Un’intervista doppia per conoscere le idee di due donne che lasciano il segno. Due generazioni a confronto. Due storie unite dallo stesso obiettivo. Combattere i pregiudizi. Educare alla diversità.
Sumaya Abdel Qader è la prima donna musulmana eletta al Consiglio Comunale di Milano, una delle fondatrici dei Giovani Musulmani d’Italia, scrittrice. Aya Mohamed, studentessa, attivista e influencer da 21 mila followers, è volto delle adv di Valentino, Prada, Etro.
Raccontateci la vostra storia, i dettagli più significativi.
Sumaya: sono nata e cresciuta a Perugia da genitori giordano-palestinesi, che vivono in Italia da ormai cinquant’anni. Da quando mi sono sposata vivo a Milano, dove ho continuato gli studi universitari iniziati a Perugia. Mi sono laureata in Biologia, in Mediazione Linguistica e in Sociologia. Durante gli anni universitari ero molto attiva nell’ambito sociale, soprattutto nell’associazione Giovani Musulmani d’Italia, fondata nel 2001 da me e mio marito insieme ad altre persone, tutt’oggi molto attiva.
Mi sono concentrata anche sull’attivismo per i diritti delle donne, fino a fondare il Progetto Aisha. Dal 2016 si occupa di aiutare le donne vittime di violenza, in particolare nelle comunità musulmane. Nello stesso momento è arrivata la mia elezione al Consiglio Comunale di Milano nel ruolo di Vicepresidente della Commissione Cultura. Ho lasciato il Progetto Aisha per dedicarmi appieno al mio ruolo in Consiglio Comunale. Intanto, non ho mai tralasciato l’attivismo.
Ho scritto due romanzi. L’ultimo è uscito nel 2019 e si intitola “Quello che abbiamo in testa”, edito da Mondadori. Ho tre figli. Una vita piena di iniziative e progetti che hanno come scopo principale la promozione dei diritti delle donne. Mi piace essere attiva anche all’interno della mia comunità. Negli ultimi anni mi sto focalizzando sul tema dell’emancipazione femminile. Il mio obiettivo è provare a decostruire i retaggi culturali patriarcali che tante donne musulmane si portano dai paesi di origine, anche se nate e cresciute in Italia. Abbiamo una comunità molto eterogenea. Riuscire ad arrivare a tutta la comunità di donne musulmane è difficile. Ogni background culturale è profondamente diverso dall’altro, così come le esperienze di vita. È una bella sfida, e su questo percorso incontro anche Aya.
Aya: sono nata in Egitto, nonostante i miei genitori vivessero già in Italia. Quando avevo tre mesi siamo ritornati insieme in Italia. Sono cresciuta e vivo a Milano. Adesso sto per laurearmi in Scienze Politiche Internazionali. Da circa tre anni mi espongo sui social perché sento la necessità di far sentire la mia voce di ragazza musulmana che indossa il velo in un contesto occidentale come quello italiano.
Non mi sentivo rappresentata. Non volevo parlare solo delle difficoltà, delle discriminazioni che viviamo ogni giorno, ma anche delle nostre esperienze, del nostro punto di vista, delle nostre vite. Perciò ho iniziato a scrivere sul mio blog Milan Pyramid. Da lì mi sono spostata più sui social, adesso su Instagram (@milanpyramid). È iniziato tutto con un tono più serio. Parlavo spesso di tematiche politico-sociali, attivismo, discriminazioni. Adesso parlo della società da un punto di vista meno normativo, di inclusione e rappresentazione della diversità.
Racconto molto di più della mia vita, delle mie esperienze nell’ambito della moda e del beauty.
Un momento importante che vi ha cambiato la vita.
Sumaya: ogni giorno succede qualcosa che mi cambia, che mi fa riflettere e mi indirizza verso una nuova traiettoria. Non sono mai come il giorno prima.
