Intervista ad Andrea Frosolini, Federica Di Pietrantonio ( AFFDP ), con il contributo di Alessandra Cecchini.
L’avanzamento degli Artist Run Space indipendenti a Roma è ormai in fase di consolidamento, abbiamo intervistato parte del team di Spazio In Situ per approfondire il fenomeno ed il progetto. Spazio In Situ infatti nasce nel 2016, attualmente è composto da Sveva Angeletti, Alessandra Cecchini, Christophe Constantin, Francesca Cornacchini, Marco De Rosa, Federica Di Pietrantonio, Chiara Fantaccione, Roberta Folliero, Andrea Frosolini, Daniele Sciacca e Guendalina Urbani. Fin dalla sua nascita la mission di Spazio In Situ è quella di proporre e valorizzare il lavoro di artisti emergenti. Federica Di Pietrantonio e Andrea Frosolini sono anche i fondatori di ISIT.magazine, attualmente lo staff editoriale include anche Alessandra Cecchini. ISIT nasce nel 2018 dal desiderio di creare una piattaforma che connetta diverse realtà del mondo dell’arte.
Un recente articolo di RIVISTA STUDIO si domanda: “Roma può tornare a essere una città appetibile e stimolante per un artista emergente?” – e ancora afferma – “Sembra insomma che la scena artistica di Roma, a tutti i livelli, sia in una fase di evoluzione.” Fra gli Spazi Innovativi cita anche In Situ, chi meglio di voi allora per dirci quali sono i fenomeni che stanno rianimando l’arte contemporanea a Roma?
Roma sta vivendo un periodo di transizione. La nascita di realtà indipendenti, lontane dalle già affermate istituzioni/gallerie sicuramente gioca a vantaggio della scena emergente, sempre più attiva. Nonostante questo, pensiamo che Roma abbia una natura legata fortemente a mode temporanee ed alla necessità di storicizzare anche il contemporaneo.
Questo è un aspetto che può considerarsi negativo come positivo. La necessità della nostra generazione di affermarsi sul passato è oggi presente e si manifesta concretamente con la nascita delle varie realtà indipendenti, fenomeno che non necessariamente possiamo definire un movimento. Potremmo constatare che realtà come Spazio In Situ ed ISIT cerchino di distaccarsi da un passato ancora troppo presente nella scena della capitale, con un atteggiamento che si pone in contrapposizione con la necessità di appartenenza ad un “movimento”, quanto più alla costruzione di un metodo. La tendenza alla creazione di “collettivi” e “gruppi” è legata alla necessità degli artisti emergenti di fare fronte ad un sistema che non si prende la responsabilità di costruire un nuovo panorama, bensì di sottolineare realtà già definite e/o esauste.
Da un certo punto di vista la necessità di giovani emergenti di creare e definire una realtà concreta, mettendo da parte la scena romana, rientra in un percorso di definizione e stabilizzazione del presente, tenendo anche conto di una realtà post-pandemica. Il luogo fisico diventa ‘simbolo’ e manifesto della propria esistenza, diversamente dalle diverse e innumerevoli iniziative virtuali e web di cui per motivi quasi ovvi non possiamo fare a meno. La generazione che viviamo ora più di prima sente il bisogno di definirsi in un luogo, in una precisa realtà.
Qual è il ruolo quindi che gioca un artist run space, in particolare il vostro, nella scena artistica della capitale?
Il ruolo è rivelato semanticamente dalla parola, siamo uno spazio gestito da artisti nato 5 anni fa, l’introduzione della curatela all’interno dello spazio è stata una naturale evoluzione in cui ha partecipato l’interesse e la crescita artistica di ognuno di noi. Anche l’esistenza di una figura curatoriale all’interno del nostro artist run space è costruita secondo un gesto artistico.
