Alessandro Carbonara e Agnese Antonelli interpretano “You are not alone”, la colonna sonora di Documento, di Marco Iermanò

Alessandro Carbonara firma “You are not alone”, la colonna sonora realizzata con Agnese Antonelli per Documento, il nuovo film di Marco Iermanò presentato questo 26 Luglio al Giffoni50 Plus.

Documento affronta il delicato tema della violenza percepita dai bambini di una scuola della periferia romana, con protagonista Jessica Piccolo Valerani e lo stesso Carbonara. I due interpretano una coppia burrascosa, in cui lei è vittima delle violenza psicologiche di lui.

“YOU ARE NOT ALONE”
TESTO E VOCE: ALESSANDRO CARBONARA
ARRANGIAMENTO: CLAUDIO COTUGNO
SECONDA VOCE E VIOLINO: AGNESE ANTONELLI
MIX AUDIO: GIAMMARCO LAURI
REGIA VIDEOCLIP: MARCO IERMANO’

Il progetto, la cui distribuzione internazionale è curata da Francesca Delise, è stato realizzato low budget e fortemente voluto dalla vice-preside Annamaria Stecchiotti, impegnata nella lotta per l’inclusione in un istituto che ospita ragazzi di diverse etnie e che si trova spesso ad essere oggetto di critiche.

Abbiamo avuto l’occasione di intervistare Alessandro ed Agnese per capire il ruolo della musica all’interno di questo progetto di grande sensibilità.

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Alessandro

Parlaci di questo progetto e del ruolo della musica al suo interno.

Questo progetto nasce da un’idea del regista Marco Iermanò. Marco ha creato questo Documentario che si intitola “Documento” girato in una scuola della periferia romana dove sono presenti diverse realtà sociali, alcune anche molto difficili.

Ha trattato l’argomento della violenza in tutte le sue forme partendo dalla proiezione di un cortometraggio con la sua regia “Run Away Girl” del quale sono protagonista insieme alla bravissima attrice Jessica Piccolo Valerani.

Un giorno eravamo a cena con degli amici, Marco compreso, ed io e Claudio Cotugno, che ha fatto gli arrangiamenti di “You Are not Alone”, abbiamo iniziato ad improvvisare dei pezzi, lui con la chitarra ed io con la voce.

Marco, sentendo un brano ci chiese “Vi va di creare la colonna sonora del mio Documentario?”. Li per lì la cosa sembrava eccitante ma non ci abbiamo pensato più di tanto. Il giorno dopo mi richiama Marco e mi dice “Allora, stai scrivendo il brano?”.

Mi sono lasciato coinvolgere dal suo entusiasmo e ho iniziato a scrivere il testo. E’ stato un flusso di emozioni, dopo aver visto il documentario, gli sguardi di quei bambini ho sentito che tutto quel contenuto poteva prendere forma anche con il suono e le parole.

In collaborazione con Agnese Antonelli , violinista con una voce pazzesca, che poi è la voce femminile che sentite nel brano, abbiamo cercato di armonizzare il pezzo partendo dal flusso di coscienza che le immagini del documentario faceva emergere.

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Strumenti e voce per parlare, anche, d’amore. Qual è il messaggio principale di questo brano e in che modo la musica può essere denuncia ma anche rifugio per un bambino?

Ecco questa è una domanda delicata perchè è un argomento a cui tengo molto. Questo brano è un inno all’amore, amore inteso come rispetto, tolleranza, generosità, attenzione, dualità.

Un’esortazione a comprendere l’importanza della dualità, uomo- donna. A comprendere che l’uomo e la donna fanno un percorso comune in quanto due elementi dello stesso universo. Non deve esserci prevalicazione tra loro ma sostegno e fiducia.

Ma Soprattutto, oggi che ancora assistiamo a forti espressioni di maschilismo, sessismo e intolleranza questo brano vuole dire agli adulti: “Perchè vi fate la guerra? Perchè non provate a darvi un’altra possibilità? Allentate quei pugni stretti e lasciatevi accarezzare. Non siate indifferenti al dolore altrui perchè l’altro non è altro che te. Smettiamola di essere individualisti e cerchiamo di essere più accoglienti e generosi”. In fondo è solo questione di allenamento.

Per quanto riguarda i bambini il messaggio è semplicemente quello di lasciare che risuonino in loro le parole Carezza, Sorriso e Amore perchè sono estremamente convinto che le parole hanno una forza che agisce anche inconsciamente, e se alleniamo i bambini alle vibrazioni di queste parole qualcosa di buono sicuramente ne verrà fuori.

