È stato bello vedervi avvinghiati come serpenti di un caduceo, mentre stavate a raccontarvi i sogni e i gesti del cangiante quotidiano.
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X era il mascolino, intelligente, audace, sardonico, a tratti nevrotico, mentre tu, Y, eri il femminino, la libertà latente, la sempiterna malizia, l’amore per l’innocenza. Due vite segnate da un unico destino, due anime nel segno di un solo inganno, l’inganno del sentimento. X si faceva consolare dalla poesia, giocoforza restando inappagato, consumato da quella nenia quotidiana necessaria per curare le amarezze dietro certe scelte della vita, mentre tu, Y, inappagata per natura, credevi più nell’amicizia che nell’amore, tanto che quell’amore, il tuo e di X, reggeva tutto su quel costante disequilibrio, su quel continuo pendere di X dalle tue labbra.
E pensare che X, prima di incontrarti, non aveva minimamente pensato di trovarsi un giorno ad ascoltare un chierico ripetergli “Vuoi tu, X, prendere in sposa Y nel sacro vincolo del matrimonio, finché Z non vi separi?”. Ed io, una contorta mente matematica sempre dedita al lavoro, combattuto com’ero dai miei periodici transfert, provavo un po’ d’invidia per quel nastro indissolubile che sembrava tenervi stretti l’uno all’altra, per quanto un’ansia più che naturale di fronte all’eterno spettro della morte minacciasse anche me, facendomi apparire il vostro rapporto come una di quelle strane nebulose a riflessione al cui interno suole transitare una stella.
Io dal canto mio non ero un santo, di mestiere facevo il grafico, e perciò ero bravo a immaginarmi e a disegnare certe storie, ma fui dispiaciuto, assai dispiaciuto nel sapere del vostro destino. Anche Cristiano, servitore della madonna del Carmelo, cristiano di nome e di fatto, nonché mio sacerdote d’infanzia, vedendomi ridotto a uno strofinaccio da cucina mi domandò “Chi sono veramente per te X e Y?”
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“Chi erano, volevi dire?” risposi turbato.
Per lui realizzavo i manifesti della settimana santa e per il corso pre-matrimoniale, ci teneva a fare figura con i fedeli della parrocchia, lo facevo gratuitamente e in cambio prendevo delle belle lezioni di spiritualità. Eravamo in sacrestia a chiacchierare di quell’eterno dramma che sono le separazioni, quando Cristiano fece un cenno ai chierichetti di andare via. Loro volevano restare, erano giovincelli e desideravano giocare come sempre a porgersi l’ostia l’un con l’altro, ripetendo in modo petulante “Il corpo di Cristo! Il corpo di Cristo!”.
Come sempre bastava poco a fare innervosire Cristiano, da ragazzo era stato plagiato senza pudore. Da quando si era votato a Dio soleva praticare una strana forma di maieutica devozionale. “Tu, che hai compiuto bene il tuo lavoro” diceva al primo “sarai punito con dieci colpi di stiletto sul sedere” e rivolgendosi all’altro “tu, invece, che sei stato tutto il tempo a rigirarti i pollici, te ne uscirai con due Pater nostro e una pacca sulla spalla”.
Finalmente campo libero. “X e Y, erano molto per me” dissi con voce strozzata.
“E allora?” sibilò Cristiano, rabbuiandosi.
“Vedi, Cristiano, X ce l’aveva messa tutta per rendersi appetibile, tra palestra, abiti eleganti e una seduta a settimana in un centro estetico con cinque hair designer addosso, gente con la fobia del capello perfetto, quella, quando usciva dall’ufficio chiamava Y, mettiti in ghingeri, cara, ho una sorpresa per te, cara, no caro, rispondeva Y, non te la prendere a male, ho lavato una pila Himalayana di piatti e fatto quattro lavatrici, ordinati una pizza. Va da sé che X e Y da quel giorno cominciarono a odiarsi e a litigare, fin quando, per salvare il salvabile, si rivolsero al dottor K”.
“Chi era questo dottor K?” mi chiese stranito Cristiano.
“Oh, la letteratura medica pullula di strani individui come il dottor K. Il dottor K era uno psicoterapeuta dalla rara sensibilità che da piccolo aveva sempre sognato di vivere di natura, facendo il fattore, tanto che i suoi compagni di scuola lo irridevano sempre gridandogli vai in campagna a zappare l’orto!”. Cristiano mangiò la foglia, era uno che la mangiava spesso, vai a spiegare a un prete che studi scientifici confermano come sia insito nel cromosoma X come nel cromosoma Y perpetuare malattie ed errori genetici di generazione in generazione. “Il giovane K finì per fare lo strizzacervelli in un bel consultorio di periferia, non più a ciondolar per campi come aveva sognato, ma a ingrigirsi al chiuso, fra quattro pareti, ridotto a sorbirsi le seghe mentali di tanti pazienti come X e Y”.