In Situ può permettersi di confrontarsi con gallerie ed istituzioni mantenendo un’ imprescindibile indipendenza. Diventa necessario in una città come Roma, costruita con il nome di importanti gallerie e movimenti artistici storicizzati, strutturare una storia non legata al passato, che comunque non lo rinnega, ma ne prende atto per metterlo in questione. Non sentiamo il bisogno di doverci identificare all’interno della città nonostante l’inevitabile influenza che il luogo geografico possa avere su chiunque, desideriamo mostrare un panorama di clima internazionale che apprezziamo e vogliamo presentare all’interno di una città normalizzata come Roma.
Spazio In Situ nasce in un ex garage della periferia Romana, e spesso operazioni come le vostre sono associate a interventi artistici di rigenerazione urbana, anche se nello scenario comune si pensa subito all’arte urbana o la Land art. Come collettivo quindi che ruolo avete nei confronti di arte e rigenerazione?
La nostra scelta di aprire un artist-run space è slegata dal suo posizionamento all’interno della città, dettata da necessità economiche e di spazi ampi in cui lavorare. Il panorama artistico contemporaneo italiano risulta un’oasi privata, lontana dalla scena emergente. I sostegni economici adibiti alla cultura sembrano irraggiungibili per i giovani addetti al settore.
Questo in maniera inevitabile influenza la scelta geografica di spazi indipendenti, aspetto che si presenta in ogni città. La rigenerazione urbana e sociale è una conseguenza inevitabile.
Tra le nostre intenzioni c’è quella di non rimanere legati soltanto allo spazio fisico in cui viviamo e lavoriamo, ovvero la realtà romana, ma di poter realizzare quello che il termine ‘piattaforma’ si propone. ISIT nasce quasi 3 anni fa, la sua forma ed il suo valore culturale sono una ricerca in continua definizione che prende spunto attraverso vari medium e metodologie. I collaboratori presentati negli anni sono stati circa 60 di provenienza nazionale ed internazionale, per noi come con In Situ questo contribuisce a rappresentare il nostro interesse per una cultura non legata ad un luogo ma appartenente ad una generazione.
Come AFFDP, oltre a far parte di In Situ, avete fondato ISIT.magazine, una rivista annuale di arte contemporanea. Un libro di Saul Marcadent si intitola proprio “Editoria come curatela”, qual è il rapporto tra editoria e curatela che vi ha spinto a realizzare questo progetto?
In questo discorso la nostra ‘formazione’ artistica potrebbe considerarsi un punto focale. Non ci definiamo né editori né curatori, ma tocchiamo spesso questi confini, pur concedendo ancora alla parola ’’confine’’ di esistere in questi ambiti. Quello che maggiormente ci spinge è indagare queste categorie che distinguono i vari settori dell’arte e mettere in questione la loro realtà, il loro modus operandi, la loro stessa esistenza.
Cosa ci permette di definirci curatori/editori/artisti? La difficoltà più grande, ed allo stesso tempo ciò su cui ironizziamo, sono le labili differenze che permettono una più semplice catalogazione dei diversi settori. Forse potremmo tornare ad una delle prime parole utilizzate, ‘formazione’ artistica. Quanto della nostra formazione nativa ci ha spinto ad andare oltre e quanto ci influenza? Definirci artisti con una formazione artistica potrebbe essere nuovamente un limite linguistico. Il nostro interesse rimane la ricerca, in evoluzione, delle varie forme artistiche e della loro diversificata manifestazione.
La forma della pubblicazione indipendente/sito ci permette di ragionare all’interno di uno spazio avente una doppia valenza: da una parte il cartaceo, quindi uno spazio fisico, dall’altra lo spazio virtuale ed effimero del sito. Intervenendo in modo diverso sui due supporti, gli artisti, critici, curatori ecc. che ospitiamo all’interno di ISIT si relazionano tra di loro e con un prodotto finale, quello del magazine, che mette in discussione le categorie stesse che perimetrano l’editoria e il mondo dell’arte in generale. Mettersi in gioco all’interno di questo spazio ambiguo è un modo per riflettere sul confine che separa le varie categorie artistiche, trovando proprio in quello spazio liminale un terreno fertile di sperimentazione.