Come è stata scelta la composizione del brano?

Come accennavo prima questo brano è frutto di un flusso. Claudio ha iniziato a comporre l’arrangiamento con la chitarra, io ho preso dentro quella vibrazione e l’ho trasformata in parola. Poi ho sentito che mancava uno strumento che esprimesse qualcosa che non era ancora emerso cosi ecco Agnese che a sua volta si è lasciata trasportare dall’onda suonando meravigliosamente il violino. Poi, provando, ho scopertoavesse una voce pazzesca e le ho detto “No, tu devi anche cantare, cavolo!”.

Recitare e comporre a uno stesso lavoro ti ha restituito una percezione differente su questo tema?

Beh diciamo che nel primo caso recitare la parte del “carnefice” mi ha portato ad analizzare la parte un po’ “irrisolta” dell’uomo. Quella parte inconsapevole che lo porta ad agire per bisogno, per schemi, per insofferenza e, come dicevo prima, per mancanza di allenamento all’amore.

Quindi ecco, in questo caso mi ha sensibilizzato nella comprensione profonda di ciò che spinge una persona alla violenza.

Comporre la musica invece è stato un puro viaggio d’amore verso l’altro, il desiderio di accompagnare l’ascoltatore in un viaggio nella meraviglia che c’è dentro ognuno di noi.

In conclusione posso dire che i due aspetti si completano

Cosa significa essere bambini? Ed essere adulti? Si diventa davvero del tutto “grandi”?

La bellezza dell’essere bambini è la condizione in se dell’esserlo. Bambini lo si è perché si nasce quindi è un percorso imprescindibile dove c’è dentro la curiosità verso il mondo in cui ci si ritrova, le scoperte continue e lo stupore.

Ecco, lo stupore è la cosa più bella che ritrovo nei bambini perché quasi sempre lo si perde da adulti.

Essere adulti invece significa guardare le cose con più consapevolezza, essere in grado di fare le proprie scelte prendendosi la totale responsabilità. Peccato che spesso si perde quello stupore del bambino che se portato nell’adulto da una marcia in più.

Cosa vuol dire diventare grandi?

Per me non si diventa grandi, si diventa più consapevoli. Al massimo si diventa più grandi d’età

Qual è l’elemento “bambino” che vorresti preservare nel tuo fare arte?

Assolutamente la curiosità, la leggerezza e il sorriso verso il mondo. Il momento più bello, quando fai arte, è quando ti stupisci tu stesso di ciò che fai. E la’ ti dici “Ma l’ho fatto io?…Che bellezza!

E in cosa vorresti diventare più “grande”?

Vorrei diventare più grande nella libertà di esprimere il mio pensiero e comunicare agli altri la bellezza che vedo nella magia di questa vita che è meravigliosa. Ci si lascia trascinare troppo dagli eventi e ci si ferma poco ad apprezzare le occasioni che ogni giorno l’universo ci offre.

Forse in questo periodo di pandemia, in cui siamo stati costretti a starcene a casa, un passo avanti lo si è fatto in tal senso e dovremmo portarci dentro, da questa esperienza, quella capacità che abbiamo acquisito di metterci in discussione e di autoanalisi.

Lasciaci un tuo ricordo del set

Il ricordo più bello del set è stato al lago di Anguillara dove è stato girato “Run Away Girl”. Il Regista Marco Iermanò mi disse “Ok, ora cercala disperatamente” quindi ricordo che iniziai a correre per i vicoli affannato, Marco che mi seguiva dandomi qua e la delle indicazioni, e io continuavo a cercarla ossessivamente. E’ stata un’escalation emotiva fortissima. Costruire quella scena con il regista e il cameraman è stato meraviglioso.

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Agnese

Agnese, parlaci del tuo lavoro al progetto, come hai vissuto la riflessione su questo tema da musicista? E che personaggio è il tuo violino al suo interno?

Partirei dal dire che il rapporto che si è creato con Marco Iermanò e Alessandro Carbonara è stato la base solida per concretizzare un lavoro che senza la componente empatica non avrebbe trovato questa immagine. La prima volta che ho incontrato Alessandro abbiamo preso un tè a casa e nella maniera più naturale abbiamo creato qualcosa, mettendo ognuno la propria personalità senza invadere o sentirsi a disagio.

Essendo la musica un’arte che non si vede, non si tocca e spesso non si spiega mi viene da dire che è un esempio perfetto per riportarlo ad una riflessione su questo tema. La violenza che non è sempre tangibile o visibile e quando lo è, lo è per tutti.

