Un ricordo di viaggio tra ciò che mi ha trasmesso l’artista argentino e ciò che si è costruito poi. Sulla terra e nelle galassie.
Tomás Saraceno (San Miguel de Tucumán, Argentina, 1973) è un artista e architetto la cui fama internazionale è legata a installazioni visionarie e sorprendenti, praticabili dal pubblico e in grado di modificare la percezione degli spazi architettonici
Alla radice dell’opera di Tomás Saraceno c’è il desiderio utopico di creare le condizioni per modelli di vita sul pianeta che siano sostenibili in una visione di lungo periodo: a basso impatto ambientale, ad alto potenziale di mobilità, ad alto tasso di scambio interculturale e sociale.
La sua attenzione e i suoi progetti visionari si muovono in due direzioni: lo spazio e le ragnatele. L’installazione 14 Billions, presentata alla Bonniers Konsthall di Stoccolma nel 2010 ha dato il La per le scansioni digitali di ragnatele tridimensionali. Il progetto, tuttora in corso, Cloude Cities, invece, racchiude l’idea di una città volante sostenibile, ispirata alle bolle di sapone, alle stesse ragnatele, alle strutture cellulari e a diagrammi astronomici. Diversi gli esempi che Tomás Saraceno ha sviluppato negli anni seguendo queste due direttrici, apparentemente così distanti, ma profondamente interconnesse tra loro.
“Come siamo incorporati come parte della rete cosmica? Possiamo considerare un insetto e il cosmo vibratorio nella stessa rete di relazioni? Quali sono le possibilità per una migliore sintonizzazione? Come voliamo con i piedi per terra … I nostri corpi interplanetari si rivolgono non alla fantascienza o alla fantasia fiabesca, ma alla possibilità di realizzare una visione utopica per un futuro non troppo lontano. I fenomeni del misterioso universo sono resi sensibili attraverso una consuetudine organica e poetica di diverse discipline … una contemplazione creativa su una relazione umana e il divenire cosmico.”
Per capire il lavoro di Tomás Saraceno è importante risalire alla sua formazione e alle molte influenze culturali che stanno alla base del suo pensiero, difficilmente catalogabile nelle categorie tra arte, architettura e scienze.
Tomás Saraceno. L’artista e la poetica
Laureatosi in Architettura in Argentina nel 2003, si sposta alla Städelschule di Francoforte, importante scuola di arte ed architettura, che ha come caratteristica una grande apertura alla sperimentazione interdisciplinare e alla riflessione teorica. Qui Saraceno studia con Peter Cook (1925), fondatore del gruppo Archigram, che all’inizio degli anni Sessanta ipotizzò strutture urbanistiche visionarie ed ipertecnologiche, in grado di rivoluzionare lo stile di vita e le città contemporanee. L’anno seguente è a Venezia per un corso post laurea in Progettazione e Produzione della Arti Visive e, nel 2009 partecipa all’ International Space Studies Program del NASA Center Ames (Silicon Valley, CA).
Una interdisciplinarietà riscontrabile nel suo lavoro – che coinvolge vari professionisti tra scienziati e teorici – e che lo ha portato ad essere il primo artista invitato al progetto di residenza del Center for Art, Science & Technology (CAST) del prestigioso MIT (Massachussets Institute of Technology) di Boston e, nel 2019, ad essere uno dei contributors di “Beyond the Cradle 2019: Space and the Arts”, simposio sulla New Space Age organizzato dal MIT durante l’anno del 50 ° anniversario dello sbarco sulla Luna.
Ogni opera di Saraceno costituisce una sorta di ecosistema in cui tutto è correlato. L’architettura, la superficie, l’aria contenuta dalla struttura vengono continuamente modificate dall’interazione dei fruitori. Ogni persona che entra, ogni respiro, ogni cambiamento di temperatura e di condizioni di luce modificano l’intero sistema dell’opera.
“Quando il respiro diventa aria, le storie invisibili che compongono la natura di cui siamo parte ci invitano a reimpostare poeticamente il nostro modo di abitare il mondo – e di essere umani.”
Un po’ come fanno i ragni, che tessono strutture resistenti e dotate di estrema adattabilità, che costituiscono delle relazioni con lo spazio e con il tempo attraverso le vibrazioni che corrono sui fili delle loro ragnatele. Nell’ultimo progetto di Tomás Saraceno, presentato alla Biennale di Venezia 2019, Spider/Web Pavilion 7 – Oracle Readings, Weaving Arachnomancy, Synanthropic Futures: At-ten(t)sion to invertebrate rights! il ragno diviene oracolo, la ragnatela un mezzo per sintonizzarsi con un linguaggio che amplifica la nostra capacità di risposta reciproca, il pavimento un flusso di frequenze incomprensibili e tuttavia sensibili alle voci che avremmo bisogno di sentire.
