché non vogliamo essere accostati a modelli non sostenibili.

Spiegaci questi tre assi di azione di South Working®.

Con il primo asse miriamo a portare cambiamento nelle istituzioni politiche, economiche, sociali, culturali attraverso il nostro movimento di opinione dal basso. Oltre alla nostra community su Facebook, scambiamo centinaia di chiamate, e-mail con lavoratori e lavoratrici per discutere vari temi.


Con l’Osservatorio del South Working facciamo ricerca e avviamo collaborazioni con enti accademici. Vogliamo far comprendere i vantaggi del lavoro agile, in particolare del lavoro agile dal sud. L’ipotesi di partenza del progetto è stata e continua a essere la stessa.

Chi sarebbe disposto a trasferirsi al sud e nelle aree interne italiane anche in mancanza di tutta una serie di infrastrutture, tranne quelle essenziali per lavorare?”. Costruiamo le infrastrutture ‘per vivere’ (scuola, sanità, cultura, commerci…) insieme agli attori territoriali.


Con l’asse della creazione di reti siamo riusciti a intervenire sull’ipotesi di partenza. Costruiamo reti tra i vari stakeholders che abbiamo identificato. Lavoratori, imprese, amministrazioni comunali e associazioni no profit o imprese sociali. Attraverso tre prerequisiti che poniamo all’amministrazione locale, permettiamo la creazione di un ecosistema. Le dinamiche territoriali a livello sociale e di impresa sono molto complesse e conflittuali. Pensare in un’ottica di condivisione e di solidarietà, invece che di competizione, ha giovato molto.

Quali sono i prerequisiti per fare South Working?

I prerequisiti fondamentali sono tre. Il primo è una connessione minima di circa 20-30 megabit per secondo per singolo utente. Durante l’iniziativa “SUD – Progetti per ripartire” abbiamo proposto alla Ministra Carfagna un minimo di 50 megabit per secondo.

Il secondo prerequisito include soluzioni di mobilità per tutti. Alle amministrazioni comunali chiediamo di trovare – insieme a tutti gli attori che vogliano partecipare – soluzioni di mobilità per raggiungere poli strategici (aeroporti internazionali, TAV ecc.) entro due ore dalla località di partenza. È quello che vogliono i lavoratori da remoto. South Working® vuole rendere questa possibilità accessibile a tutti. Anche a chi vive da sempre in un determinato territorio. I comuni si possono adoperare in vari modi. Mettendo a disposizione il proprio parco auto. Stabilendo convenzioni con privati o partnership pubblico-private. Noi di South Working® facilitiamo il rapporto tra enti privati e pubblici.

L’ultimo prerequisito è la creazione di presidi di comunità.

Cosa sono i presidi di comunità?

Coworking, rural hub, impact hub, spazi privati e pubblici, scuole, biblioteche. I “presidi di comunità”, come li ho chiamati, sono luoghi di aggregazione sociale e partecipazione dal basso, per il lavoro collaborativo e il dialogo intergenerazionale. Vogliamo superare la retorica degli spazi di coworking tradizionali.

Una retorica basata su un’idea di diseguaglianza e segregazione socioeconomica molto marcata. In questi luoghi vanno solitamente le persone con buon reddito. Persone con posizioni lavorative che consentono di combinare la vita in sede con la vita da remoto. In Italia lo spazio di coworking era una tendenza poco sviluppata. Ci siamo messi in contatto sia con vari spazi di coworking italiani sia con biblioteche e luoghi di aggregazione sociale generici. Alcune amministrazioni stanno provando a rendere fruibili questi luoghi anche per il lavoro da remoto. Sul nostro sito web abbiamo ideato una mappa partecipata, dove è possibile segnalare “presidi di comunità”.

Il concetto di “south working” secondo il team di South Working®.

Per noi south working significa lavoro agile da dove si desidera, soprattutto dal sud e dalle aree interne. Ci sono dei leghami con il movimento del work from anywhere e con i nomadi digitali. Ma ce ne discostiamo radicalmente perchè sosteniamo la centralità del give back. Restituire alle comunità e ai territori dove si sceglie di andare a vivere. Siamo lontani dal nomadismo digitale. Ci inseriamo in un’ottica di sostenibilità, crescita, impatto positivo sul territorio. Rientra in questa logica il prototipo di app di mobilità, l’apertura di imprese e coworking, la creazione di associazioni.

Lavoriamo su tutto il sud e su tutte le aree interne italiane. La direzionalità, come si nota dalla nostra carta, non è essenziale. L’obiettivo è essere capaci di attirare e mantenere ecosistemi equilibrati e sostenibili in maniera indistinta tra nord e sud, anche rispetto al resto d’Europa e del mondo.

Cosa avete raggiunto in questo primo anno?


In un anno abbiamo raggiunto risultati molto importanti. Convenzioni con Svimez, La Sapienza, Bocconi e altri centri di ricerca accademica. Collaborazioni più brevi che hanno permesso di diffondere la tematica del south working. Abbiamo partecipato a oltre 50 eventi tecnici e accademici. Stiamo organizzando workshop a livello europeo. Crediamo nel nostro progetto editoriale, che spero possa vedere la luce entro la fine di quest’anno.

Stiamo sperimentando collaborazioni interessanti tra territorio e amministrazione.  Ad esempio, alcuni south worker hanno ideato un prototipo di app di mobilità. Inoltre, abbiamo realizzato diverse pubblicazioni e stiamo continuando a lavorare a vari paper, libri. A breve lanceremo la versione 2.0 della mappa dei presidi di comunità. Da 7 persone del team iniziale siamo passati a 60 volontari attivi, con una copertura su tutta Italia. Migliaia di persone interagiscono sulla nostra community Facebook e la nostra pagina Facebook sta per raggiungere 10K like.

La pandemia ha accelerato il processo latente di digitalizzazione in Italia?

Sì, ha accelerato un processo che era già in corso. Questo è un fenomeno che va governato.  La digitalizzazione ha un ruolo chiave nello sviluppo del fenomeno del south working. Non può esistere senza digitalizzazione. È necessario intervenire con formazione, educazione al digitale, avvicinamento delle fasce più fragili e in età avanzata.

Di cosa ha davvero bisogno il sud e il suo valore aggiunto.

Il sud ha bisogno di servizi di base: infrastrutture sociali, digitali e di mobilità. Nell’ottica south working tutti questi elementi sono strettamente collegati. La cosa fondamentale per vivere bene in un posto è l’infrastrutturazione sociale. Presidi di comunità, scuole, presidi sanitari e culturali. Sono aspetti che fanno la differenza quando si decide di andare a vivere in un posto. C’è una grande differenza tra queste due scelte. Chi sceglie un territorio perché si spende meno e chi resta per due settimane. Chi lo sceglie perché quel territorio è una prospettiva di vita, non solo una vacanza. La nostra idea vuole un capitale umano che si impegna per il territorio in maniera propositiva e apporta cambiamento in maniera sostenibile. La semplice iniezione di denaro nelle economie locali non sarà sufficiente nel medio-lungo periodo.

Cosa consiglieresti alle istituzioni?

Alle amministrazioni locali, e a chi vive sui territori, suggerisco di investire tanto nell’infrastrutturazione locale e nei servizi di base. Questo permetterà alle persone di vivere un territorio nel lungo periodo e di portare economia buona, civile, innovativa. Nel frattempo, noi vi aiuteremo a ricevere adeguatamente queste persone sui territori.

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