Molte altre cose ci sarebbero da dire, parliamo di un tema molto antico ed estremamente delicato che a mio avviso si scontra con una realtà che non sempre è in grado di vedere l’invisibile ed è qui che entra in gioco la musica. In questo progetto il violino rappresenta una voce, un pensiero che va a scandire quell’immagine che non si può spiegare e che va oltre le parole. Questo suono sta lì a rappresentare quell’invisibile che va visto perché esiste ed è presente.

Qual è stato il tuo percorso? Ricordi quando hai scelto il tuo strumento?

Ricordo che stavo alle medie, era un periodo molto complicato e pieno di dubbi non solo verso il futuro ma anche verso me stessa e ciò che volevo essere in quel momento. La scelta dello strumento non è stata cosciente e decisa, si è trattato di un caso in realtà. La musica mi ha tenuta stretta ad un percorso di vita molto profondo e mi ha sempre sbattuto in faccia i miei difetti, le mie debolezze e sicuramente anche tutti gli aspetti positivi e forti della mia persona. Importantissimo per me è stato il tipo di studio che il violino richiede. Serve molta disciplina e concretezza oltre il talento e la passione.

Come pensi la musica possa esprimere un tema delicato come quello mostrato in Documento?

La musica è un linguaggio universale. Mi è capitato di comunicare per ore con persone provenienti da tutto il mondo senza spiccicare una sola parola. Immagino sia questa la chiave per esprimere un tema così delicato e globale. In questo sento penso che Documento sia un lavoro in grado di parlare a tutti.

In un contesto critico e di violenza, pensi la musica possa essere un aiuto per i bambini? In che modo?

Come dicevo prima riguardo la disciplina e la concretezza penso che per i bambini sia un grande appiglio quello dello studio.

La musica può aiutare in questi contesti perché all’interno di essa non può esistere violenza. Si comincia nel rapporto con l’insegnante che è un grandissimo riferimento, poi si studia spesso da soli in uno spazio che può essere anche la scuola quando a casa non è possibile e in fine nel rapporto con gli altri. Duetti, piccoli gruppi e orchestre sono quelle realtà che aiutano i bambini a vedere quella libertà infinita di stare con gli altri e creare qualcosa che non ha presso e credo che questo genere di percorso possa dare la possibilità a tutti di rifiutare quella violenza e crescere più liberi.

Cosa significa essere bambini? Ed essere adulti? Si diventa davvero del tutto “grandi”?

Essere bambini dovrebbe significare avere la possibilità di esprimere la propria identità nella maniera più originale e spontanea possibile. Purtroppo la realtà non sempre è così. Essere bambini può tragicamente trasformarsi in qualcosa di più alterato come sobbarcarsi del peso di rapporti non validi, situazioni in cui si deve “crescere” prima del tempo. Spesso i bambini vengono ignorati e invidiati soprattutto quando percepiscono bene l’invisibile.

 Essere adulti a mio avviso non significa molto nella misura in cui perdi la fantasia e il sentire di bambino. Immagino che diventare grandi possa comprendere l’idea di trovare ogni giorno il coraggio di approfondire e non perdere mai la sensibilità e l’amore per l’umano.

Qual è l’elemento “bambino” che vorresti preservare nel tuo fare arte?

Questa domanda è spaventosa. Potrei scrivere per ore ma penso che tutto possa essere sintetizzato dicendo che il lasciarsi andare è l’elemento “bambino” chiave. I bambini cambiano ogni giorno e con la fantasia inventano la qualunque. Ecco, forse questo vorrei preservarlo!

E in cosa vorresti diventare più “grande”?

Sento di dover crescere ancora moltissimo in diversi aspetti. Quello che più mi spaventa e per il quale dovrò faticare molto è sicuramente il coraggio di rischiare. Scrivere e fare musica rischiando sempre la propria persona, le proprie idee senza badare troppo ai tempi che corrono o alla moda del momento. Ecco, dovrei diventare un po’ più grande in questo e sicuramente un buon punto di inizio è quello di creare rapporti stimolanti e profondi con persone che hanno un desiderio forte e acceso.

Lasciaci con un tuo ricordo del set.

Ricordo quando in studio con Marco e Alessandro mangiavamo cioccolatini e fremevamo per sentire se il brano fosse riuscito esattamente come volevamo.
Ero emozionatissima e mi sentivo a casa. Eravamo tutti lì a lavoro e avevamo lasciato fuori dalla porta tutto quello che non era suono.

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Le fotografie di Alessandro ed Agnese sono state scattate da Marco Iermanò