“Strano soggetto” disse Cristiano.
“Oh, ma sai, ne salvò molta di gente… Ricordi Ada, quella trentenne che si era innamorata di quel playboy napoletano? Per poco per la gelosia non si buttava dal tetto del suo palazzo, ma ne vale la pena morire per un gigolò vissuto, le disse il dottor K, ne vale la pena consumarsi per un playboy fasullo, uno con tanto di fuoriserie ma incapace di posteggiarla, una bella sfilza di Delorazepam 0,5, et voilà, Ada era bella e pimpante come prima…”.
Toc! Toc! Bussavano alla porta. Era il rappresentante di articoli religiosi con un paio di candelabri in mano. Cristiano lo pregò di andare via, ci mise un bel po’ prima di riuscire a toglierselo dai piedi, erano mesi che lo tartassava con quegli orrendi porta-ceri di metallo dalla patina grigia color cane da mandria.
“Cosa fai?” mi chiese Cristiano, vedendomi scrivere appunti. Io feci spallucce e continuai il mio racconto.
“E poi c’era Beatrice, studentessa del DAMS, anoressica, sapiosessuale, che amava Saffo e quei versi “un fuoco leggero mi corre sotto la pelle… Le orecchie rimbombano”, che si guardava ogni minuto allo specchio, sognando di diventare una grande attrice, ma ne vale la pena deperirsi per un magro faccino allo specchio, le disse il dottor K, ne vale la pena morire per un fantasma nascosto dietro un vetro, svegliati, Beatrice, togliti dalla testa Saffo, il cinema e trovati un uomo!”.
“Però…” sibilò sardonico Cristiano “Mi sa che ho sbagliato mestiere, neanch’io riuscirei a salvare tutta questa gente”.
“E c’era Claudio, orfano di padre e di madre, affetto da depressione acuta, che il dottor K curava con Butirrofenone e altri neurolettici, nulla da fare, quante volte lo avevamo sorpreso a masturbarsi davanti ai conigli albini dell’orto botanico di via Lincoln, al chiuso di una conigliera a temperatura controllata”.
“Bleah! Che doveva vederci di così eccitante?” esclamò tra l’ironico e il disgustato Cristiano.
“Non saprei proprio dirti cosa ci trovava in quei conigli striscianti tra feci e alimenti” tentennai, poco ci mancava che Cristiano mi vomitava sugli scarponi, “disperata ricerca di affetto, o forse erano quegli occhietti ipnotici a indurgli quel raptus. A lui il dottor K concedeva qualche tiro di cannabis legale per alleviare quel male”.
“Parla a bassa voce, per favore!” mi ammonì Cristiano “I ragazzi origliano!”.
“E di Dante, Elisa, Ginevra, ne vogliamo parlare?”. Cristiano mi fece un plateale cenno con la mano, come per dirmi “Ti prego…”. Peccato, pensai tra me. Quello di Ginevra era il caso di guarigione più eclatante di tutti. Il suo ragazzo la tradiva con un’altra a giorni alterni e la madre appoggiava fieramente l’adulterio, un giorno riceveva Ginevra e l’indomani l’altra, domenica riposo. Quando Ginevra scoprì tutto, spifferò la cosa sul web, e così facendo si liberò di lui.
Sentimmo bussare nuovamente alla porta, tanto che scorsi una certa impazienza nel volto di Cristiano. “Parlami di quei due sprovveduti” mi disse con sottile astio.
“Certo, ero stato io a raccomandare il dottor K a quei due. Voi, ragazzi miei, siete coppie destinate prima o poi a scoppiare, disse il dottor K alla prima seduta, all’inizio l’amore è tutto bello, tutto regali e regalini, baci e bacini, cene romantiche e cioccolatini, cunnilingus, fellatio e penilingus, et cetera et cetera”.
“Shhh… Modera le parole!” disse Cristiano alzando la mano.
“Questa è la verità” risposi caldamente “La cosa grave era che quei due non avevano neanche figli”. Cristiano scosse la testa e m’invitò a stringere, dicendo che aveva messa da espletare. “Cosa cercava di dire veramente il dottor K?” dissi a Cristiano, caduto in uno stato riflessivo, che preannunciava una micidiale cefalea geriatrica. “Che quando si entra nel tran tran quotidiano, all’interno di certe coppie si finisce per disconoscersi, mannaggia a loro!”.
“Stupidaggini!” sbottò Cristiano “L’amore di Dio pacifica tutto“.
“Scusa, Cristiano, ma persino Penelope stentò a riconoscere Ulisse dopo che uccise i Proci, figurarsi dei comuni mortali!”.
“Hai finito, giocoliere di paradossi che non sei altro? Non penserai davvero di venire a pontificare qui, nella mia parrocchia?”.