Custodisco tanti momenti importanti della mia vita. Le nascite dei miei figli, le lauree, i libri che ho scritto. L’esperienza al Consiglio Comunale. Mi ha insegnato molto, ma mi ha fatto anche capire cosa siano l’odio e la violenza, provandoli sulla mia stessa pelle. La consulenza alla sceneggiatura per la quarta stagione di SKAM Italia, con il regista Ludovico Bessegato, è stata davvero una bellissima esperienza. Non ero nuova al mondo del cinema, avevo già collaborato ad alcuni documentari. SKAM mi ha offerto la possibilità di ragionare su nuovi piani. Mi ha permesso di affacciarmi sul mondo dei giovani, con cui ho interagito molto.
Da quella esperienza sono nati vari progetti che mi fanno dedicare sempre più ai ragazzi. Prima le mie iniziative erano sempre orientate a una fascia d’età adulta, dai 50 anni in su. Adesso il mio focus principale sono diventati gli under 30. Di pari passo con i progetti che intraprendo con le scuole per far comprendere il significato della pluralità e accrescerne la consapevolezza. Per far conoscere le culture, il valore della diversità, fino a problematiche attuali legate all’hate speech, sempre più incalzante sui social.
Aya: concordo con Sumaya nel pensare che tanti momenti della nostra vita ci cambiano. Fino ad oggi, il momento che mi ha segnato di più è stato quando ho deciso di indossare il velo a 18 anni. Nel giro di un giorno ho visto i miei compagni, i miei professori cambiare atteggiamento verso di me. Anche la società attorno a me mi trattava in modo differente a causa della mia decisione. Sicuramente sono cambiata, ma non mi aspettavo un comportamento così diverso.
Da quel momento sono nate in me tante riflessioni. Sono cresciuta in modo diverso perché finalmente avevo aperto gli occhi su certe questioni che prima non sentivo mie. Che non vivevo in prima persona. In quella fase della mia vita si è rafforzata la mia consapevolezza.
Qual è adesso il ruolo della donna musulmana in Italia?
Sumaya: quando si parla di donne musulmane in Italia non si può affermare un modello unico. Bisogna considerare le generazioni, le provenienze e da lì guardare nel dettaglio questa esperienza plurale. Se valutiamo le varie generazioni notiamo andamenti diversi.
La prima generazione araba, per esempio, è formata da donne prevalentemente casalinghe, piuttosto chiuse in sé, nella comunità e nella famiglia. Non parlano fluentemente l’italiano, non si sono sviluppate più di tanto dal punto di vista personale. Ovviamente parlo in generale, questo non significa che tutte siano così. Ci sono casi straordinari, ma sempre minoritari. Diverse le esperienze di altri Paesi non arabi.
Se guardiamo le nuove generazioni, c’è un atteggiamento di evoluzione rispetto ai genitori. C’è sempre più voglia di studiare, di crescere, di essere presenti nella società, di essere attive. Tantissime giovani donne musulmane sono molto attive in vari ambiti. Con e senza velo. Cominciamo ad avere decine di ragazze che sono attive ed elette in politica. Consigliere comunali, di municipi, oppure iscritte a partiti con vari ruoli. Ragazze attive nel giornalismo, nella scienza, nella ricerca accademica, nella medicina. Questo è molto importante perché fa crescere la comunità, porta maggiore consapevolezza e ricchezza. Fa crescere le terze generazioni in modo più consapevole.
Purtroppo i media non parlano mai di questa fetta di popolazione così attiva, presente, produttiva.
Si parla, ahimè, soltanto dei casi di cronaca nera. Purtroppo esistono, sono terribili e li detestiamo tutti, ma i musulmani non sono solo questo. Ciò deforma completamente l’immaginario comune.
Aya: quando penso al ruolo della donna musulmana in Italia, mi chiedo anche quale sia il ruolo delle donne e degli uomini in generale. Ancora oggi si sente la necessità di fare diversificazioni e chiederci queste domande. Persiste ancora una forte differenza di genere, e all’interno di essa anche una differenza di etnia, religione, background.
Mi dispiace che nel 2020 dobbiamo ancora lottare per abbattere questi muri perché si pensa che non siamo tutti allo stesso livello. Non siamo visti allo stesso modo dalla società anche se abbiamo le stesse qualifiche o lo stesso livello d’istruzione.
