Dalla sua nascita, nel 1839, la fotografia si pone come fenomeno di massa all’interno della società dell”800, tanto da generare immediatamente un dualismo con la pittura, all’interno del quale si inserisce Felix Nadar.
La capacità della fotografia di ritrarre perfettamente la realtà attrae sia chi ne riconosce il valore estetico, sia chi la considera soltanto un processo meccanico.
Tra i più accaniti detrattori della nuova arte c’è Baudelaire, che la considera un rifugio per pittori falliti, e disprezza il suo legame con la società industriale, forte dell’idea che l’arte non debba avere legami con l’industria.
Una analisi più imparziale è quella del filosofo tedesco Walter Benjamin, che afferma che “era già stato sprecato molto acume per dirimere la questione se la fotografia fosse un’arte, ma senza che ci si fosse posta la domanda preliminare: e cioè, se attraverso la scoperta della fotografia non si fosse modificato il carattere complessivo dell’arte”.
Parigi è al centro di questa disputa sul valore dell’arte fotografica e la figura più rilevante in questi decenni è Felix Nadar.
Gli anni giovanili in cui svolge l’attività di caricaturista lo aiutano a sviluppare una attenzione per tutto ciò che riguarda l’essere umano, sembra fisiologico, quindi, l’approdo alla fotografia come ritrattista, che avviene nel 1855.
Inizia a fotografare i suoi amici e da qui inizia il suo successo, Nadar ha l’innata capacità di mettersi in relazione con i suoi soggetti e di far riaffiorare le loro personalità, questo lo porta a realizzare una lunghissima serie di ritratti che non sono una semplice documentazione del reale, ma contribuiscono ad elevare la fotografia al rango di arte vera e propria.
In breve tempo darà un volto alle menti più brillanti della Parigi di metà 800, dal suo studio a Boulevard des Capucines passeranno, tra gli altri, Hugo, Bakunin, Dumas, Verne, Rossini, Manet, Delacroix, Kropotkin e Baudelaire (nonostante la sua aperta avversione verso la fotografia!).
Nadar è quindi profondamente rivoluzionario nell’atto del guardare, che non ha più una funzione esclusivamente documentaristica ma assume una sua poetica.
Per rendersene conto basta leggere queste sue parole a riguardo: “la fotografia è una scoperta meravigliosa, una scienza che occupa le intelligenze più elevate, la cui applicazione è alla portata dell’ultimo imbecille, ma c’è in essa qualcosa che non si impara: è il sentimento della luce, e ciò che si impara ancora meno è la comprensione morale del soggetto, è il lato psicologico della fotografia.”