“Mentre la vita traccia linee sulle tue mani, così il ragno disegna le linee sul tuo futuro.”
Ricordo di viaggio. On Space Time Foam
Avevo cominciato da poco a lavorare in uno spazio così grande e internazionale come è Pirelli HangarBicocca, e il mio occhio era ancora perso nell’incanto.
Quando ci comunicarono che avremmo ospitato un progetto di Tomás Saraceno mi esaltai subito. Fresco era ancora nella memoria il ricordo del suo intervento alla Biennale di Venezia 2019, quel groviglio di elastici nel padiglione centrale che ti poneva di fronte alla sfida e alla fatica: se volevi proseguire dovevi connetterti con i nuclei e collaborare con chi ti circondava per riuscire a superare lo spazio. Non capii subito se quell’intervento avesse la pretesa di sintetizzare una grande ragnatela, o un elemento micro cellulare nella sua versione “macro”. Poco importava. Le connessioni e le interrelazioni, spaziali e temporali, nascevano spontanee e necessarie.
In Pirelli HangarBicocca, Tomás Saraceno, non presentò, tuttavia, una ragnatela, ma una struttura fluttuante su tre livelli, praticabile dal pubblico, ispirata alla conformazione cubica dello spazio espositivo (spesso utilizzata dagli scienziati per rappresentare i concetti di spazio e tempo e introdurre il tema della quarta dimensione) e alle teorie di meccanica quantistica dell’astrofisico Paul Davies sull’origine dell’universo. Il titolo, On Space Time Foam, era una libera interpretazione dell’idea, insita in quelle ricerche, delle particelle subatomiche in rapidissimo movimento in grado di causare mutamenti nella materia. Metaforicamente, la presenza del pubblico, con il suo spostarsi, ne mostravano il funzionamento.
Una “schiuma di gamberetto”, come la descrisse a noi l’artista, “quel momento di singolarità quando tutto è venuto alla luce, uno spazio gorgogliante e scintillante.”
Tomás Saraceno. Sentirsi per sentire
Così, in quello spazio “a lasagna” trasparente, sospeso a 20 metri di altezza, le persone dovevano per necessità sentirsi per non sprofondare in buchi neri della materia. Si doveva cooperare, impostare il battito cardiaco sulla stessa frequenza degli altri co-abitanti dell’opera, prenderne lo stesso ritmo. La comunicazione verbale risultava superflua, ci si muoveva attraverso le spinte e le vibrazioni. Si poteva assistere, davanti a quell’opera al superamento delle frontiere geografiche, culturali, politiche e capire realmente cosa volesse dire Tomás Saraceno quando affermava di essere “cittadino dell’astronave terra”.
Uno spazio sociale nell’atto stesso del divenire, dove i punti di connessione agivano come trampolini per una simbiosi continua con il nostro universo impercettibile. Un simbolo di interrelazione di esseri sulla terra e nello spazio, un’architettura immateriale eterogenea, come ripreso poi nella successiva opera Gravitational Waves. Ogni punto di interconnessione diventava un nodo sociale che supportava l’intreccio di prospettive diverse. L’idea di sospendere il vuoto, di catturarlo e separarlo dallo spazio circostante, per suggerire riflessioni sui modi in cui ci armonizziamo con l’Universo, fluttuando con i piedi per terra.
L’opera cambiava costantemente in base ai punti di visione o relazione. Vista dal basso era un brulicante formichiere e le persone fluttuanti apparivano come formichine operose in volo. Una volta saliti su quella gigantesca bolla trasparente, invece, ci si poteva perdere in una confusione contrastante di emozioni: divertimento, paura, stupore, senso di appartenenza e perdizione. Sullo strato più alto ci si doveva concentrare per stare in equilibrio, in quello mediano ci si sentiva protetti e minati allo stesso tempo, sballottati da moti ascensionali e di collasso costanti; lo strato inferiore era un gigantesco prato erboso a 14 metri da terra. Era un materasso sulle nuvole.
Da lì si poteva vedere il cielo blu.
LEGGI ANCHE: Ha ancora senso studiare Architettura?