Quello che io vorrei che fosse il ruolo delle donne musulmane in Italia è lo stesso ruolo che tutti dovremmo avere nella società. Il ruolo di cittadini attivi. Ormai tantissime donne musulmane sono sempre più partecipative. Stiamo facendo sentire la nostra voce. Stiamo dando il nostro contributo alla società allo stesso modo di qualunque altro cittadino. Il ruolo della donna musulmana in Italia non coincide, secondo me, con la strada che stiamo percorrendo.
Quando si pensa a una donna musulmana, si immagina sempre una donna che sta in casa tutto il giorno, coperta dalla testa ai piedi. Una donna oppressa, sottomessa che non riflette affatto l’immagine più comune e realistica delle donne musulmane in Italia.
Cosa significa indossare il velo?
Sumaya: per me indossare il velo è un esercizio spirituale come forma di devozione e adorazione di Dio. Il velo ha assunto significati molto diversi nel corso della storia, in ambito religioso e politico. Le donne musulmane percepiscono il velo in modo differente. Tante, purtroppo, lo vivono più come eredità culturale che come esperienza spirituale. A volte il velo è un’imposizione. Altre volte assume il ruolo di rivendicazione identitaria o politica. Può anche rappresentare il simbolo di un gruppo religioso o politico. Nell’ampio panorama islamico esistono significati diversi.
Aya: concordo pienamente con Sumaya nel considerare il velo come un esercizio spirituale. Per me il velo è anche un modo di esprimere la mia identità religiosa. Amo esteriorizzare la mia identità, la mia personalità, il mio carattere attraverso la moda e il make up. Ciò permette di mostrare le proprie caratteristiche all’esterno, prima di presentarsi verbalmente alle persone. La prima impressione che lasciamo alle persone già ci presenta. Per me indossare il velo fa parte di quello. È come dire:
“Questa sono io, una ragazza musulmana. Questa è la maniera in cui voglio praticare la mia fede. Questa è la mia espressione esteriore e anche l’espressione esteriore del mio legame con Dio. Del mio legame affettivo con la mia fede. Un rapporto molto intimo e personale. Per me talmente ampio da volerlo manifestare in questo modo.”
Vi considerate femministe? Perché molti pensano che femminismo e islam siano contrapposti?
Sumaya: molti pensano che siano contrapposti perché banalmente si ritiene che il femminismo sia frutto dell’Occidente. Occidente vs. Islam, quindi incompatibili. Un’idea che parte quasi di default. In realtà molte istanze femministe sono partite dall’islam stesso, fin dalla sua nascita.
Oltre a questo problema di fondo, una parte del mondo musulmano considera il femminismo come qualcosa di antireligioso. Come negazione della fede, di Dio, della religione. Questo duplice sguardo, uno contro l’altro, di incomprensione e diffidenza fa apparire islam e femminismo incompatibili.
Poi ci siamo io, Aya e tante altre donne musulmane, che ci posizioniamo in mezzo a queste due parti. Le comprendiamo entrambe e proviamo a trovare il nostro spazio, la nostra autodefinizione. Per me non è inconciliabile essere musulmana e femminista, anzi lo sono. Bisogna però specificare quale femminismo, dato che è più appropriato parlare di femminismi.
Aya: mi definisco femminista secondo la mia concezione del termine. Quello in cui credo è la parità tra i sessi in campo economico, sociale, politico. Credo fermamente nella libertà di scelta e di decisione della donna.
Oggi si tende a non far combaciare l’islam con il femminismo perché si ha una visione unilaterale della libertà di scelta delle donne. Menziono un esempio tratto dalla mia esperienza personale.
Quando dico di aver scelto liberamente di indossare il velo, si pensa che io abbia subito un lavaggio del cervello. Che io non sia stata capace di scegliere. Che io non abbia veramente deciso in modo autonomo. Questa è una cosa che mi infastidisce molto. Se si crede nella libertà delle donne e nel femminismo bisogna credere che anche le donne musulmane possono scegliere liberamente.