Inoltre, l’assenza stessa di un formato standard, univoco e riconoscibile, sovverte una delle regole chiave delle pubblicazioni periodiche. Distanziandosi da esse e rifiutando un formato definitivo, ISIT interroga in effetti la sua stessa natura, cambiando forma ad ogni edizione.
Qual è il ruolo che possono giocare oggi, sia uno spazio come In Situ che prodotti editoriali come ISIT.magazine, nei confronti del pubblico e dei cittadini nei processi di sviluppo e fruizione di contenuti culturali ?
Sia all’interno di In Situ che in ISIT.magazine, seppur con modalità diverse, dall’inizio l’interesse e l’obiettivo principali sono quelli di far emergere realtà concrete dell’arte, di poter offrire ai ‘cosiddetti’ artisti emergenti come ad artisti più established uno spazio di ricerca e di pratica.
Con ISIT ci confrontiamo con diverse metodologie, ci muoviamo dal prodotto editoriale ISIT.magazine, alla webserie, al merchandising, e presto ci muoveremo spostando il contenitore magazine all’interno di uno spazio tridimensionale. Attraverso l’opencall creiamo uno spazio di relazione che coinvolge prima di tutto noi stessi, in quanto, attraverso il bando possiamo conoscere nuove realtà e ricerche che indagano diversi media e tematiche. Questa rete generata dalla call si espande attraverso la fruizione dei contenuti da parte di un pubblico che è sia quello più ristretto della rivista, sia quello più vasto e imprevedibile legato alla visualizzazione dei contenuti online. Ai vincitori della call ed ai collaboratori invitati personalmente, mettiamo a disposizione uno spazio libero (un doppio spazio in realtà, articolato tra web e cartaceo) entro il quale strutturare il proprio progetto.
L’assenza di vincoli (tematici o di altro genere) ci consente di fornire all’artista e in generale al collaboratore un territorio adatto a ospitare una ricerca che sia il più possibile spontanea, libera dai dettami solitamente imposti dalle varie esigenze di mercato. Per conseguenza diretta, ogni anno riscontriamo tematiche comuni che emergono spontaneamente, delineando un dialogo collettivo condiviso, che mostra fragilità e sicurezze della contemporaneità.
Com’è essere un giovane artista o curatore a Roma? E com’è esserlo nel vostro quartiere? Quale rapporto si crea con le proposte centrali, quelle istituzionali e gli altri operatori? E con il panorama internazionale?
Sicuramente Roma è una città complessa e stratificata in cui si stanno attualmente instaurando relazioni tra il panorama indipendente e quello established. Ne è un esempio la nascita di nuovi artist run space nelle zone periferiche di Roma e anche il riscontro mediatico che stanno ricevendo. Questo interesse è testimoniato da numerosi studio visit rivolti a queste nuove realtà. Il nostro quartiere, Tor Bella Monaca, è ospitale ma esterno alle dinamiche culturali del centro di Roma; questo è un aspetto non trascurabile, bensì crea nella comunità locale una forte curiosità e dialoghi inaspettati. Nel corso degli anni abbiamo avuto l’opportunità più volte di collaborare e ricevere il supporto di realtà istituzionali e di addetti al settore; ne sono un esempio il ciclo di mostre Gehen in den berg spazieren, patrocinato dall’Istituto Svizzero e dall’Accademia Svizzera e la mostra collettiva Chilometro 0 dedicata a Spazio in Situ presso The Gallery Apart. Questo per noi è forte motivo di crescita, grazie al quale la nostra programmazione futura includerà sempre di più la collaborazione con realtà altre.
Con il panorama internazionale abbiamo senz’altro un dialogo costante (vedi il ciclo di mostre sopracitato); la mostra in programma tra maggio e giugno curata da ISIT presso Spazio In Situ riceverà un forte contributo internazionale che coinvolgerà anche l’aspetto concettuale della nostra ricerca.
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