Capelli rossi e occhi a mandorla: è inconfondibile Susanna D’Alessandro, giovane fotografa e video maker originaria di Pescara che ha voluto raccontarci la sua storia d’amore con la fotografia.

Una storia fatta di ostacoli, coraggio e successo, sfociata ora in un progetto importante. “Living in a fishbowl” sono una decina di foto in cui Susanna racconta la vita di Jay, signora thailandese affetta da schizofrenia il cui unico “attracco” alla realtà è la presenza saltuaria della figlia.

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Com’è iniziata la tua avventura nella fotografia?

Da piccola passavo tantissimo tempo in garage a guardare vecchie foto dei miei genitori. Ho avuto la mia prima macchina fotografica a 13 anni: una semplice compatta regalatami da mio padre che per me significò molto. Scattavo in continuazione.

Ricordo che, finito il liceo linguistico, non sapevo cosa fare della mia vita; ne parlavo con una cara amica che mi diede la spinta decisiva dopo aver visto alcune foto scattate da me. Mi consigliò di comprare una reflex e così, dopo aver lavorato tre mesi in un villaggio turistico, comprai la macchina fotografica. È allora che ho cominciato per non fermarmi più.

Dopo la fase esplorativa in cosa hai deciso di cimentarti fotograficamente parlando?

Il tipo di fotografia che volevo realizzare era una sorta di scenografia che cercavo di ricreare nella realtà, come fosse un quadro. Da piccola mi piaceva disegnare, ma non riuscivo mai a ricreare sulla carta quello che immaginavo: con la fotografia ci sono finalmente riuscita.

Ho avuto la fortuna di vivere cinque anni insieme a quattro ragazzi che frequentavano l’Accademia di Belle Arti come me e che spesso si mettevano a mia disposizione per fotografarli. In quel periodo ho capito che amavo fotografare le persone negli ambienti in cui si sentono a loro agio ed in pose il più naturale possibile. È stato il periodo in cui ho capito che non volevo fare fotografia di moda perché troppo impostata. Questo però, non mi ha impedito di ammirare la fotografia di David LaChapelle, ad esempio, in cui c’è un simbolismo e un’arte sublime.

Qual è il tuo rapporto con i soggetti fotografati?

Prima di fotografarle voglio e cerco sempre di conoscere le persone. Voglio che si sentano a loro agio. La natura aiuta molto in questo e vorrei raccontare un’esperienza di qualche tempo fa. Ero con alcuni amici in montagna in autunno: trovammo un bosco meraviglioso e chiesi ad ognuno di scegliere un posto nascosto e personale. Li lasciai in solitudine, per un minuto, con la telecamera accesa. Riguardando le mini-riprese ho notato un particolare fondamentale: ognuno di loro, da solo nella natura, aveva avuto l’istinto di spogliarsi di sciarpe, giacche, scarpe. Questo spiega quello che faccio con le mie foto: lascio le persone essere libere nel loro mondo.

Esattamente questa è l’idea delle ultime foto che hai esposto. Cosa puoi dirci a riguardo, dato che ti sei trovata in una situazione decisamente unica?

Il progetto “Living in a fishbowl” è qualcosa di molto intimo. È stato un’arma a doppio taglio e per questo motivo ci ho lavorato per due anni: è difficile avere l’occhio del fotografo quando si lavora in condizioni così particolari. Inoltre, ho avuto il timore che la gente giudicasse questo progetto come strumento per farmi pubblicità: non è così, anzi, c’è ben altro dietro.

Progetti futuri di Susanna D’Alessandro?

Il fulcro del mio lavoro attuale è incentrato sul progetto “Living in a fishbowl”: con questo voglio sensibilizzare le persone per quanto riguarda le malattie mentali. L’estetismo in sé non mi basta più ed ho bisogno di fare qualcosa di importante e impegnativo. L’arte è sempre stata uno strumento utile a smuovere le acque, cambiare la società e la cultura.

Che consigli dai a chi sceglie di fare delle passioni il lavoro della propria vita?

Consiglio di non smettere mai di crederci. Tanti miei coetanei si sono lasciati andare: hanno scelto lavori che non li rispecchiano perché l’arte non li ripagava economicamente.

La passione si deve tenere e coltivare: se ci credi, ce la fai.

 

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