Un altro motivo per cui oggi si tende a contrapporre questi due mondi è il fenomeno del white savior, molto presente in Occidente. Consiste nel bisogno delle persone occidentali “bianche” di “salvare” le culture che considerano non civilizzate, arretrate o semplicemente diverse dalla loro. Ciò accade perché non si educa a pensare che la propria realtà non è l’unica realtà esistente al mondo. Quando le persone impareranno a rispettare la diversità, allora si potrà iniziare a capire che l’islam da diritti delle donne, in campo sociale, economico e politico. L’islam riconosce la parità, ancor prima della creazione di convenzioni sui diritti delle donne.
Inoltre, nei movimenti femministi di oggi c’è avversione alle religioni.
È necessaria un’apertura anche da parte del femminismo occidentale verso quelle comunità religiose che credono nella parità dei sessi.
Sumaya: questa avversione religiosa è molto evidente nel mondo musulmano. C’è un femminismo ateo, agnostico e c’è un femminismo islamico. Un femminismo di donne musulmane che rivendicano i propri diritti a partire dalla propria credenza religiosa. Molto spesso incoraggio le femministe del mondo occidentale ad allearsi con quelle del mondo non occidentale.
A noi donne servono alleanze. Non serve guardarci con diffidenza, dall’alto in basso.
Purtroppo le donne occidentali tendono a considerare le donne musulmane come “quelle da salvare”. Si salvano da sole. Anzi lo stanno facendo in modo straordinario ogni giorno, rischiando le proprie vite.
Pensare che l’islam sia incompatibile con la libertà delle donne è sbagliato. Nasce dall’errore di confondere certe pratiche culturali, che hanno preso il sopravvento, con la tradizione religiosa più autentica. Così come pensare che le interpretazioni più fanatiche della religione siano quelle più diffuse o accreditate. Non è così.
Come si possono abbattere i pregiudizi legati all’islam e al velo? Qual è la strada da seguire nella lotta all’islamofobia?
Sumaya: ci sono due piani su cui bisogna lavorare: culturale e politico.
Il livello culturale tocca molti aspetti, tra cui la scuola, la società, i media. La scuola si sta impegnando molto sul tema della discriminazione in generale. La comunicazione di massa, invece, alimenta l’odio, la rabbia, la disinformazione. Ci vorrebbe più verità nell’informazione. Più presenza dei musulmani stessi nell’ambito dell’informazione. Non ci sono mai persone musulmane in tv. Le notizie sull’islam vanno sempre a suo discapito. Non si promuovono libri che parlano di islam e musulmani, nonostante esista un’editoria ricchissima, romanzi bellissimi che nessun media presenta. Sono svalorizzati, accantonati. Tutto ciò non aiuta a far emergere quella parte di mondo che bisogna raccontare, e che invece viene escluso. Un mondo positivo, propositivo, attivo. Così aumenta l’islamofobia, che diventa oggi un concetto riduttivo. Non si tratta solo di “paura dell’islam”. Siamo arrivati all’odio dell’islam.
Quando propongo ad accademici e giornalisti di usare il termine “anti-islam”, mi viene risposto che “suona male”. Non si comprende quanto sia urgente rendere un concetto con la parola giusta, non quella che “suona meglio”. Esiste l’anti-islam, l’atteggiamento anti-islamico, ed esiste anche l’islamofobia. Non solo islamofobia. La politica marcia enormemente su questo tema, come sta accadendo adesso in Francia. La polarizzazione serve a creare consenso. In politica qualsiasi tema viene polarizzato. Questo provoca tanti, tantissimi vuoti.
Aya: ci sono tantissimi pregiudizi riguardo l’islam e il velo. Secondo me tutti basati su ignoranza, misoginia e sessismo, che anche le donne hanno interiorizzato. Sento questi pregiudizi in prima persona, quando le persone non credono che abbia deciso liberamente di indossare il velo. Questa è una tecnica di victim blaming per sminuire il potere di scelta di una donna. Un fenomeno che coinvolge qualsiasi vittima di discriminazione o violenza, soprattutto le donne e, in particolare, le donne appartenenti a minoranze.
Come Sumaya, anch’io credo molto nell’importanza di parlare ai giovani. Quando vado nelle scuole, i ragazzi sono sempre disponibili ad ascoltare e a comprendere. Sono i primi a richiedere la mia presenza. I primi ad accogliere la mia storia, soprattutto quando spiego che il velo non è un simbolo di oppressione, di sottomissione. Incontro meno disponibilità da parte dei professori.