Finalmente ci recammo all’altare per celebrare la messa. Eravamo quattro gatti, i soliti convenuti della messa del venerdì pomeriggio e qualche coppia presente per il consueto corso pre-matrimoniale delle ore pomeridiane. Ricordo ancora lo sconforto con cui Cristiano, con quel suo gesto automatico di Cristo benedicente, m’invitò a dire qualcosa in ricordo di X e Y.
“Giunge il momento che tu spenda qualche parola per questi due debosciati, separati dal capriccio di qualcosa di più”. E detto questo confabulò con qualcuno che lo seguiva esitante con gli occhi a qualche metro dall’altare.
“Ouch! Ouch!” tossii io, imbarazzato dal suo amaro sarcasmo, e tenendo stretta al petto la Bibbia, per darmi un contegno, cominciai il mio sermone: “Gentili amici, è con grande cordoglio che devo comunicarvi l’improvviso divorzio dei cari X e Y. Prima di cedere la parola a padre Cristiano per la consueta messa in nome del Sommo Fattore, vorrei raccomandare alle giovani coppie di pensarci bene, di riflettere a fondo prima di fare un passo così importante come il nobile sacramento del matrimonio. Se non ascoltiamo l’altro come pretendiamo di ragionare in due? Forse perché non riusciamo più a ragionare in terza persona, a metterci nei panni degli altri? Se fosse così, saremmo solo un fascio di nervi, nient’altro che un fascio di nervi senz’anima”.
“Ma cosa va dicendo!” urlò a squarciagola un uomo alzandosi dalla penultima panca in prossimità del fonte battesimale. “Giusto lei viene qui in chiesa a predicare! Sappia che l’ho riconosciuto, lei è il dottor K, è stato lei a rovinare il matrimonio di quei due ragazzi!”.
Sconcertato dalla sua ridicola affermazione, cincischiai parole senza senso, mentre quello mi strappava la Bibbia dalle mani. Fra le pagine della genesi era riposto un foglio con il più malefico dei sermoni, quisquiglie scritte mentre Cristiano cercava di cacciare via il rappresentante di articoli religiosi e che l’uomo non esitò a leggere.
“Cari X e Y, giunge il momento che si viene a chiudere questa soap opera. Il destino è così crudele, ma così appropriato a volte. Voglio dire, eravate al corrente del fatto che nulla è eterno, che nulla, compresa l’anima, è immortale? A conti fatti non eravate altro che due misere incognite nell’infinito piano cartesiano, e tu, Y, così innamorata finché è durato, ma così ridicola con i tuoi falsi pudori, mentre tu, X, così noioso nel lasciarti andare in certi stucchevoli complimenti, senza essere mai ricambiato. Che poi, questa Y, cos’aveva tanto di particolare? Le riserve auree o un corpo da cartolina con sullo sfondo la baia di Guanabara?”.
“Ecco, signori, la sconcertante verità!” esclamò l’uomo, esibendo un ghigno beffardo. Disperato scappai verso l’uscita sul retro della sacrestia, imboccando a lunghe leve la strada per la stazione. Era già sera, desideravo sparire dalla faccia della terra, essere invisibile. Ombre da ogni dove m’inseguivano. Giunto sotto i portici della stazione centrale staccai un biglietto per il diretto Palermo-Napoli, mi rannicchiai nel lettino della cuccetta quarantadue dello scompartimento fumatori del treno e cercai invano di dormire.
Sul traghetto per lo stretto di Messina, qualche minuto prima che le rotaie del treno s’incanalassero sui binari della terraferma, salii nella sala bar dietro il ponte di comando e ordinai un latte caldo. Tornando alla cuccetta valutai piani differenti. Giunto a Napoli avrei preso un caffè a piazza Plebiscito, mi sarei acceso una Marlboro morbida e sarei andato a vedere il Cristo velato, prima di sera avrei mangiato una pizza fritta in via dei Tribunali e sarei tornato a casa. Ventiquattro e passa ore bastavano e avanzavano per convincere un prete che avevo mentito, ma potevo sempre scendere alla fermata imminente, per tornare da lui, e confessare la verità.
Ma figurarsi andare a spiegare a un prete come vanno certe cose, che X scappa con Z e Y divorzia da X, quando già basta che Y faccia gli occhi dolci a Tizio e Caio e X non ha più fiducia manco in Sempronio. Guardai il cellulare. Erano già le nove e dodici, il treno s’inoltrava come un ladro di notte nell’hinterland calabrese. Immerso in quei pensieri non mi ero accorto che il latte si era irrimediabilmente ghiacciato. Aprii il finestrino, lanciai fuori il bicchiere e buttai un occhio sul paesaggio cupo. Una parata continua di alberi altissimi, indistinti, forse nobili faggi, forse pini sontuosi, interrompeva il profilo delle montagne appena rischiarato dal pallido chiarore della luna. Ero inquieto, mezzo morto al solo pensiero d’incontrare faccia a faccia Cristiano, e una smaniosa voglia di caffè espresso colse il mio palato secco.