Quasi ogni giorno ricevo messaggi da ragazze musulmane che ricevono parole offensive dai professori a causa del velo. Questo è un problema che mi demoralizza molto. Vorrei trovare un modo per comunicare più con i professori che con gli studenti. A volte i professori non considerano quanta influenza possono avere sugli studenti. Andrebbe fatto urgentemente un lavoro di formazione alla diversità per tutto il corpo docente, a tutti i gradi. L’intolleranza non viene manifestata solo nei confronti di studentesse musulmane. Riguarda anche studenti di diverse culture ed etnie, studenti LGBTQ+.
Non si può parlare di integrazione a un ragazzo che è nato in Italia, che parla solo italiano, e non conosce la sua lingua d’origine. Fa già parte della società italiana. Proprio in questo momento in Francia stanno discutendo una legge che darebbe un codice identificativo agli studenti musulmani. Mi vengono i brividi.
Cosa consiglierebbe Sumaya ad Aya? E cosa direbbe Aya a Sumaya?
Sumaya: le direi sicuramente di non perdersi in mille cose. È meglio focalizzarsi su poche cose e farle bene. Le direi di trovare la sua strada, la sua causa da portare avanti. Di non aver paura se a un certo punto capirà di voler cambiare rotta. È possibile farlo, non è sbagliato. Non bisogna giudicarsi. Possono arrivare nuovi interessi, nuove idee, nuove consapevolezze di sé e voler cambiare. Questo non ci deve spaventare. Lo dico a lei pensando a cosa avrei voluto consigliare a me stessa.
Aya: le direi di utilizzare di più i social per farsi conoscere da noi giovani. Oggi i social hanno una potenza immensa. È molto gratificante usarli come strumento per veicolare esempi, messaggi, e storie positive. Non c’è solo odio, ma anche tanto affetto e riconoscenza.
Cosa vi fa brillare gli occhi?
Sumaya: essere ascoltata in modo sincero. Mi fa brillare gli occhi chi si pone in apertura a capire e accogliere quello che dico. Senza pregiudizi, sforzandosi a non essere escludente e intollerante. L’umanità, la sensibilità verso gli altri sono cose che sento molto.
Aya: l’arte in tutte le sue forme mi fa davvero brillare gli occhi. Mi piace molto pensare a me stessa come una persona artistica. Proprio per questo gran parte della mia attività sui social ha un andamento artistico. Mi piace molto creare video e foto. È una mia passione e mi diverte tantissimo.
I vostri sogni e cosa vi aspettate dal futuro.
Sumaya: essendo molto pratica, non sono una grande sognatrice. Preferisco pormi un obiettivo e provare a raggiungerlo.
Spero che tutto quello che stiamo facendo, io, Aya e tante altre donne musulmane in Italia, diventi una base solida per le nuove generazioni. Affinché crescano con più consapevolezza, con più diritti. In una società meno intollerante, meno polarizzata di quella che è oggi.
Mi fa molta paura dire “oggi” vivendo in Occidente. Mi auguro una società che sappia ottenere i diritti per i propri cittadini. Non è più scontato come lo era dieci anni fa. Pensavamo che certi diritti fossero ormai indiscutibili. Oggi, invece, stiamo rimettendo in discussione tante cose, ed è pericolosissimo. Oggi stiamo alimentando discorsi di odio e intolleranza che fanno ritornare il vento del passato in questo nostro presente. Questo mi fa davvero paura. Spero che saremo in grado di fermare questo vento del passato, rispedirlo indietro e tenerci stretti i risultati ottenuti dalle generazioni prima di noi.
Aya: ho tantissimi progetti e sogni per il mio futuro. Spero di riempire la mia vita di esperienze “super fighe” come quelle di Sumaya. Per adesso punto alla laurea!
“Grazie per questa preziosissima opportunità di riflessione e confronto. Continuate così, sempre, intensamente, anche per chi, come me, vede in voi un grande esempio” Annalisa